La perenne imminenza della crisi umanitaria a Gaza
e la perenne scomparsa dai media dell'aggressione terorristica contro Israele
Testata:
Data: 09/11/2007
Pagina: 11
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Gaza, le restrizioni israeliane rafforzano gli estremisti
La direttrice dell'Unrwa, l'agenzia dell'Onu che mantiene in vita i campi profughi palestinesi come arma di propaganda contro Israele, denuncia per l'ennesima volta l'imminente crisi umanitaria a Gaza.
Sia lei che Umberto De Giovannangeli che la intervista dimenticano i razzi kassam, i tentativi di infilitrazione terorristica in Israele attraverso i valichi, il contrabbando di armi, persino gli attentati contro i valichi che Hamas non controllava.
La "prigione" di Gaza, è in realtà prigioniera di un'organizzazione terroristica che la usa come base per colpire Israele.
La vera notizia, è che lo Stato aggredito continua a fornire agli aggressori  e ai loro ostaggi luce, elettricità, carburante, medicinali.


Ecco il testo:

«Israele sta cercando di punire coloro che hanno assunto il controllo di Gaza (Hamas), ma in realtà gli effetti disastrosi delle restrizioni imposte finiscono per pesare sulle condizioni di vita della popolazione civile della Striscia rendendole sempre più drammatiche. Agendo in questo modo si produce il risultato opposto a quello che ci si è prefisso: il blocco di Gaza sta rafforzando i gruppi estremisti palestinesi. Questa politica è filo spinato sulla via della pace». A sostenerlo è Karen Koning Abu Zayd, direttrice generale dell’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’assistenza ai rifugiati palestinesi.
Dottoressa Koning, qual è oggi la situazione a Gaza?
«Difficile, per molti versi drammatica. Le limitazioni di movimento imposte da Israele, la chiusura dei valichi commerciali hanno determinato una diminuzione da maggio ad oggi del 71% dell’ingresso-uscita di merci; è pari a zero lo stock di 91 farmaci rispetto ai 61 dello scorso mese e le famiglie degli agricoltori non hanno più risorse per tirare avanti a lungo: non possono inviare i raccolti ai mercati israeliani né utilizzarli internamente e così quei raccolti marciscono. Ciò significa che non ci sono frutta e verdura a integrare le razioni di base (farina, olio, zucchero, un po’ di lenticchie e latte in polvere) che l’80% della popolazione di Gaza riceve dall’Unrwa o dal Word Food Program. Si tratta di dati allarmanti: oggi siamo in grado di garantire solo il 61% del fabbisogno nutrizionale giornaliero. E le ricadute gravano soprattutto sui soggetti più esposti: i bambini. Negli ultimi mesi si sono moltiplicati i casi di bambini vittime di patologie gravi legate alla malnutrizione».
Siamo alla crisi umanitaria?
«Non ancora, ma la situazione peggiora di giorno in giorno. I principali valichi commerciali tra Israele, Egitto e Gaza sono stati chiusi da giugno, per cui non vi sono più né importazioni né esportazioni, e non vi è nemmeno sufficiente contante per reggere: il blocco ha reso davvero molto, molto difficile vivere. Se i valichi commerciali non verranno riaperti al più presto, Gaza rischia di divenire al 100% dipendente dagli aiuti esterni. Vorrei che si riflettesse seriamente su questi dati: il 35% della popolazione di Gaza vive sotto la soglia di povertà; il 44% della forza lavoro è disoccupata; il 90% delle stabilimenti produttivi è fermo; il 25% della popolazione soffre di malnutrizione. In queste condizioni è impossibile coltivare qualsiasi speranza e spesso l’assenza di speranza finisce per produrre rabbia e la rabbia, violenza».
C’è chi dipinge Gaza come una gabbia isolata dal mondo, altri una prigione le cui chiavi Israele ha buttato.
«Purtroppo la realtà sembra dar ragione a queste angoscianti metafore. La libertà di movimento non riguarda solo le merci ma anche le persone. Centinaia di studenti universitari, e migliaia di altre persone che si sono recate a Gaza questa estate sono ancora bloccate e attendono da mesi il permesso di lasciare la Striscia attraverso il valico di Rafah».
Israele sostiene che queste misure restrittive sono necessarie per contrastare Hamas .
«Non voglio addentrarmi in discorsi politici, né contesto il diritto di Israele alla difesa, voglio solo testimoniare quello che ho potuto constatare di persona, vivendo a contatto con la gente di Gaza. E quello che posso dire è che queste restrizioni invece che indebolire i gruppi estremisti palestinesi, li stanno rafforzando. Le restrizioni non aiutano la pace né garantiscono sicurezza, ma si muovono in direzione opposta. Ciò che è chiaro a chiunque trascorra anche solo poche ore a Gaza, parlando con la gente, visitando i campi profughi o gli ospedali, è che la popolazione si sente sempre più isolata e abbandonata; il blocco imposto da Israele sta davvero contribuendo a radicalizzare gli animi e non porta sicuramente alla pace».
Mentre a Gaza si soffre, la Comunità internazionale è impegnata nella preparazione della Conferenza di Annapolis.
«Spero ardentemente che questa Conferenza possa determinare un impulso concreto al processo di pace israelo-palestinese e dare nuova speranza al popolo palestinese. Una speranza che passa necessariamente per Gaza».

Se l'intervista di De Giovannangeli disinforma il titolo (scelto dalla redazione) del suo articolo sull'Iran, nella stessa pagina, sopra quello su Gaza, scade nel ridicolo "Israele vuole la testa di Baradei: mite con l'Iran" (i corsivi sono nostri, ndr)

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