Il prossimo presidente libanese
Come la pensa il "candidato di centro"
Testata:
Data: 10/11/2007
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Per il Libano pronto ad essere il presidente del dialogo
Sull' UNITA' di oggi, 10/11/2007, a pag.10, Umberto De Giovannangeli intervista il leader cristiano libanese Butros Harb, che dfinisce " candidato della maggioranza antisriana". Harb si propone,fra l'altro, di disarmare Hezbollah, nel caso in cui venisse eletto, sempre che rimanga ancora in vita, visto che la Siria, uno ad uno, sta eliminando tutti i candidati che le sono ostili. Eppure, ciò malgrado, anche il leader cristiano si esprime in termini non molto diversi dai suoi oppositori interni. Riportiamo questa frase "....facendo della resistenza nel Sud contro le aggressioni israeliane una questione che non riguarda Hezbollah ma lo Stato libanese in quanto tale, e in questo ambito anche Hezbollah avrebbe riconosciuto un suo ruolo", dichiarazione quanto mai chiara. E' Israele che minaccia il Libano e ad Hezbollah, in questo ambito, deve essere riconosciuto un ruolo. E questo sarebbe il " candidato di centro", l'antisiriano, quello che dovrebbe disarmare Hezbollah. Naturalmente, secondo tradizione, Udg si guarda bene dal porre domande che sfuggano all'etica del "dialogo". Ecco l'intervista:
 
«Siamo a un passaggio decisivo non solo per la vita politica ma per il futuro stesso del Libano. Di questo la Comunità internazionale ne è consapevole, da qui il susseguirsi delle missioni a Beirut, in particolare dei ministri di quei Paesi, tra cui l’Italia, che si sono assunti importanti responsabilità sul campo per garantire sicurezza e stabilità al Libano». A parlare è Butros Harb, il più accreditato tra i candidati della maggioranza parlamentare antisiriana alla presidenza del Libano, presidenza che, per la Costituzione libanese, spetta ad un esponente della comunità cristiana. «Il mondo - sottolinea Harb - è divenuto cosciente che se le cose vanno male in Libano, a patirne le conseguenze sarà l’intera regione». «Da un anno - rileva il parlamentare che dovrebbe succedere al filosiriano Emile Lahoud alla presidenza del Libano - il Paese vive una paralisi politica e istituzionale totale», seguita alle dimissioni dei ministri sciiti dal governo di Fuad Siniora, «il protrarsi di questa situazione - avverte Harb - farebbe precipitare il Paese nel caos e aprire le porte ad una resa dei conti drammatica».
Il Libano entra in una fase cruciale della sua storia recente. Entro il 24 novembre dovrà essere votato il successore alla Presidenza di Emile Lahoud. Qual è la posta in gioco?
«Quella che stiamo combattendo è una doppia battaglia. La prima, è quella di preservare il nostro sistema democratico, che impone di seguire la prassi costituzionale ed eleggere il nuovo capo dello Stato nei tempi previsti, evitando così un pericoloso vuoto costituzionale. Il rischio di una paralisi politico-istituzionale esiste, ed è un rischio gravissimo per l’indipendenza stessa del Libano, perché la mancata elezione del nuovo presidente si ripercuoterebbe sul governo, il Parlamento, coinvolgerebbe ogni sfera amministrativa e finirebbe per minare la sicurezza stessa del Paese...».
E l’obiettivo della seconda battaglia?
«L’obiettivo è di dimostrare di essere in grado di esercitare il diritto di voto in piena libertà dopo il ritiro siriano. L’obiettivo è di dimostrare a noi stessi e al mondo intero che il Libano non è più uno Stato a sovranità limitata e che è in grado di decidere sulla base dell’interesse nazionale. Il Libano è oggi di fronte a un bivio: possiamo dirigersi verso la costruzione di un moderno Stato sovrano, fondato su un sistema democratico, attento a garantire i diritti e le libertà della popolazione, indipendentemente dall’appartenenza etnica-religiosa, oppure saremo spinti in direzione opposta. Verso la distruzione e il caos».
Lei è noto come un uomo di centro, aperto al dialogo con l’opposizione. Lo è anche con Hezbollah?
«Che io sia un uomo propenso al dialogo lo considero un pregio e non certo un limite. Ma dialogare non significa affatto mettere tra parentesi le proprie convinzioni. Il dialogo non è solo possibile ma è necessario, a patto che non si metta in discussione un punto fondamentale: la sovranità assoluta dello Stato. Il nuovo presidente, chiunque esso sia, dovrà essere garante dell’indipendenza e della sovranità del Libano. E questo può essere fatto solo attraverso un dialogo nazionale. Per me, parlano la mia storia, i miei comportamenti, la disponibilità mai venuta meno a trattare con tutti i libanesi, al fine di costruire uno Stato insieme, e di vivere insieme in armonia e sicurezza».
Se fosse lei il prossimo presidente del Libano, quale sarebbe la priorità della sua agenda politica?
«Quella di ricostruire un tavolo di riconciliazione nazionale presso la Presidenza tra tutte le forze libanesi, con l’obiettivo di risolvere una questione cruciale qual è il disarmo di tutte le milizie, e tra esse quella di Hezbollah. Sono convinto che sia possibile giungere ad una soluzione condivisa di questo problema, facendo della resistenza nel Sud contro le aggressioni israeliane una questione che non riguarda Hezbollah ma lo Stato libanese in quanto tale, e in questo ambito anche Hezbollah avrebbe riconosciuto un suo ruolo. Ciò che dovrà essere chiaro a tutti, e garanzia per tutti, che la difesa del territorio nazionale dovrà essere esercitata dallo Stato e non legata ad alcun partito».
Dopo l’assassinio di Antoine Ghanem, parlamentare ed esponente di primo piano della maggioranza antisiriana, in una intervista a l’Unità il leader druso Walid Jumblatt lancio un grido d’allarme: vogliono farci fuori uno ad uno. C’è chi invoca forze internazionali a difesa dei parlamentari potenziali obiettivi degli attacchi terroristici. Qual è in proposito la sua opinione?
«Non voglio ergermi ad eroe, ma non credo che la presenza di forze internazionali possa proteggere noi parlamentari. La sicurezza è legata alla politica. Detto questo, non mi nascondo i pericoli. Ho adottato alcune misure di sicurezza. Quando devo muovermi, cerco di modificare i percorsi. Ma non ho rinunciato a vivere a casa mia, con la mia famiglia. Siamo consapevoli dei rischi che corriamo ma anche dei doveri nazionali che ci siamo assunti decidendo di partecipare alla vita politica del Paese. Nessuno mi costringerà al silenzio»
Qual è il rischio che il Libano non può permettersi di correre?
«È non decidere. Perché il caos e paralisi aprirebbero la strada alla costituzione di due governi. Per l’integrità del Libano sarebbe un colpo mortale».
 
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