Il gran giorno della propaganda siriana
rassegna di quotidiani
Testata:
Data: 07/09/2007
Pagina: 0
Autore: la redazione - Francesca Paci - Gian Micalessin - Marco Marozzi - Umberto De Giovannageli - Michele Giorgio - Uri Avnery
Titolo: Siria: respinti aerei israeliani - Siria- Israele: Prodi preoccupato - Damasco: attaccati dai jet di Israele - Israele-Siria, un aereo fa impennare la tensione

"Una provocazione deliberata che uccide gli sforzi di pace" - La Siria: jet israeliani hanno sconfinato e bombardato -  Raid aereo in Siria, Israele prova la prossima guerra - I giochi col fuoco di Olmert e Barak


ANSA
sposa
a pieno la versione siriana sulla presunta incursione israeliana: 

(ANSA) - DAMASCO, 6 SET - La contraerea siriana ha respinto aerei israeliani che erano penetrati nello spazio aereo siriano.Secondo un portavoce militare l'incursione e' avvenuta nella notte nel nord-est, dove caccia israeliani hanno 'sganciato il loro carico' in un' 'area non popolata', ma 'la difesa antiaerea ha risposto all'incursione'. Per la Tv i caccia israeliani avrebbero colpito anche una seconda localita' nel sud-est della Siria
Israele non conferma.

E riporta le dichiarazioni del vicepresidente siriano Sharaa, la preoccupazione di Prodi, che teme "reazioni incontrollate"  a un evento la cui dinamica è per altro ancora da chiarire.

(ANSA)-ROMA,6 SET-Romano Prodi esprime 'profonda preoccupazione' per le notizie di un incidente militare tra Siria ed Israele. Il premier, al termine dell'incontro con vicepresidente siriano Sharaa, fa un appello alla 'calma' per evitare che stati di tensione posano scatenare 'reazioni incontrollate'. Per il vicepresidente siriano l'attacco di Israele e' stato deliberato. Sharaa ha quindi precisato che 'l'aggressione non interrompera' i nostri sforzi per la pace'.

Francesca Paci nella sua cronaca pubblicata da La STAMPA (pagina 17) equipara la diffidenza israeliana verso la Siria, fondata su fatti come il sostegno al terrorismo e l'alleanza con l'Iran, a quella siriana verso Israele, che può essere al limite fondata sull'adesione alle menzogne della propria stessa propaganda.
Così  le dichiarazioni di odio antisraeliano del
"columnist della tv di Hezbollah al Manar" e la propaganda del ministro siriano Farouk al Shara vengono poste accanto alle valutazioni degli analisti israeliani senza l'ombra di una distinzione, come se avessero la stessa attendibilità. Il titolo dell'articolo "Damasco: attaccati dai jet di Israele", sposa integralmente la poco credibile versione siriana, enfatizzandola (sganciare due bombe, o due serbatoi, su una zona disabitata non è un "attacco")
Ecco il testo 


Gli albergatori di Hagoshrim, una cittadina sul Golan a pochi chilometri dal confine minato, hanno già ricevuto le prime prenotazioni di giornalisti stranieri. La notizia dei caccia israeliani intercettati ieri nel nord della Siria e respinti dalla contraerea di Assad ha mobilitato la stampa. A Gerusalemme i militari rifiutano di commentare l’incidente, illudendosi che tacerlo ne neutralizzi gli effetti. Ma dopo l’annuncio dell’agenzia siriana Sana nei dibattiti tv, sull’autobus, al mercato, non si parlava d’altro: «Siamo in guerra?».
Dalla fine del conflitto con Hezbollah i rapporti con Damasco sono tesi. A luglio, intervistato dalla tv al Arabya, il premier israeliano Olmert aveva teso la mano al nemico: «Sono pronto a incontrare il presidente Bashar al Assad, gli americani non vogliono mediare e l’iniziativa tocca a noi». Il prezzo della pace è la restituzione delle alture del Golan, occupate da Israele nel 1967 e annesse nel 1981.

Le circostanze in cui Israele ha "occupato" il Golan (una guerra di difesa), andrebbero ricordate (n.d.r).

