I complici dell'Iran
così El Baradei e Prodi favoriscono i piani atomici del regime degli ayatollah
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Data: 08/11/2007
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Autore: Dimitri Buffa - Maria Giovanna Maglie
Titolo: I complici dell’Iran - Prodi dà una mano agli ayatollah: «Teheran ha diritto al nucleare»
Da L' OPINIONE dell'8 novembre 2007, un articolo di Dimitri Buffa:

Perché Mohammed El Baradei e l’Aiea proteggono l’Iran? Lo stato di Israele, in attesa di dovere difendersi dalle aggressioni nucleari minacciate da Mahmoud Ahmadinejad, ha iniziato un’altra guerra, diplomatica, contro l’Aiea, l’agenzia atomica dell’Onu che dovrebbe impedire la proliferazione nucleare, e contro il suo segretario pro tempore Mohammed El Baradei. Accusato di essere stato quanto meno parziale nei suoi ultimi rapporti in cui suggeriva persino di non inasprire le sanzioni contro Teheran. E qualche maligno fa notare che avendo lui notoriamente una moglie di origini iraniane, con tanti parenti importanti in quello Stato, potrebbe trovarsi nel più classico dei casi di conflitto di interesse nel dovere valutare l’opportunità di inasprire o meno suddette sanzioni. Ieri poi le ultime dichiarazioni dello stesso Ahmedinejad hanno di fatto reso ridicola l’ultima relazione in cui El Baradei per poco non negava pure l’esistenza di un pericolo Iran. In passato peraltro lo stesso El Baradei, che essendo egiziano di certo non può nutrire grandi sentimenti di solidarietà con lo stato ebraico, aveva avuto altre uscite infelici come quella di dire che “in fondo l’atomica iraniana si può considearare un tentativo di riequilibrio da parte di Teheran della situazione di nuclearizzazione in quell’area, visto che Israele l’atomica già ce l’ha”.

Considerazione un po’ infame peraltro condivisa anche dal consigliere militare del governo Prodi. Ahmadinejad ieri ha ammesso di avere ormai in funzione 3 mila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio. Segno che la diplomazia non serve più e le sanzioni arrivano ormai troppo tardi. Se mai arriveranno. Addirittura persino D’Alema, che è come dire l’uomo che morde il cane, ieri ha ammesso durante la visita di stato del sovrano saudita Abdallah che “i tentativi del ’5+1’ sulla crisi nucleare iraniana non hanno avuto grande successo e l’Italia non è particolarmente desiderosa di unirsi a questo gruppo”. Sottinteso, dei falliti della diplomazia. Il ’5+1’ (per la cronaca si tratta dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu più la Germania) per D’Alema “è un un gruppo di lavoro che finora ha compiuto un tentativo generoso ma senza successo”. Il titolare della Farnesina ieri ha affermato tutto questo rispondendo a chi gli chiedeva se il formato di questo gruppo potesse allargarsi anche all’Italia, divenendo un ’5+2’. Ma Massimo D’Alema ha subito stoppato l’idea: “non è che siamo particolarmente mossi dal desiderio di unirci a un’iniziativa che finora non ha ottenuto neanche grandi risultati”.

Il nostro furbissimo ministro degli esteri infatti è pronto a montare sopra iniziative diplomatiche che diano visibilità, come la conferenza di pace sul Libano dell’estate del 2006, da cui scaturì la decisione di mandare i soldati italiani in Libano a far finta di disarmare gli Hezbollah. Ma in un “cul de sac” diplomatico senza sbocchi non ci si infila: mica è scemo! Rimane il problema di come gestire il dossier iraniano con la consapevolezza di avere anche un El Baradei che rema contro. Più passa il tempo e più l’opzione militare statunitense sembra oramai l’unica possibile. Visto che l’Europa ha dato decisamente prova di impotenza, specie con il tenativo di Javier Solana, l’uomo che scriveva i discorsi e gli articoli a Yasser Arafat. Che risultati infatti ha raggiunto Solana con Teheran? Tre anni di tentativi e iniziative... e alla fine il risultato è che Ahmadinejad dichiara: “abbiamo tremila centrifughe in funzione”?

Allora bisogna domandarsi a chi sono serviti tutti questi anni di trattative. Forse all’Iran per terminare la costruzione di queste tremila centrifughe dichiarate? D’altronde ormai gli esperti di geopolitica non si chiedono più se l’America bombarderà, ma quando. E una data potrebbe anche esserci: subito dopo le elezioni presidenziali americane di novembre 2008, quando un’eventuale decisione in tal senso dell’amministrazione Bush non potrebbe più danneggiare il candidato repubblicano. Lasciando, in caso di sconfitta, la patata bollente a Hillary Clinton o chi per lei. Un po’ come fece Bush padre con Clinton con la prima guerra del Golfo.

