Gli Usa protestano contro la repressione in Pakistan
Ennio Caretto attacca Condy Rice: è diventata troppo "neo-con"
Testata: Corriere della Sera
Data: 05/11/2007
Pagina: 1
Autore: Ennio Caretto
Titolo: Il crepuscolo di Condoleezza scottata dall'ultimo fallimento
Curiosa modo di affrontare la repressione decretata da Pervez Musharraf in Pakistan e le proteste americane, quello di Ennio Caretto sul CORRIERE della SERA.
Decreta il fallimento politico di Condoleezza Rice e, soprattutto, della democratizzazione del Medio Oriente e del "Grande Medio Oriente".
Invoca il ritorno alla politica "realista", capace di chiudere un occhio su democrazia e diritti umani in nome della "stabilità". Quella stessa stabilità che ha prodotto l'11 settembre...
Già, perché bisognerà pure ricordarlo a quanti pur di attaccare l'amministrazione Bush sono disposti a teorizzare, più o meno apertamente, il ruolo positivo delle dittature nell'ordine internazionale: l'esportazione della democrazia  è un progetto che, come naturale, incontra difficoltà e rallentamenti e una violenta opposizione, in primo luogo da parte dei dittatori che a causa di essa rischiano di perdere il "posto". Ma non è affatto il frutto di un avventurismo irresponsabile. E' il frutto del fallimento della strategia alternativa, quella degli accordi con i tiranni e con i terroristi, che oggi  da più parti
si vorrebbe irresponsabilmente riproporre.

Ecco il testo:

WASHINGTON — Fino a un anno fa, Condoleezza Rice era la Superstar dell' amministrazione Bush. Nell'avvenente, articolata segretaria di Stato che amava indossare stivali e vestiti di cuoio neri, il mondo scorgeva la portatrice di democrazia e la pacificatrice dell'Islam in tumulto, il volto umano dell'America. I media, giornali e televisioni, la osannavano.
Scrivevano e dicevano che - nonostante le smentite - si sarebbe candidata alla Casa Bianca coi repubblicani contro la ex first lady democratica Hillary Clinton, e che avrebbe vinto. Per i politici, «Condi» era un altro George Marshall, il genio della ricostruzione dell'Europa dopo la seconda guerra mondiale, o un altro Henry Kissinger, l'architetto della distensione nella guerra fredda. E tra le minoranze Usa, da cui proviene, «Miss diplomazia » incarnava l'«American dream »: la donna più potente del Paese, la prima nera a reggere una delle più alte cariche dello Stato.
Ma nell'ultimo anno, dal Medio Oriente all'Asia centrale e alla Russia una serie di rovesci di politica estera ha scalfito l'immagine di Condi Superwoman, e l'imposizione della legge marziale in Pakistan minaccia ora di distruggerla. Per mesi, la segretaria di Stato aveva tentato d'indurre il leader pakistano Pervez Musharraf, un generale golpista, a dividere il potere con l'ex premier Benazir Bhutto, e a tenere libere elezioni. Il «no» di Musharraf è una sua sconfitta personale: Condi rischia di lasciare in eredità al successore, oltre alle crisi mediorientali, alle guerre dell'Iraq e dell'Afghanistan (e forse dell'Iran), e alle tensioni con la Russia, anche un Pakistan — sinora l'unica nazione islamica con la bomba atomica— infiltrato da Al Qaeda e i talebani, e dunque esposto al terrorismo, e sull' orlo della guerra civile. Il suo disegno di una Pax americana in una democrazia globale appare ormai inattuabile.
Ieri, la Rice ha ammonito che l'America potrebbe ridurre gli aiuti al Pakistan «non destinati alla lotta al terrore». Ma essi sono una frazione dei quasi 2 miliardi di dollari annui versati a Musharraf: «La realtà — ha rilevato il politologo Shepen Cohen — è che in Pakistan siamo pressoché impotenti». Secondo David Ignatius, un opinionista del
Washington Post, perché la sua stella torni a brillare Condi ha bisogno di un grosso successo, a esempio la pace tra gli israeliani e i palestinesi. Ma per i suoi sempre più numerosi critici, un successo del genere è improbabile.
Il crepuscolo di Condi era stato anticipato da Maureen Dowd, la feroce opinionista del New York Times,
che un anno fa l'aveva definita «la chitarrista aerea» per la sterile diplomazia pendolare: «Superbabe », aveva asserito, «vola verso la paralisi ». Oggi anche alcuni suoi ex sostenitori temono che sia irreversibile, ne testimoniano due libri appena usciti.
Nel primo, «The confidante», Glenn Kessler, un giornalista che ha viaggiato e viaggia spesso al seguito della segretaria di Stato, le rinfaccia di avere tradito la scuola realista di Kissinger, a cui apparteneva, e avere abbracciato il messianesimo del presidente Bush, sacrificando gli equilibri internazionali all' ideologia: «Ne doveva essere la maestra », ha lamentato, «ma ne è diventata l'alunna». Nel secondo, «Daydream believers» (I credenti nel sogno a occhi aperti), lo storico militare Fred Kaplan le rimprovera di avere raggiunto solo un obbiettivo, l'accordo sul disarmo atomico della Corea del Nord, e di avere «sprecato molte grandi occasioni», in particolare in Libano. Il giudizio di Kaplan è spietato: «Alla Casa Bianca fu il peggiore consigliere della sicurezza nazionale della storia, esautorato dal vicepresidente Cheney e dal ministro della difesa Rumsfeld ». Come diplomatica, non avrebbe fatto molto meglio.
E' un processo in parte ingiusto: in America, la politica estera la detta il presidente, e Condi ne è una delle tante vittime. Ma è innegabile che il suo inizio folgorante nel 2005 — le elezioni in Iraq, Ucraina e così via, l'espulsione della Siria dal Libano — non abbia avuto un seguito. E che neppure oggi la segretaria di Stato riesca a neutralizzare Cheney, l'ultimo falco dell'amministrazione: Bush ascolta più la voce del vicepresidente che la sua. Per un'ironia della storia, Condi si trova nella stessa posizione del predecessore Colin Powell: sebbene lo smentisca, non di rado dissente dalla linea ufficiale, ma non si dimette nella speranza di modificarla. «Un sogno infranto », ha affermato brutalmente Kaplan. «Quando l'America avrà scordato il suo fascino e la sua fama, rimarrà il suo epitaffio. Ed esso dirà: perseguì la democrazia a spese della stabilità, e non realizzò nessuna delle due».

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