Per tutta l’estate i politici di ambo le parti hanno sponsorizzato il dialogo, mentre gli eserciti divisi dal filo spinato scavavano trincee lungo la frontiera. Dietro il linguaggio diplomatico Gerusalemme accusa Damasco di finanziare il terrorismo palestinese e Damasco ride della buona fede di Gerusalemme. Gli F16 in volo oltre cortina rischiano d’essere il casus belli.
Secondo l’agenzia Sana, mercoledì notte una coppia di caccia israeliani in arrivo dal Mediterraneo ha «violato lo spazio aereo siriano sganciando il proprio carico in un’area non popolata vicino a Tall al-Abyad». Una provocazione, dice il ministro dell’informazione siriana Moshen Bilal: «Abbiamo respinto l’incursione e stiamo seriamente valutando la natura e l’entità della risposta». Il columnist della tv di Hezbollah al Manar, Faiz a-Sayeg, è convinto che Israele «non può vivere senza aggredire i Paesi vicini». La prova? «I 30 miliardi di dollari appena ricevuti dagli americani per rinnovare l’arsenale bellico, il prossimo passo sarà l’invasione della Siria». E la Siria, afferma il vicepresidente Farouk al Shara dopo un colloquio con il premier italiano Romano Prodi, non si farà cogliere di sorpresa: «Siamo di fronte ad un attacco deliberato». L’alleato più prossimo di Assad, l’Iran di Ahmadinejad non perde tempo: Teheran provvederà, annuncia l’agenzia di stampa Irna, «a qualsiasi tipo di assistenza fosse necessaria in caso di conflitto».
Israele minimizza. «Non vogliamo la guerra con Assad», sostiene Rafi Eytan, parlamentare della destra religiosa di Unione Nazionale. Questo non esclude lo spionaggio: «La Siria è una nazione nemica, è normale che ne monitoriamo i movimenti». Routine. Al punto che Ehud Yaari, analista della rete Channel 2, non capisce l’eco della notizia: «Le nostre attività oltre il confine sono note, tenere un basso profilo conveniva a tutti, a noi per tutelare l’intelligence e a loro per salvare la faccia». L’ultima ufficiale incursione aerea israeliana in Siria risale al 2003, quando gli F16 bombardarono una base del Fronte popolare di liberazione della Palestina, vicino Damasco. Da allora, silenzio. Assad ha cambiato idea? «I siriani hanno colpito qualcosa ma non sanno cosa», osserva Ron Ben-Yishai, esperto del quotidiano israeliano Yidiot Aharonot. «Le loro apparecchiature non sono precise e usano i media. Pensano che denunciando l’invasione riusciranno a ottenere informazioni». L’esercito fa quadrato: no comment sull’incidente.
Uzi Dayan, ex consigliere alla sicurezza nazionale di Ariel Sharon, non nega l’evidenza. Ma nota che potrebbe trattarsi di un bluff: «Damasco sa d’essere sotto controllo, è il ponte tra Iran, Hezbollah e Hamas. Sui cieli siriani non è successo nulla di nuovo». Si tranquillizzino gli israeliani se domani dovessero vedere sulla tv siriana pezzi di F16 a mo’ di trofeo: «Tutti i piloti sono tornati a casa». L’importante è tenere i nervi saldi. E concentrarsi piuttosto sulla partitissima di calcio Israele-Inghilterra, in calendario domani: «Quello è davvero uno scontro che possiamo perdere».

Considerazioni analoghe valgono per il titolo del GIORNALE "Israele Siria, un aereo fa impennare la tensione": a far impennare la tensione è stata semmai lo sfruttamento di un espisodio ancora non chiarito da parte di un regime costantemente ostile a Israele.
Anche  Micalessin, autore del pezzo, riporta piuttosto acriticamente le dichiarazioni siriane, richiama svariate analisi, ma non una elementare considerazione di buon senso: è normale che Israele sorvegli un paese nemico che finanzia il terrorismo. Non ci sarebbe nulla di nuovo in un volo di ricognizione in territorio siriano. Dunque, se Damasco ha deciso di farne un caso deve volerne trarre qualche beneficio politico.
Ecco il testo:


