Arafat ? Abu Mazen regala al grande corruttore un mausoleo
la cronaca di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera
Data: 10/11/2007
Pagina: 14
Autore: Davide Frattini
Titolo: I palestinesi ripartono da Arafat

I palestinesi continuano a farsi dela male da soli. Non è stato sufficiente conoscere che gran parte delle disgrazie erano dovute alla criminale politica del defunto Arafat, cos' come l'enorme corruzione che ha caratterizzato il suo regime - Arafat era diventato uno degli uomini più ricchi del mondo - no, adesso sprecano altri milioni di dollari per costruirgli un mausoleo. Per ricordare cosa ?Ecco la cronaca di Davide Frattini sul CORRIERE della SERA di oggi, 10/11/2007, a pag.14, dal titolo " I palestinesi ripartono da Arafat ", una scelta eloquente, che dovrebbe aprire gli occhi a quanti vedeono nella politica di Abu Mazen l'inizio di un vero cambiamento.

GERUSALEMME — Il mausoleo è costruito in pietra di Gerusalemme. Non per l'eternità. O così sperano i palestinesi, che hanno speso un milione e mezzo di dollari per la tomba di Yasser Arafat, eppure la chiamano «temporanea». Il sepolcro è progettato per poter recuperare il corpo senza difficoltà, l'edificio è circondato da una piscina di 184 metri quadrati, sembra sospeso tra i riflessi d'acqua. «Anche questo segno vuol rappresentare il senso transitorio della struttura», commenta Mohammed Shtayyeh, ex ministro dell'Edilizia, che ha supervisionato i due anni di lavori.
Una tappa provvisoria verso la direzione illuminata dal raggio laser, che si diffonde dalla punta del minareto, alto quasi trenta metri. Una tappa verso Gerusalemme, dove Arafat ha sempre desiderato essere sepolto. Gli israeliani non lo hanno permesso e quando (o se) i resti verranno trasferiti, non dipende dalle preghiere dello sceicco sufista Kirrish, amico del raìs scomparso, ma dal vertice di Annapolis e dai negoziati che potrebbero garantire ai palestinesi la parte est della città, come capitale.
Così il mausoleo temporaneo è anche il testamento di un sogno non realizzato. «I palestinesi sentono la mancanza di Arafat, si rendono conto del vuoto», commenta Hani Masri, editorialista di Ramallah. «Allo stesso tempo, lo rimproverano di non aver mantenuto la promessa, la nascita di uno Stato, e vedono i problemi che si è lasciato dietro». «Il suo carisma, la sua umanità, la porta sempre aperta per tutti. Nessuno ha saputo rimpiazzarlo», continua Shtayyeh.
Il successore Abu Mazen ha fatto subito pulizia alla Mukata: delle pile di macerie e delle macchine sfasciate, simboli dell'assedio israeliano e parte della mitologia. Ha lasciato che il mausoleo venisse costruito nella residenza presidenziale, ma non ha definito un cerimoniale per i diplomatici che passano a commemorare il leader morto l'11 novembre del 2004. Nelle visite a Ramallah, Condoleezza Rice, segretario di Stato americano, passa davanti al sepolcro senza fermarsi.
«Almeno per tre giorni i palestinesi possono ritrovare l'unità, nel simbolo di mio zio», dice Nasser Al-Kidwa. Figlio della sorella maggiore del raìs, ministro degli Esteri fino alla vittoria di Hamas, presiede la fondazione Yasser Arafat e ha organizzato le celebrazioni a Ramallah: oggi l'inaugurazione del mausoleo e della moschea, domani l'apertura al pubblico con un discorso alla nazione di Abu Mazen, lunedì la prima consegna del premio intitolato al leader scomparso, venticinquemila dollari.
La fondazione sta progettando un museo, nelle stanze dove Arafat ha vissuto gli ultimi anni, durante l'assedio israeliano. L'«epopea di Abu Ammar» verrà raccontata attraverso i cimeli: la pistola che portava sempre con sé, gli occhiali alla Onassis che indossava a Beirut nel 1982, la cyclette per tenersi in forma. «Stiamo raccogliendo i regali ricevuti dai ministri e dagli inviati stranieri — spiega Al-Kidwa —. Ma molte memorabilia sono nelle residenze di Gaza, sotto il controllo di Hamas».
Anche il movimento fondamentalista spera che il terzo anniversario della morte aiuti a superare le divisioni con il Fatah. «Siamo pronti ad aderire alla commemorazione, se ci invitano», annuncia il portavoce Fawzi Barhoum. Abu Mazen, per ora, è più preoccupato da una partecipazione senza invito. «Se Israele si ritirerà dalla Cisgiordania, la espugneremo e prenderemo il potere anche lì», minaccia Mahmoud Zahar, uno dei leader più oltranzisti dell'organizzazione.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.

lettere@corriere.it