Al termine della guerra dei Sei Giorni, sul fronte degli sconfitti,
Tuttavia proprio la tendenza giordana al riconoscimento del diritto all'esistenza dello Stato d'Israele, dopo la guerra del Kippur dell'ottobre 1973, portò ad avviare alcuni accomodamenti di controversie legate all'acqua: da quel momento infatti
Il principio della condivisione ha sostenuto dunque, per circa quattro lustri, gli operati israelo-giordani in materia idrica sino alla sottoscrizione, il 26 luglio 1994, del vero e proprio trattato di pace tra i due Stati, con il quale Israele e Giordania hanno deciso la riallocazione delle acque dei fiumi Yarmuk e Giordano.
Le disposizioni inerenti alle questioni idriche sono contenute nel “Preambolo” e negli “Allegati sull'acqua e sull'ambiente” (allegati II e IV). Nel “Preambolo”, proprio a voler indicare la priorità che le parti attribuivano al problema, gli articoli relativi all'acqua seguono immediatamente quelli riguardanti i confini internazionali e la sicurezza. L'art. V, ad esempio, afferma: “Nell'ottica del raggiungimento di una sistemazione globale e duratura di tutti i problemi idrici ... le parti decidono di riconoscere mutualmente le giuste allocazioni di entrambi per l'acqua del fiume Giordano, del fiume Yarmuk e delle risorse idriche sotterranee dell'Aravà” (Israel-Jordan, Treaty of Peace, International Legal Material, I, 1995, p. 48). Nel comma II dell'art. VI entrambe le parti riconoscono che “l'acqua potrebbe essere motivo di cooperazione” e, contestualmente, si impegnano a “non recare danno in alcun modo alle risorse idriche dell'altra parte attraverso i propri progetti di sviluppo idrico”. Questa cooperazione, ovviamente, riguardando tutti gli aspetti dello sfruttamento e dello sviluppo idrico, con esplicito riferimento al trasferimento di acque transfrontaliere, implica altresì l'impegno alla prevenzione dell'inquinamento, alla minimizzazione degli sprechi, come anche allo svolgimento di ricerche comuni e allo scambio di informazioni.
Mentre la maggior parte delle disposizioni del trattato sono di carattere generale, è l'Allegato II a contenere le vere e proprie indicazioni per la suddivisione delle risorse idriche sopra citate. Dall'art. I al IV dell'Allegato troviamo infatti le indicazioni per la distribuzione delle acque dello Yarmuk e del Giordano, le possibilità di immagazzinamento e deviazione, la protezione della qualità delle acque di superficie nella valle dell'Aravà. In ultimo, l'art. VII prevede l'istituzione di un Comitato comune per l'acqua al fine di provvedere alle disposizioni dell'Allegato.
Il trattato bilaterale ha così fruttato alla Giordania un accrescimento idrico di circa il 7% nell'immediato, che potrà raggiungere il 15-20% a più lungo termine, aprendo nuove possibilità di cooperazione israelo-giordana. Infatti il trattato stesso contiene ulteriori disposizioni dirette a creare una sorta di interdipendenza funzionale tra le parti e, di conseguenza, induce al rispetto del principio di cooperazione. Gli scambi d'acqua interstagionali, l'immagazzinamento nel lago di Tiberiade di una parte delle acque dello Yarmuk spettanti alla Giordania, durante la stagione invernale, e i progetti comuni per la costruzione di dighe lungo il confine sono soltanto alcuni tra i risultati ottenuti in margine al trattato di pace stesso. Il 10 novembre 1997, ad esempio, è stato raggiunto un ulteriore accordo tra i due Paesi, il Jordan Plan Development, che prevede tra l'altro anche la costruzione di comuni impianti di desalinizzazione.
Ancora un significativo esempio di cooperazione israelo-giordana ci viene offerto dal progetto per la creazione di un canale Mar Rosso-Mar Morto. Lo yam hammelach, il mare del sale, sta effettivamente morendo, a causa dell'intenso utilizzo a monte delle acque del Giordano: un canale che lo connetta al Mar Rosso può incrementare il livello delle sue acque e, in un certo senso, ridargli la vita. Il livello della superficie del Mar Morto (il punto più basso delle terre emerse) è sceso da
Pur tuttavia non è corretto ritenere che il semplice trasferimento di acqua da un Paese arido e semiarido (Israele) ad altri nella medesima situazione (Giordania) possa di per sé incrementare le risorse: al contrario. Un rapporto dell'UE prevede che verso il 2020 le risorse idriche di Israele saranno dimezzate e in Giordania ridotte di 2/3. È quindi comprensibile come gli accordi sull'acqua, privi di progettazioni innovative, possano essere criticati: da un lato non risolvono il problema arabo, d'altro lato vi è la sensazione che una conclusione per così dire "equa" del processo di pace tra tutti i Paesi rivieraschi finirebbe inevitabilmente col danneggiare le già ridotte riserve idriche d'Israele. Ecco perchè, per non fare che un esempio, la decisione libanese di deviare le acque del fiume Wazzani, arrivando a sottrarre da 3,5 mmc fino a 11 mmc d'acqua all'anno al lago di Tiberiade, minaccia seriamente la stabilità al confine israelo-libanese. Si tratta infatti di un'azione che può creare un precedente per futuri tentativi di bloccare le risorse idriche israeliane, soprattutto dopo che Israele - ottemperando alla risoluzione 425 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU - ha ritirato le proprie forze dal Libano meridionale. "Abbiamo proposto al primo ministro libanese Rafik Hariri un progetto di sviluppo che riguarda tutti gli aspetti socio-economici del Libano meridionale, compreso l'uso razionale delle acque nel lungo periodo - ha speigato Patrick Renauld, rappresentante della UE a Beirut - Infatti, quand'anche Israele finisse per tollerare la sottrazione fino a 11 milioni di metri cubi d'acqua all'anno prevista con questa stazione di pompaggio sul Wazzani, se non si interviene in modo razionale prima o poi il problema è destinato a ripresentarsi negli stessi termini" (Jerusalem Post,15-10-02, p.2).