Per un soffio la “calda” estate non è finita in un incendio. Da mesi militari e analisti israeliani s’interrogavano sui rischi di un incidente imprevisto lungo il confine con la Siria, ipotizzavano il rischio di una guerra innescata dal caso lungo una frontiera sempre più calda, sempre più armata e sempre più nervosa. Ieri notte stava per succedere. Non lungo la linea di demarcazione che divide i territori israeliani e quelli siriani del Golan, ma cinquecento chilometri più a nord, in quel deserto arido e disabitato dove i confini di Damasco incrociano quelli di Ankara e Bagdad. Lassù, la scorsa notte, stando ai portavoce siriani, un aereo con la stella di David si infiltra dal mare, viene individuato dai radar e messo in fuga dalle batterie antiaeree dopo esser stato costretto a sganciare il suo carico di bombe e munizioni. «L’aereo – raccontano i portavoce militari siriani - ha attraversato i nostri confini settentrionali provenendo dal Mediterraneo, ha infranto la barriera del suono e ha fatto rotta verso le regioni orientali, ma è stato intercettato dalle unità di difesa antiaerea e costretto a sganciare le sue munizioni in una zona deserta senza causare danni a persone o cose».
Il resoconto viene confermato da alcuni abitanti di Tal al Abiad, una zona al confine tra Siria e Turchia che, ieri mattina, raccontano di aver sentito il rumore di almeno cinque aerei in volo notturno. I vertici politici e militari israeliani, invece, si chiudono a riccio evitando di confermare, negare o commentare le accuse siriane. Il vero mistero è, dunque, cosa ci facessero uno o più aerei israeliani da quelle parti. Le risposte possibili sono almeno tre o quattro e sconfinano tutte, dal punto di vista israeliano, nel segreto di Stato. L’ipotesi più plausibile e più credibile è quella d’una missione d’infiltrazione decisa dai comandi dell’aviazione per verificare le capacità di reazione dei nuovi sistemi antiaerei acquistati dalla Russia e individuare eventuali zone grigie da sfruttare in caso di conflitto. La sottovalutata precisione dei nuovi radar o un semplice inconveniente tecnico potrebbero aver costretto il velivolo israeliano a sganciare il proprio armamento per rientrare più velocemente ed evitare lo sbarramento antiaereo.
Chi prende per buone le dichiarazioni siriane si chiede, però, perché un aereo in missione d’infiltrazione superi la barriera del suono dopo il confine rendendo assai più facile la propria individuazione. Quest’osservazione apre la strada alle più svariate congetture. Qualche esperto militare si limita a ipotizzare uno sconfinamento durante manovre congiunte con l’aviazione turca. Altri azzardano incursioni d’addestramento sulla direttiva dei laboratori nucleari di Teheran o, addirittura, missioni congiunte con gli americani in Irak. Qualunque sia la verità la maggior preoccupazione, a livello politico e militare, è la reazione della Siria e del suo alleato iraniano. In attesa delle decisioni del presidente Bashar Assad, incontratosi ieri sera con ministri e generali, il responsabile dell’Informazione Mohsen Bilal precisa che il suo governo ha «il diritto di reagire» e «di determinare qualità, tipo e natura della risposta all’attacco israeliano». La precisazione è seguita dalla solidarietà dell’ambasciatore di Teheran a Damasco che promette «qualsiasi tipo di assistenza» in caso di conflitto.
L’inconsueto riserbo sul fronte israeliano punta forse a disinnescare la tensione evitando scambi d’invettive in grado di aumentare il nervosismo. Pochi giorni fa i vertici militari israeliani avevano tentato di stemperare la tensione creatasi nel Golan riferendo di un diminuito livello d’allerta delle truppe di Damasco schierate al confine. Dalla fine della guerra del Libano della scorsa estate la mobilitazione di Damasco al confine è progressivamente cresciuta, facendo temere un tentativo di riconquista del Golan.
La vera guerra continua intanto a essere combattuta nelle zone meridionali della Striscia di Gaza, dove ieri le operazioni dell’esercito e dell’aviazione israeliani hanno causato la morte di almeno nove militanti palestinesi.

Andrebbe riscordato che Israele colpisce i miliziani per rispondere alle continue aggressioni terroristiche provenienti da Gaza (da ultimo: il lancio di razzi kassam contro un asilo)

Grande spazio alle dichiarazioni siriane anche su AVVENIRE (pagina 13)

