Il referendum svizzero visto da Israele 04/12/2009
Autore: Mordechai Kedar
Mordechai Kedar - " Il referendum svizzero visto da Israele "
traduzione e adattamento di Antonella Donzelli e Avi Kretzo

Per la prima volta in Europa un popolo, solitamente neutrale fino all’apatia, insorge e dice “no” a qualcosa che riguarda l’Islam. Non si tratta di caricature pubblicate su un giornale, né di manifestazioni di teste rasate e neppure di slogan elettorali di qualche politico preoccupato.

Questa volta si parla di un referendum popolare, espressione di un intero Paese, indetto da leggi nazionali, i cui risultati devono necessariamente essere presi in considerazione dal Governo. Il popolo svizzero, l’unico in Europa la cui vita è regolata da referendum, ha deciso con una netta maggioranza del 57,5% di vietare la costruzione di nuovi minareti sul suo territorio.

In realtà secondo la regola islamica non è obbligatorio erigere i minareti e, in effetti, la maggior parte dei luoghi di preghiera islamici ne è priva. Da un punto di vista pratico, il minareto serve soltanto come postazione elevata per il muezzin, colui che chiama alla preghiera i fedeli. Tuttavia in Europa i minareti simboleggiano la prepotente presenza islamica e proprio questo irrita gli europei, che vedono nella moschea e nella sua imponente torre l’incarnazione della minaccia islamica e l’imminente trasformazione dell’Europa in un continente mussulmano.

Contrariamente ad altri popoli arrivati nel vecchio continente che sono diventati parte del suo tessuto sociale, molti di fede islamica non tendono a integrarsi né amalgamarsi, continuando ad abitare in enclavi la cui cultura e lingua non sono quella locale, ma quella dei loro Paesi d’origine. In queste enclavi islamiche anche la giustizia dello stato, il suo apparato e le sue autorità sono limitati nel loro potere e forse anche nella loro volontà di applicare le proprie leggi.

La maggior parte dei politici europei non si oppone a questo fenomeno perché ha paura. Essi temono per la propria incolumità fisica e per il proprio futuro politico nel momento in cui le comunità islamiche accrescono la loro forza elettorale e quindi la loro influenza politica.

Nella Confederazione Elvetica è diverso, perché l’uomo della strada non ha tutte queste perplessità. Attraverso il referendum, che è autentica espressione della volontà popolare, il cittadino ha manifestato la paura dell’Europa nei confronti di un’invasione islamica. Il popolo svizzero ha detto ad alta voce quello che gli altri popoli europei si limitano a sussurrare. La Svizzera ha detto “No!” ai minareti e ai richiami alla preghiera lanciati dai muezzin. L’invito alle orazioni mattutine è quello più fastidioso perché viene amplificato a tutto volume ancor prima dello spuntar dell’alba, quando i non islamici sono ancora immersi in un sonno profondo.

 Non occorre essere un genio per capire che a turbare gli Elvetici non è un semplice dettaglio architettonico, ma tutte le implicazioni che questo comporta. La verità è che sono molto preoccupati dal fatto che il 5% degli abitanti della Svizzera oggi è rappresentato da mussulmani, il cui numero è in vertiginoso aumento a causa dell’altissimo tasso di natalità e di un flusso immigratorio massiccio e continuo.

Gli Svizzeri sono indefessi lavoratori, fieri e gelosi del benessere economico raggiunto, che osservano allarmati come quote rilevanti del budget del loro welfare vadano a beneficio di giovani che rifiutano un lavoro onesto per stare tutto il giorno nelle moschee e nei centri culturali islamici, mantenuti dai sussidi di disoccupazione. I cittadini elevatici comprendono che il sistema assistenziale nazionale diventa un elemento incoraggiante per l’immigrazione e per l’aumento incontrollato della natalità presso i mussulmani residenti, mentre i luoghi pubblici e il paesaggio si trasformano sempre più, popolandosi di gente vestita alla tradizionale maniera islamica.

La situazione si aggrava ulteriormente quando i mussulmani pretendono che gli svizzeri tolgano dagli spazi pubblici o coprano statue poco vestite o abbigliate in modo a loro giudizio indecoroso. Questa pretesa, anche se fino ad oggi è stata avanzata solo con voce sommessa, preoccupa molto gli elvetici, che si vedono minacciati nella loro cultura e si chiedono se sia lecito a chi è ospitato mettere in dubbio certezze, usi e costumi di chi ospita.

Ebbene, attraverso questo referendum gli Svizzeri hanno deciso di dire chiaro e tondo agli ospiti: “Basta così, c’è un limite a tutto! Questo è il nostro Paese, questa è la nostra cultura, e chi non l’accetta è pregato di andarsene. Non costringiamo nessuno a venire nel nostro Paese, ma se l’ospite vuole vivere con noi, deve accettare le nostre regole, stabilite ormai da lungo tempo. Non desideriamo trasformarci in un Paese multiculturale e chi non intende accettare il nostro modo di vivere, non si meravigli se sarà accompagnato alla porta”.

Non stanno tanto tranquilli i vicini Francesi, che non hanno prestato troppa attenzione all’immigrazione islamica di massa nel loro Paese e temono, giustamente, un travaso di mussulmani dalla Svizzera alla Francia. Prospettiva molto probabile, perché nulla vieta che una persona risieda in Francia e lavori in Svizzera. E poiché il viaggio è agevole, in auto come in treno, la Francia paventa una forte accelerazione della sua trasformazione in uno stato a maggioranza islamica. 

 Il Ministro degli Esteri svizzero Micheline Calmy-Rey ha messo in guardia dalle dure reazioni del mondo islamico, da boicottaggi e manifestazioni contro la Svizzera, mentre anche le istituzioni dell’Onu, con sede a Ginevra, i cui abitanti hanno votato contro la costruzione dei minareti, hanno espresso preoccupazione per quello che vedono come l’inizio della lotta dei popoli europei contro l’immigrazione mussulmana. 

 Queste istituzioni, anch’esse ospiti sul suolo elvetico, hanno condannato il risultato del referendum come una “discriminazione religiosa”, considerandolo anche un duro colpo inferto ai diritti umani. Viene da chiedersi se il desiderio del popolo svizzero di conservare la propria identità e cultura non sia anche questo un sacrosanto diritto. 

 Il mondo islamico è diviso sull’esito del referendum: da una parte c’è chi accusa l’Europa di intraprendere, a distanza di mille anni, una nuova crociata sotto la croce della bandiera svizzera; dall’altra chi sostiene che non accettare questo risultato porterà grave danno ai mussulmani, che saranno tacciati di non riconoscere le regole della democrazia europea, e perciò saranno ulteriormente emarginati. 

 Dal canto mio, apprezzo il popolo svizzero che ha avuto il coraggio di esprimere un’opinione chiara e sincera sull’immigrazione mussulmana in Europa. Forse questo referendum aprirà gli occhi agli Europei e rappresenterà una svolta nel loro atteggiamento nei confronti dell’avanzata islamica.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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