Dal GIORNALE un articolo di Maria Giovanna Maglie:

Alle agenzie parole come pietre. L’Italia si oppone a qualsiasi soluzione militare in Iran perché oltre a non risolvere il problema aprirebbe ulteriori scenari destabilizzanti in tutta la Regione. A chi lo ha detto il premier Romano Prodi? Lo ha detto al re dell’Arabia Saudita, Abdullah. Non basta, Prodi gli ha anche ricordato che questo mese il direttore generale dell’Aiea Mohammed El-Baradei, che è come dire il niente trasformato in dirigente, presenterà il suo rapporto sulla «cooperazione dell’Iran nel chiarire alcuni aspetti del programma nucleare che hanno destato notevoli legittime apprensioni». A questo punto Prodi ha ritenuto di poter rassicurare il re saudita. «Si tratterà di uno snodo cruciale per capire la reale volontà iraniana di cooperare» gli ha spiegato, ribadendo «il pieno diritto dell’Iran a sviluppare un programma nucleare pacifico e al tempo stesso il pieno diritto della comunità internazionale di verificarne rigorosamente, attraverso gli strumenti giuridici esistenti, l’effettiva natura pacifica». Così re Abdullah, che era arrivato in Italia in una missione di straordinario sforzo, quasi rivoluzionaria, che per fortuna si è concretizzata nell’incontro con Benedetto XVI, si è sentito fare la lezioncina dal premier italiano sulla possibilità che davvero l’Iran di Ahmadinejad voglia sviluppare un nucleare per uso pacifico, e persino che la comunità occidentale e internazionale possa verificare che uso Ahmadinejad fa di qualunque cosa nel proprio Paese: dal nucleare alla vita delle persone.
Nessuno ha messo nella cartella stampa di Prodi e nella preparazione dell’incontro col re saudita, evidentemente, la notizia del mattino: Mahmoud Ahmadinejad parlando ad un comizio nell’est dell’Iran ha inviato l’ennesimo messaggio agli Usa e ai Paesi europei. Sono contento, ha detto in sostanza, che gli Usa e i Paesi europei abbiano accettato il fatto che Teheran si sia dotata di tremila centrifughe per l’arricchimento dell’uranio, anche se non so se saranno contenti di sapere che la produzione continuerà al ritmo che l’Iran vuole, senza accettare alcuna limitazione dalla comunità internazionale. Ahmadinejad è andato avanti così, autoglorificandosi e sfottendo gli altri: gli Stati Uniti sono pronti a negoziare con me se accetto di sospendere la produzione di centrifughe, ma io non voglio negoziati con loro, non ci interessano le loro condizioni. Semmai dovremmo essere noi, l’Iran, a porre condizioni ai criminali, non loro. Ce n’è anche per gli europei, e infatti Ahmadinejad afferma che «due o tre di loro hanno ormai ingoiato il numero di tremila centrifughe e hanno proposto di trattare solo sul ritmo di crescita di questa produzione, insomma quante centrifughe funzionano ogni giorno e ogni settimana».
Ora, mettendo insieme le frasi infelici di Romano Prodi al re saudita con la dichiarazione di Ahmadinejad sui Paesi europei che hanno ingoiato il nucleare iraniano, voi che cosa deducete? E che cosa avrà dedotto il re Abdullah?
In realtà il caso non è chiuso per niente, è solo Prodi che pensa che sia così. Angela Merkel, Cancelliere tedesco, sta per andare da Bush perché le è chiaro che l’Iran vuole tirar dritto sul nucleare; George Bush non esclude il ricorso a un’operazione militare; la crisi sembra diventare più grave di giorno in giorno. E non sarà un caso se Angela Merkel va da Bush e non dagli altri partner europei. Naturalmente anche nell’atteggiamento della Merkel c’è una debolezza: come può credere il Cancelliere tedesco di convincere Russia e Cina ad applicare sanzioni sull’Iran? Finora non è mai accaduto, perché dovrebbe accadere in una situazione di crisi più intensa che non in momenti passati, soprattutto con le elezioni americane e la sostituzione di Bush a un anno di distanza?
Resta l’incredibile gaffe, o forse la straordinaria malafede con la quale il premier italiano ha ritenuto di dover trattare un personaggio come Abdullah, che è venuto a stringere la mano al Papa, a citare esplicitamente nel comunicato finale gli ebrei, insomma ad avviare un’operazione di grande coraggio con la quale si avvicina al mondo cristiano e in seguito si avvicinerà ad Israele, correndo rischi e sapendo di pagare prezzi alti.

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