Caccia israeliani avrebbero violato lo spazio aereo siriano per essere poi costretti a ritirarsi di fronte alla reazione della contraerea, e, prima di invertire la rotta, avrebbero «sganciato munizioni», «senza causare perdite di vite umane o danni materiali»: lo ha denunciato all'agenzia di stampa ufficiale Sana un portavoce militare di Damasco. «Gli aerei nemici israeliani - ha spiegato il portavoce - si sono infiltrati nel territorio siriano attraverso il confine settentrionale, venendo dal Mediterraneo, diretti verso la regione orientale, e rompendo la barriera del suono. Unità della difesa aerea li hanno affrontati e costretti a partire dopo che hanno lasciato cadere munizioni in un'area deserta senza causare vittime e o danni materiali». Il presunto sconfinamento risalirebbe alla mezzanotte di mercoledì (intorno alle 23 in Italia). Altre fonti non ufficiali a Damasco hanno confermato che caccia F-16 israeliani - tra i due e i cinque - sono penetrati nello spazio aereo siriano all'altezza del confine con la Turchia, che la contraerea ha aperto il fuoco e che del materiale bellico è stato sganciato a terra. «La Repubblica araba di Siria mette in guardia il governo del nemico israeliano contro qualsiasi azione aggressiva del genere», ha detto ancora il portavoce militare siriano. Mentre il ministro dell'Informazione Mohsen Bilal ha annunciato che Damasco sta valutando la reazione: «La Siria rivendica il diritto di determinare la qualità, il tipo e la natura della rispo-sta all'attacco». Il ministro si è rifiutato di specificare se la la reazione intenda essere militare o diplomatica. «Israele non vuole la pace - ha concluso -, non riesce a sopravvivere senza l'aggres-sione, il tradimento e il messa-ggio militare». In Israele, un portavoce militare si è rifiutato di confermare o smentire il fatto, dicendo solo che «le Forze armate non hanno l'abitudine di rispondere a questo tipo di notizie» e che comunque sarebbero in corso «verifiche». Secondo il sito di intell igence israeliano Debka, l'aviazione è stata però posta in stato di allerta. È intervenuto anche l'Iran, dicendo, per voce dell'ambasciatore a Damasco, Hassan Akhtari, di essere pronto ad «accorrere» in sostegno del regime di Bashar Assad se ce ne fosse bisogno. Qualunque cosa sia realmente accaduta nei cieli siriani, rappresenta un pessimo segnale: Israele e Siria tecnicamente sono ancora in guerra (i negoziati di pace si ruppero nel 2000 sulla questione delle alture del Golan, occupate da Israele durante la Guerra dei sei giorni nel '67 e poi annesse unilateralmente);

Le circostanze in cui Israele ha "occupato" il Golan (una guerra di difesa), andrebbero ricordate (n.d.r).

e proprio in questi giorni si sta discutendo sulla partecipazione di Damasco alla Conferenza internazionale sul Medio Oriente in programma a novembre negli Stati Uniti: una presenza richiesta da molti Paesi arabi e sostenuta da gran parte della comunità internazionale, a condizione che la Siria sappia fornire prove della sua seria intenzione di imboccare la via del dialogo. La Casa Bianca ha rifiutato di commentare le accuse della Siria sul raid aereo israeliano.

La REPUBBLICA (pagina 27) si mostra così sollecita nel riportare la propaganda siriana da dedicare un intero articolo alle dichiarazioni di
  Farouk al Shara, senza commenti:

ROMA - «Una provocazione che uccide gli sforzi di pace. Una provocazione sicuramente deliberata. Lo dimostra la distanza percorsa dai caccia israeliani». Faruk al-Sha´ara, vicepresidente siriano, pesa le parole ma è durissimo. Al suo fianco Romano Prodi è cupo, molto cupo. Parla di «possibile incidente» e subito si corregge. «L´incidente militare fra Israele e Siria», dice, provoca «profonda preoccupazione». Chiama alla «calma, al sangue freddo». «Basta poco - avvia - per scatenare reazioni incontrollabili».
E´ una conferenza stampa tesissima e insieme ricca di messaggi quella che ieri hanno tenuto il n.2 di Damasco e il presidente del Consiglio italiano a Palazzo Chigi. Faruk al-Sha´ara è uno dei collaboratori che il presidente siriano Bashar al-Assad ha scelto fra i fedelissimi del padre. Conosce benissimo l´Italia, dove è stato ambasciatore. Ringrazia Prodi per lo «sforzo enorme» che sta compiendo non solo verso la Siria, ma in Libano e in tutto il Medio Oriente. Una situazione che rischia di essere travolta dall´«incidente». «Abbiamo affrontato molti argomenti - dice al-Sha´ara - però il più importante è stata la violazione del nostro spazio aereo». Chiama Prodi a intervenire anche su Israele. «Gli ho chiesto di attivarsi per evitare il ripetersi in futuro di incidenti come quello della scorsa notte. L´Italia può svolgere un ruolo importante per cercare una soluzione giusta alla crisi mediorientale». «L´aggressione - getta sul piatto della bilancia - non fermerà i nostri sforzi di pace». Ma sull´altro piatto chiarisce: la Siria non «intende accettare una escalation «volta ad annullare» quel che si muove sia verso i palestinesi, che «nell´occupazione in Iraq», che nel panorama mediorientale nel suo complesso. «Israele sta cercando un clima di tensione per giustificare eventuali guerre. Viola la risoluzione 1701 del Consiglio di sicurezza dell´Onu».
Poco prima, incontrando due vecchie conoscenze come Giulio Andreotti e Lamberto Dini, al-Sha´ara aveva detto che Damasco si aspetta le scuse di Israele ed espresso apprezzamento per la proposta del governo italiano di invitare la Siria alla Conferenza per la pace in Medio Oriente, a Washington in novembre su iniziativa Usa. Presenza su cui Israelepone molti paletti. «Prima smettano di aiutare Hamas che ha il suo quartiere generale ospitato a Damasco» ha ripetuto ancor ieri, sempre a Roma, il presidente israeliano, Shimon Peres: «Israele vorrebbe la pace con la Siria, senza dubbio. Ma non possiamo dipendere dalle dichiarazioni siriane, dobbiamo osservare i loro comportamenti e non possiamo accettare che Damasco parli di pace e insieme permetta o ordini ad Hamas di bombardarci».
Prodi, che in due giorni ha visto il presidente israeliano, il premier libanese Siniora, il ministro degli Esteri britannico e il n.2 siriano, insiste sulla sua difficile via. «Siamo forse l´unico Paese che dialoga con tutti. E io ne pago anche il prezzo. Ciò che conta è il processo di pace». E Damasco, aggiunge, deve «essere associata alla soluzione dei problemi del Medio Oriente». Parla di «ruolo costruttivo dell´Italia» verso la Siria e chiama Damasco a fare altrettanto in tutto il Medio Oriente. Intanto riallacciando rapporti diplomatici con il Libano. Al-Sha´ra ringrazia per la «volontà di assicurare rapporti normali fra i due Paesi». «Non vi possono essere problemi fra Libano e Siria» dice. «Noi vogliamo un Libano libero, indipendente, sovrano. Ne ho parlato con il ministro D´Alema. Gli unici problemi riguardano Israele che si deve ritirare dai territori occupati».

Di "raid israeliano" e di un vero e proprio "bombardamento" scrive senza esitazioni l'UNITA' (pagina 13)

