Riappare Osama bin Laden e indica amici e nemici
+ una lezione da Guantanamo
Testata: Corriere della Sera
Data: 08/09/2007
Pagina: 2
Autore: Guido Olimpio
Titolo: Osama ricompare - Meglio restare a Guantanamo

Due servizi da Washington sul CORRIERE della SERA di oggi,08/09/2007 a pag.2, di Guido Olimpio. Il primo sulla ricomparsa di Osama bin Laden con un nuovo messaggio-video, il secondo su Guantanamo, che dedichiamo a quanti ne chiedono la chiusura "in nome dei diritti umani".

Ecco il primo, dal titolo: " Osama ricompare i video, Americani abbracciate l'Islam"

WASHINGTON - Osama è l'uomo delle sorprese. Forse perché gli ricordano le incursioni dei ghazva, i cavalieri sacri che gettavano nel terrore nemici «grassi e corrotti». Così alla vigilia della sua più grande sorpresa, l'11 settembre, riappare mettendo fine al lungo isolamento mediatico con l'atteso video. E ripete agli americani: se volete fermare la guerra dovete abbracciare l'Islam, questa è la sola via di redenzione. Bin Laden esorta gli avversari a non farsi illusioni. Malgrado la potenza economica gli Stati Uniti sono «deboli» e ricorda come 19 giovani — i kamikaze dell' 11 settembre — siano riusciti a cambiare «la direzione della bussola». Immediata la replica del presidente americano George W. Bush: «Quel video ci ricorda che viviamo in un mondo pericoloso».
Il video di 30 minuti, messo su Internet e poi trasmesso da Al Jazeera, ricorda molto quello dell'ottobre 2004, l'ultima apparizione databile del Califfo. Osama vi appare seduto, con il copricapo candido. Cambia il colore della barba. È nera e non grigia, sembra finta. Ad una prima analisi l'intelligence sostiene che il documento sembrerebbe «autentico» e recente. Diversi gli indizi. Il riferimento all'elezione del presidente francese Sarkozy (maggio), al nuovo premier britannico Brown (designato in giugno), ad una intervista ad un soldato britannico andata in onda in luglio, alle cerimonie per Hiroshima e Nagasaki (6 agosto).
Osama si atteggia a predicatore, con venature anti-globalizzazione emerse in altri messaggi. Elenca le colpe dell'Occidente, dall'Inquisizione al massacro dei nativi americani. Se la prende con i democratici perché non hanno messo fine alla guerra in Iraq, denuncia la collusione tra il governo e il potere economico — lo aveva già fatto nel 2004 —, elogia lo scrittore Noam Chomsky, avverte gli Stati Uniti a non ripetere gli errori compiuti dall'ex Urss. Bin Laden traccia un parallelo tra la sconfitta patita dai sovietici in Afghanistan e quella che starebbero subendo le forze statunitensi in Iraq. Curiosa la citazione del libro di Michael Scheuer, lo 007 Cia che per anni ha diretto l'unità che gli dava la caccia: «Se volete capite perché state perdendo leggetelo ».
Beffarda la conclusione. Nell'esortare gli americani alla conversione, ricorda a loro che nell'Islam, dice, non ci sono tasse. E afferma di essere a conoscenza «del peso dei vostri debiti, delle imposte assurde e dei mutui immobiliari». In apparenza nel video non ci sono minacce esplicite, ma il direttore della Cia Michael Hayden ha ammonito a non abbassare la guardia perché Al Qaeda starebbe preparando una vasta serie di attentati.
Ora la parola passa agli analisti che hanno avuto il video prima che venisse diffuso. Un team è già al lavoro. La voce, secondo i primi esami, sarebbe autentica. Ci sono poi gli altri dettagli come la «scena» e il testo del discorso. Alcuni esperti si sono soffermati sulla barba nera. Il Califfo ha deciso di tingersela — ha azzardato uno studioso — perché così fanno molti integralisti. Altri invece hanno pensato ad un ritocco digitale ed hanno fatto raffronti con il video del 2004, in quanto ad una prima comparazione presentano molti punti in comune. Un esperto ha mostrato ad un congresso a Las Vegas come diversi filmati di Ayman Al Zawahiri e dello stravagante Azzam l'americano siano stati manipolati al computer. Con l'inserimento di scene, oggetti, sfondi, simboli, scritte. Celebre quello in cui il braccio destro di Osama, Al Zawahiri, parla da uno studio televisivo. Ebbene: lo studio, secondo l'esperto, non esiste. Nel video originale il medico egiziano aveva le spalle uno sfondo normale e solo successivamente è stato inserito l'arredamento. Poster con Mohammed Atta, le Torri Gemelle, persino i microfoni in alto. La stessa cosa si è ripetuta quando Al Zawahiri ha fatto un discorso — sempre in video — in occasione del Ramadan. Il ritoccatore ha aggiunto una libreria e un piccolo cannone su una mensola.
Dettagli che confortano tanto coloro che credono nella serietà della minaccia quanto gli scettici, convinti che Osama sia ormai una creatura resuscitata dal computer. Se è possibile alterare le immagini, lo si può fare anche con il sonoro. È ovvio chiedersi perché mai i qaedisti, così attenti alla propaganda, non forniscano elementi più sicuri per dimostrare che il leader è davvero in vita. Basterebbe poco, visti i mezzi tecnici a disposizione. E la storia delle esigenze di sicurezza regge solo in parte, visto che il movimento ha una produzione di messaggi altissima. Dubbi che introducono l'altro tema. Dove si nasconde? La risposta è la solita quanto banale: in un punto imprecisato dell'estesa frontiera tra Pakistan e Afghanistan. Le ultime indiscrezioni lo danno di nuovo nelle grotte di Tora Bora, il rifugio da dove era riuscito a scappare nel 2001, braccato dalle forze speciali americane e dai raid aerei. Non è cambiata neppure la versione su chi lo protegge. Un cerchio esterno formato da miliziani pachi.

