Pkk, questione armena, ingresso in Europa
intervista al premier turco Recep Tayyip Erdogan
Testata: La Repubblica
Data: 05/11/2007
Pagina: 1
Autore: Marco Ansaldo
Titolo: Erdogan "Pronti a colpire in Iraq"

Da La REPUBBLICA  del 5 novembre 2007:

«La pazienza del popolo turco è ormai al limite. Troppi soldati sono morti per gli attacchi del Pkk. Ora per proteggere i nostri cittadini prenderemo tutte le misure possibili, inclusa quella di un´operazione militare oltrefrontiera. Combattere il terrorismo è diventata la priorità del mio governo».
Recep Tayyip Erdogan ha la solita stretta di mano calda, tipica dei leader politici abituati a incontrare centinaia di persone. Anche in questi giorni difficili, appare pacato e tranquillo come sempre, con una sorta di silenziosa forza interiore che lo sorregge nei momenti più tesi. Ma questa volta le sue parole, al solito molto ponderate, non rinunciano a contenere messaggi precisi.
Il momento lo richiede. Oggi il premier turco è infatti negli Stati Uniti per discutere con George W. Bush se dare o no l´ordine ai 100 mila soldati già pronti alla frontiera di oltrepassare il confine con l´Iraq. Domani sera Erdogan arriva invece in Italia, e qui spiegherà le sue scelte. Prima di partire da Istanbul alla volta di Washington e di Roma, il capo del governo di Ankara ha concesso questa intervista a Repubblica
UN´INTERVISTA in cui affronta non solo il nodo curdo, ma anche la questione del genocidio armeno, il conseguente diverbio con gli Usa, e le difficoltà dell´ingresso in Europa. I convenevoli in un inglese ormai sciolto - «come sta? bene, grazie» - poi le sue risposte fluiscono rapide in turco.
Signor primo ministro, la situazione nel Nord Iraq si aggrava di giorno in giorno. Come vede le cose nelle ultime ore?
«Vedo che l´organizzazione terrorista del Pkk continua a comprare armi, accresce le sue finanze con attività illegali, addestra i suoi militanti, fa propaganda attraverso radio e televisione. Ma soprattutto commette atti terroristici contro la popolazione civile e le forze di sicurezza, infiltrandosi alla frontiera».
Proprio qui a Istanbul nella conferenza appena conclusa sull´Iraq il governo di Bagdad si è impegnato con quello americano per sradicare i campi del Pkk. Vi basta?
«Abbiamo espresso le nostre preoccupazioni più volte sia a loro sia alla forza multinazionale responsabile della sicurezza in Iraq. Ma fino adesso non è stato fatto nessun passo concreto. La Turchia sostiene l´integrità territoriale irachena e vuole vedere risolte le difficoltà del suo popolo. Ma la minaccia terrorista che proviene da lì è un problema importante nei nostri rapporti».
E dunque?
«Dunque è un problema che va eliminato. L´Iraq ha l´obbligo di prevenire questi attacchi terroristi. Molti trattati lo confermano».
Lei allora ritiene possibile un vostro intervento militare oltre frontiera?
«La pazienza della gente turca ha raggiunto il limite, per le perdite sofferte. Solo nelle ultime settimane i terroristi del Pkk hanno ucciso più di 40 fra cittadini e soldati. Questo stato di cose ha creato sconcerto. Combattere l´organizzazione terrorista che ha causato la morte di più di 35 mila persone negli ultimi 23 anni è diventata la priorità del nostro governo».
E che cosa siete pronti a fare?
«Prenderemo tutte le misure possibili, come ogni Paese che ha la responsabilità di proteggere i propri cittadini. Il nostro Parlamento ha dato mandato al mio governo, con una maggioranza del 90 per cento dei voti, di prendere tutti i provvedimenti del caso, incluso quello di un´operazione oltre frontiera. E sebbene il governo possa benissimo orientarsi in quel senso, la nostra sincera speranza è che l´Iraq adempia al più presto alle sue responsabilità ed elimini la minaccia terrorista».
La crisi si era aperta con la recente bozza di risoluzione sul genocidio armeno approvata negli Usa. Quanto tutto ciò mette in pericolo i vostri legami con Washington?
«Ci siamo irritati per la decisione presa dalla commissione esteri della Camera americana. La bozza non solo mette in pericolo i rapporti con un amico e un alleato, ma è controproducente per i nostri sforzi di normalizzazione fra turchi e armeni».
E qual è la sua posizione in materia?
«Come si sa la natura degli eventi del 1915 è ancora controversa. I circoli armeni e i loro sostenitori sostengono che la Legge di ricollocazione fatta allora dal governo ottomano fu un atto deliberato per annientare tutti i soggetti armeni. Dall´altra parte, numerosi noti studiosi turchi, americani ed europei stabiliscono che tutto ciò non si può invece caratterizzare come genocidio, ma come una misura di guerra presa per ragioni di sicurezza».