NON È PIÙ SOLO «guerra di parole». Perché a crepitare stavolta sono le mitragliatrici. La contraerea a entrare in azione è quella siriana. I bersagli da abbattere: ae-
rei israeliani. Damasco ha denunciato ieri un raid aereo israeliano nel nord-est della Siria, respinto dalla sua difesa antiaerea, e la latente tensione con Israele è tornata improvvisamente a montare, mentre a Tel Aviv i portavoce militari hanno mantenuto un imbarazzato silenzio. Damasco, ha riferito l’agenzia ufficiale Sana, ha subito «messo in guardia il governo del nemico israeliano, per questa flagrante aggressione» e si è riservata «il diritto di rispondere nella maniera che ritiene adeguata». Una risposta, ha sottolineato il ministro dell’Informazione Mohsen Bilal, di cui «la dirigenza siriana sta studiando seriamente la natura».
«Quello che è successo l’altra notte dimostra che l’attacco da parte di Israele è stato deliberato», gli fa eco da Roma il vice presidente siriano Faruq al Sharaa al termine di un incontro a Palazzo Chigi con il premier Romano Prodi. «È questo - aggiunge al Sharaa- è quanto ho detto anche al presidente del Consiglio». Il vice presidente siriano ha rivolto un appello al premier italiano e all’Unione Europea perché «facciano il possibile» per evitare il ripetersi di situazioni come l’attacco di Israele.
«Aerei nemici israeliani sono penetrati nello spazio aereo siriano attraverso i confini settentrionali dopo la mezzanotte di ieri (mercoledì, ndr.) e provenendo dalla direzione del mar Mediterraneo si sono diretti verso la regione nord-orientale infrangendo il muro del suono», ha reso noto la Sana. «La nostra difesa aerea aperto il fuoco contro gli aerei militari, costringendoli ad andarsene dopo che avevano sganciato parte delle loro munizioni, ma senza causare perdite umane o materiali», ha aggiunto. Altre fonti non ufficiali hanno riferito da Damasco che caccia F-16 israeliani tra i due e i cinque sarebbero penetrati intorno alle 01:00 dell’altro ieri notte nello spazio aereo della Siria dalla costa mediterranea, all’altezza del confine con la Turchia, unico Paese musulmano legato a Israele da un accordo di cooperazione militare.
Sempre secondo le fonti, la contraerea siriana avrebbe quindi aperto il fuoco contro i caccia israeliani che avrebbero lanciato alcuni razzi nell’area disabitata di Tel Abiad, un centinaio di km. a nord della cittadina di Rakka, senza però provocare vittime o danni. Il misterioso raid dell’altra notte ha subito sollevato molti interrogativi sulla capacità dell’aviazione israeliana di penetrare così a fondo in territorio siriano, a dispetto delle recenti notizie peraltro di fonte proprio israeliana sui nuovi missili che Damasco avrebbe ricevuto dalla Russia. Forniture che sarebbero state richieste in seguito all’ultima incursione aerea del 28 giugno 2006, quando i caccia con la Stella di David avevano sorvolato a bassa quota la residenza estiva del presidente siriano Bashar al-Assad a Latakia, sulla costa mediterranea, subito dopo il rapimento di un soldato israeliano nella Striscia di Gaza da parte di Hamas (appoggiato da Damasco) e alla vigilia della guerra dell’estate scorsa in Libano fra Israele e Hezbollah (ugualmente appoggiato da Damasco). Tre anni prima, nell’ottobre 2003, i caccia israeliani, avevano invece colpito indisturbati una base del Fronte popolare di liberazione della Palestina-Comando generale (Fplp-Cg) ad Ain Saheb, una ventina di km. a nord-ovest di Damasco. Ma l’incidente dell’altra notte sembra più direttamente legato al braccio di ferro tra Siria e Israele per le Alture del Golan, occupate dall’esercito dello Stato ebraico durante la guerra arabo-israeliana del giugno 1967.