Il secondo, dal titolo " Meglio restare a Guatanamo che essere torturati a casa"

WASHINGTON — Le celle di Guantanamo sono come delle bare, dove i detenuti sono chiusi in isolamento per 22 ore. Ma certamente sono meglio delle oscure galere nordafricane, dove botte e tortura sono la legge. Con il rischio di sparire definitivamente. Per questo molti prigionieri, presunti terroristi di Al Qaeda, sono arrivati a dire: «Meglio stare nel campo di Guantanamo che finire in quell'inferno». Uno di loro, l'algerino Ahmed Belbacha, si è appellato a una Corte Usa chiedendo di non essere rimandato in patria in quanto teme per la sua sorte. Due tunisini, Abdullah Ben Amor e Lofti Lagha, hanno invece chiesto aiuto a Human Rights Watch, l'organizzazione per i diritti umani. Entrambi, dopo aver scontato 5 anni di detenzione a Guantanamo, sono stati consegnati alle autorità del loro Paese. Che li hanno subito rimessi dentro una prigione, sottoponendoli — accusano — a violenze. Uno di loro ha raccontato di essere stato percosso più volte dalle guardie, che minacciavano di violentare la moglie e la figlia.
Sia Belbacha che i tunisini negano ovviamente qualsiasi legame con il terrorismo. Il primo ha sostenuto di essere scappato in Gran Bretagna nel 1999 perché minacciato da un gruppo integralista. Due anni dopo però si lascia convincere da un amico a recarsi in Pakistan «per ragioni di studio». Una versione — insieme a quella del cercare moglie — data da molti integralisti per giustificare il viaggio a Oriente. Simile la storia dei tunisini, catturati attorno al 2002 in Pakistan.
Il problema dei «ritornati» da Guantanamo rischia di ampliarsi in quanto gli Stati Uniti stanno riducendo il numero di prigionieri (oggi ve ne sono circa 350) rispedendoli a casa. In risposta alle preoccupazioni di
Human Rights Watch, Washington ha affermato che prima di consegnare i detenuti vengono chieste delle garanzie. Ma è evidente che si tratta di una formula ipocrita. Tutti sanno che in Algeria, Tunisia, Marocco, Giordania, Libia — per citarne alcuni — si usa la tortura. Tanto è vero che gli stessi americani hanno inventato il sistema delle «rendition» (consegne speciali): il terrorista viene trasferito in Nord Africa o in Medio Oriente proprio perché lì sanno come farlo parlare.
Il lento programma di riconsegna deciso dal Pentagono si somma alla prossima costruzione di un tribunale ad hoc sull'isola, in aggiunta a quelli esistenti. Le autorità militari intendono processare almeno 80 degli oltre 300 prigionier. I procedimenti giudiziari speciali potrebbero favorire un ridimensionamento del campo.

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