In ogni caso, non pensa che questo nodo possa essere finalmente un´occasione per la Turchia di affrontare la sua storia passata?
«Ma noi sappiamo bene che ci sono percezioni diverse nei due paesi sui resoconti di quegli avvenimenti. E in più sappiamo quanto entrambi, sia gli armeni sia i turchi, siano molto sensibili su questo. È perciò che la Turchia si sta spendendo da anni perché quel periodo così dibattuto della storia sia valutato dagli storici, non dai Parlamenti».
Lei che cosa propone?
«Già nel 2005 ho offerto al capo di Stato dell´Armenia di esaminare la nostra storia comune attraverso lo studio di documenti d´archivio non contestati, da parte di storici turchi, armeni e, se necessario, di altri paesi. Però la nostra offerta è ancora sul tavolo. Finora l´Armenia non ha dato una risposta positiva. E la decisione della commissione americana è stata dunque sventurata. Ci aspettiamo che prevalga il buon senso e che ora la bozza non sia esaminata dalla Camera».
Lei arriva in Italia in un periodo in cui le relazioni fra Turchia ed Europa si trovano a uno stadio molto delicato. Negli ultimi cinque anni il suo governo ha fatto parecchi sforzi per il vostro ingresso nella Ue, e anche riforme. Sarà sufficiente tutto ciò ad abbattere la diffidenza europea?
«Come molti grandi viaggi, di tanto in tanto può capitare di incontrare momenti difficili sulla via dell´adesione. Noi siamo determinati a portare avanti il nostro obiettivo, per entrare come membri a pieno titolo. In questi cinque anni abbiamo lavorato duramente. E ottenuto di più in questo periodo che nei 50 anni precedenti».
Ma quanto ancora credono i turchi in una risposta positiva da parte europea alla vostra richiesta di entrare a far parte dell´Unione?
«Certo, gli annunci scoraggianti provenienti a volte dai nostri partner comunitari hanno creato frustrazione nella gente. Anche se è naturale che in questa fase non tutti possano convincersi dei molti vantaggi che l´adesione turca porterà all´Unione europea. Ai più reticenti io dico: mantenete una mente aperta. Ci vuole una buona dose di coraggio e uno sforzo consapevole per liberarsi da pregiudizi spesso viscerali. Ma tutte e due, la Turchia e l´Europa, meritano più di questo».
E lei personalmente sente di andare più d´accordo con Romano Prodi o con Silvio Berlusconi?
«L´Italia è un nostro grande sostenitore nel processo europeo. Durante la mia visita a Roma daremo nuovo impulso a una relazione già ben avviata. Il mio rapporto personale è eccellente sia con il presidente del Consiglio precedente che con quello attuale».
Ma per Ankara il processo europeo non è anche una questione di tempo?
«L´ingresso della Turchia è parte della visione globale dell´Unione. Quel che conta qui è se entrambe, Europa e Turchia, vogliano cogliere l´opportunità che si presenta per forgiare un destino comune, una prova che l´Alleanza delle civiltà è realizzabile».
Sarebbe accettabile per voi attendere fino al 2015-2020 o, come di recente sostengono alcuni, fino al 2025-2030 per ottenere l´adesione piena?
«Dobbiamo mantenere il momento di questa occasione e continuare a costruire oltre la nostra partnership. La qualità del nostro ingresso è importante tanto quanto la lunghezza del percorso necessario a raggiungere la membership piena. C´è da fare ancora molto e la Turchia dovrà affrontare sfide difficili. Ma è una sfida anche per i governi europei. Non dimentichiamo che l´appoggio continuo dell´opinione pubblica turca è un fattore essenziale. I leader europei dovrebbero inviare messaggi incoraggianti per mantenere e rivitalizzare il sostegno della gente. Questo non vuol dire, naturalmente, che siamo indifferenti allo scorrere del tempo».
Eppure lei non ha a volte la sensazione di un isolamento della Turchia, presa com´è su tanti fronti, quello del Pkk, quello armeno, ma anche quello europeo e adesso anche dal confronto con gli Usa?
«No, non ne vedo ragione. Siamo un membro della Nato dal 1952, siamo partner strategici con gli Stati Uniti, e un paese candidato in Europa che sta negoziando il suo ingresso a pieno titolo. Siamo un paese democratico, pluralistico, con un sistema politico laico e un mercato libero e robusto. Considerando l´importanza superiore della solidarietà internazionale contro il terrorismo dopo l´11 settembre, la Turchia non è e non dovrebbe essere lasciata sola nella sua battaglia contro il Pkk. Perché solo un impegno fermo contro il flagello del terrorismo può assicurare la sua sconfitta totale».

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