Le circostanze in cui Israele ha "occupato" il Golan (una guerra di difesa), andrebbero ricordate (n.d.r).

Sulle intenzioni aggressive di Israele giura, ovviamente senza prove ( e nemmeno indizi), Michele Giorgio sul MANIFESTO (pagina 11):

Minacciata e smentita a più riprese, una nuova guerra tra Siria e Israele è diventata di nuovo una possibilità concreta. La Siria infatti sta valutando la sua risposta all'attacco, presunto secondo fonti israeliane, avvenuto mercoledì a mezzanotte, quando jet con la stella di David hanno violato lo spazio aereo siriano nei pressi di Tel al Abiad, vicino al confine con la Turchia, sganciando anche «munizioni». «La Siria rivendica il diritto di determinare la qualità, il tipo e la natura del nostra risposta all'attacco israeliano - ha detto il ministro dell'informazione Mohsen Bilal alla televisione al Jazeera -, la leadership siriana sta valutando attentamente questa risposta». Da parte israeliana non ci sono state conferme ma neppure smentite e se si considera anche il «no comment» del portavoce della Casa Bianca Tony Fratto, il sospetto che uno o più aerei israeliani siano penetrati nello spazio aereo siriano, diventa quasi una certezza. L'ultima incursione aerea israeliana in Siria risale al 5 ottobre 2003, quando caccia F-16 bombardarono una base del Fronte popolare per la liberazione della Palestina-Comando generale (Fplp-Cg). Nel frattempo i jet israeliani hanno sorvolato più volte il territorio siriano per lanciare «avvertimenti» al presidente Bashar Assad. E un cosiddetto «avvertimento» potrebbe essere stato anche il raid di mercoledì notte. Gli aerei provenienti, secondo il resoconto siriano, dal Mediterraneo e dalla Turchia (alleata di Tel Aviv), sono entrati per qualche chilometro in territorio siriano dove avrebbero sganciato «munizioni» non meglio precisate e sarebbero stati costretti alla fuga dall'arrivo dei caccia siriani e da un intenso fuoco della contraerea. Gli abitanti di Tel al Abiad hanno confermato di aver sentito aerei sorvolare la zona e diverse esplosioni. Secondo la televisione israeliana Canale 10, si sarebbe trattato di un errore nei piani di volo. È possibile, ma gli stessi esperti israeliani pensano ad altro. «Non credo a questa ipotesi - ha detto al manifesto il professor Eitan Gilboa, del Centro studi strategici Besa di Tel Aviv -. Tenendo conto della tensione esistente tra i due paesi, che rimangono tecnicamente in una fase di cessate il fuoco, i nostri caccia hanno voluto con ogni probabilità ricordare alla Siria che la superiorità aerea israeliana è schiacciante e, soprattutto, hanno voluto verificare le capacità difensive di Damasco». «La Siria ha ricevuto un messaggio chiaro - continua l'interpretazione dell'analista -: se crede di potersi riprendere il Golan con la forza e alle sue condizioni, si sbaglia e di molto, perché Israele è pronto alla guerra. Così come è pronto ad affrontare assieme Siria e Iran nel caso in cui decidesse di colpire con la sua aviazione le centrali nucleari iraniane». Gilboa quindi delinea scenari di guerra, di operazioni e attacchi massicci di Israele, contro l'Iran in particolare, che potrebbero coinvolgere la Siria che, dicono a Tel Aviv, a sua volta continua a sostenere militarmente Hezbollah. Damasco soprattutto continua a reclamare i suoi diritti legittimi sulle Alture del Golan che Israele occupa da 40 anni e pur essendosi dichiarata a più riprese favorevole alla ripresa del negoziato con Tel Aviv, sino ad oggi ha ricevuto solo risposte negative, anche dalla Amministrazione Bush. E non può passare inosservato il fatto che l'«incidente» di due giorni fa, sia avvenuto proprio nel momento in cui la Lega araba e gli stessi palestinesi stanno insistendo affinché Damasco non venga esclusa ma partecipi invece a pieno titolo all'incontro internazionale sul Medio Oriente che gli Stati Uniti intendono organizzare a metà novembre a Washington. E probabilmente non è un caso anche il fatto che il ministro della difesa israeliano, Ehud Barak e i vertici dell'esercito, abbiano congelato l'operazione su vasta scala nella Striscia di Gaza minacciata per giorni, visto lo stato di «alta tensione» lungo il confine siriano. L'esercito, scriveva due giorni fa il quotidiano Ha'aretz, pensa ad una guerra su due fronti: Gaza e Siria. E quando si parla di guerra alla Siria, il «salto» in Libano è scontato, per una «rivincita» con Hezbollah desiderata dai generali israeliani.

Uri Avnery è convinto che sia Bush a volere la guerra tra Siria e Israele.
Dimenticando che la Siria sostiene il terrorismo. E che  è fin qui apparsa interessata a trattare con gli Stati Uniti, non con Israele:

Una guerra fra Israele e Siria può scoppiare in qualsiasi momento. Non perché Israele e la Siria la vogliano, ma perché uno di loro può fare una provocazione sbagliata che spingerà l'altro alla guerra. E nessuno può prevedere come andrebbe a finire. Quasi ogni giorno il primo ministro israeliano e il ministro della difesa affermano che Israele non è interessato alla guerra. Assolutamente. Neanche per sogno. I capi della intelligence israeliana riferiscono che, a quanto ne sanno loro, la Siria non ha intenzione né interesse, al momento, di iniziare una guerra. Dal «basso» non ci sono pressioni per una guerra. L'opinione pubblica israeliana la teme e, pare, anche la popolazione siriana. E allora da dove viene tutto questo chiacchericcio quotidiano sulla guerra? Perché i media in Israele e nel mondo parlano di «tensioni sul confine settentrionale di Israele»? Perché l'esercito israeliano è freneticamente impegnato in manovre militari sul Golan? Perché ci sono rapporti su un rapido ammassamento di armi da parte della Siria? Perché il governo turco s'affretta a offrisi di mediare fra Israele e Siria? Tutto molto misterioso. Sembra che la chiave di questo mistero non sia a Gerusalemme o Damasco, ma a Washington. Quando Ehud Olmert rifiuta di rispondere alle serenate di Bashar al-Assad, insinua che sia il presidente Bush ad avere proibito ogni contatto con i siriani. L'anno scorso l'America ha spinto Israele alla guerra contro il Libano, ha ostacolato qualsiasi rapido cessate-il-fuoco e, così è sembrato, era interessata a estendere la guerra alla Siria. La Siria appartiene, naturalmente, all' «asse del male» di Bush. I suoi alleati arabi gli dicono, inutilmente, che questo è un errore: la Siria sunnita non è un alleato naturale degli sciiti iraniani. Ha bisogno di loro solo perché gli Usa la stanno isolando. Damasco si serve degli hezbollah sciiti, gli spiegano, solo per poter esercitare una pressione su Beirut e Gerusalemme. La logica dice che è negli interessi degli Usa agevolare una pace fra Israele e Siria per spingere la Siria ad allentare l'abbraccio dell'Iran. Ma Bush non ascolta. Forse egli sta spingendo Olmert verso una guerra con la Siria per distogliere l'attenzione dal suo personale fiasco iracheno, che peggiora di giorno in giorno. O forse è interessato solo a creare qualche tensione artificiale per provocare la caduta del regime di Assad. L'obiettivo principale è mettere in sella un'altra democrazia araba, tipo Egitto, Giordania o Arabia saudita. La domanda è: perché Israele sta al gioco? La figura centrale di questa partita è Ehud Barak. Le sue connessioni con la Siria non sono di ieri. Otto anni fa, da primo ministro, accarezzò l'idea di fare la pace con la Siria. Negoziò con Hafez al-Assad e - sorpresa - le due parti arrivarono alla soglia di uno storico accordo di pace. Il Golan sarebbe stato restituito ai siriani, i coloni israeliani rimossi, un altro importanto paese arabo avrebbe potuto vivere in pace con Israele. Ma poi tutto franò. Il pretesto fu che il vecchio Assad voleva arrivare fino al lago di Tiberiade. Ma la vera ragione fu Barak, che batté in ritirato all'ultimo istante e si lanciò nell'irresponsabile avventura di Camp David, che allora io definii «una pace criminale». Dopo il fallimento di Camp David - a causa della sua incredibile arroganza e disprezzo per gli arabi - si inventò il mantra: «Non abbiamo un partner» per la pace. Non ci può essere pace con i palestinesi, come non ci può essere pace con i siriani. Lo diceva l'ultra-ultra-destro Yitzhak Shamir: «il mare è sempre il mare, gli arabi sono sempre gli arabi». Il mantra distrusse il movimento della pace israeliano e causò danni irreparabili. Olmert tiene Barak fuori dal gioco e s'impegna con Mahmoud Abbas. Barak replica escludendo l'idea della pace con i palestinesi. Dice che non si pone perché uno Stato palestinese seppellirebbe Israele sotto una pioggia di missili. Quel che accade oggi a Sderot accadrebbe domani all'aeroporto di Tel Aviv, che è a pochi chilometri dalla Linea verde. Questo significa che la pace si potrà fare solo quando Israele avrà un sistema di difesa impenetrabile ai missili di corto raggio palestinesi. Quando? Entro pochi anni. La pace nei prossimi tre anni? O trenta? O trecento? Nel frattempo Olmert va avanti con i suoi giochi. Ogni giorno qualche nuovo palloncino sale in cielo: proposte di pace, principi per la pace, accordi di pace. Tutti discorsi che non tengono conto della realtà di oggi. E' Bush, di nuovo, a spingere Olmert in questa direzione. E' lui che vuole la tensione fra Israele e Siria; lui che esige qualche riscontro positivo alla sua «visione» del «processo di pace» fra israeliani e palestinesi. Il tutto, fra sorrisi e abbracci, per dimostrare che in fin dei conti Bush sta vincendo, che la sia «visione» sta prendendo forma. Questo è buono per Bush, per Olmert, per Abbas. Per chi non è buono? Per i palestinesi, schiacciati sotto il giogo dell'occupazione. La miseria della striscia di Gaza si fa ogni giorno più drammatica, mano a mano che diviene chiaro il piano per provocare il collasso totale, l'anarchia e la caduta di Hamas. La situazione della popolazione della Cisgiordania non è molto migliore. I blocchi stradali restano dove sono, idem le colonie e gli avamposti ebraici. La rete di strade «per soli israeliani» si fa più lunga, la costruzione del muro è in pieno corso. La più crudele espressione della situazione nei territori occupati sotto Olmert e Barak, sono gli assassinii quotidiani. Quasi non passa giorno senza nuove atrocità. Storie che sono diventate routine, ignorate dalla stampa. Non fanno più notizia. Ci si poteva aspettare qualche reazione rabbiosa di fronte ai vuoti giochi del «processo di pace». Dopotutto, qualsiasi persona raziocinante sa che se Abbas non raggiunge qualche risultato politico concreto, Hamas lo caccerà fuori dalla Cisgiodania come ha fatto a Gaza, e questo si suppone dovrebbe spaventare gli israeliani. Ma loro non sono spaventati. Hamas vincerà? E allora? Gli arabi sono sempre gli arabi. La Siria ha missili che possono raggiungere ogni punto di Israele. Anche Tel Aviv. Anche la centrale nucleare di Dimona. Una guerra con la Siria non sarebbe una passeggiata. E allora? La gente non se ne cura. Barak dice che non ci sarà la guerra, ma forse la guerra ci sarà. Però sarà solo per un leggero errore di calcolo...
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