Per conservare e proteggere le risorse idriche di Israele, il cui sfruttamento è oggi esteso quasi al limite, sono state prese diverse misure:
a)assegnazione di quote d’acqua, le quali possono variare di anno in anno a seconda del bilancio idrico;
b)istituzione di una scala mobile per il prezzo dell’acqua: il consumatore paga cioè un prezzo più alto per il consumo d’acqua che eccede la quantità assegnatagli;
c)utilizzo dell’eccedenza delle precipitazioni invernali: quest’acqua raccolta in laghi artificiali (120 costruiti nello scorso decennio) è usata per l’irrigazione e, quando è possibile, per il rifornimento delle falde acquifere;
d)riciclaggio di acque di scarico domestiche e industriali sottoposte a trattamento: grazie a questo procedimento di purificazione si può fare due volte uso delle stesse acque. Stimata in 300 MCM annui, l'acqua così trattata funge da ricarica per le falde acquifere. Infatti la filtrazione dell'acqua attraverso gli strati del terreno rappresenta un'ulteriore fase di purificazione dell'acqua stessa e, contemporaneamente, la falda funziona come riserva sotterranea di ricarica, evitando in tal modo le perdite dovute all'evaporazione. L'acqua viene estratta soltanto in caso di necessità e quasi esclusivamente in estate. Circa 100 MCM di quest'acqua purificata vengono trasportati annualmente a scopo irriguo - attraverso il "Terzo Acquedotto del Negev", una conduttura separata – fino al Negev occidentale. Grazie all'alto grado di purificazione, quest'acqua può essere usata per qualsiasi tipo di coltura senza alcun rischio. Tuttavia dal momento che gli scarichi domestici e industriali sono più salmastri dell’acqua dolce fornita (ciò è dovuto ai detergenti e al sale per lavastoviglie, come anche al sale e ai prodotti chimici di cui si fa uso nell’industria) si era riscontrato che la concentrazione di sali nell’acqua riciclata era di circa il doppio rispetto a quelli nell’acqua dolce e che l’irrigazione con acqua riciclata causava una graduale salinizzazione del suolo. Così si è provveduto dapprima a un monitoraggio della concentrazione salina e a un lavaggio dei sali accumulati e poi alla desalinizzazione preventiva delle acque di scarico trattate;
e)desalinizzazione: esistono infatti più di 30 impianti per la desalinizzazione, la maggior parte ad Eilat. I più ampi adoperano l’inversione dell’osmosi per trattare
f)intensificazione delle piogge grazie all’inseminazione delle nuvole con cristalli di ioduro d’argento: effettuata sopra il bacino del lago Kinneret dal
g)sfruttamento delle acque salmastre delle falde del Negev e dell’Aravà, per l’irrigazione di colture che tollerano bene l’acqua salmastra. stato infatti verificato che alcune colture, quali quelle del cotone, dei pomodori o dei meloni presentano una buona tollerabilità all'acqua salina (fino a 7-8 dS/mdi conduttività elettrica, che è equivalente ad una salinità tra lo 0,41 e lo 0,47% di NaCl). Tuttavia per minimizzare l'accumulo di sali intorno alle radici della pianta, e per facilitare la lisciviazione di quelli che si sono in ogni caso accumulati, è essenziale coltivare le piante in terreni di media o leggera consistenza (sabbiosi o ricchi di sabbia) e adoperare sistemi di irrigazione avanzata.
Uno dei principi fondamentali per una buona pratica agricola è quello di fornire alle piante in crescita un adeguato approvvigionamento di acqua: vale a dire evitare, da una parte, un eccessivo stagnamento e prevenire, dall'altra, un'esposizione a carenza. Quantità eccessive possono causare una mancanza di aerazione dell'impianto delle radici, portando di conseguenza a una inibizione dello sviluppo della pianta o ad una rovinosa filtrazione attraverso il suolo al di là del volume dell'impianto delle radici, o ambedue. Una carenza d'acqua mette invece la pianta in una condizione di stress e interferisce sul suo normale sviluppo. Pare dunque ovvio quanto sia importante, soprattutto nelle regioni aride o semiaride, dove l'alto grado di radiazioni solari e il basso livello di umidità amentano l'evaporazione, evitare sforzi causati dalla mancanza d'acqua.
Un efficace uso dell'acqua dipende da tecnologie irrigue avanzate. Fino a poco più di mezzo secolo fa, le colture del Paese venivano irrigate in superficie, tuttavia le alte temperature e la bassa umidità - provocando intensa evaporazione e accumulo di sali negli strati superiori del suolo – rendevano il terreno inadatto alla coltivazione. L'irrigazione a pressione tramite spruzzatori diede un grande contributo alla modernizzazione dell'agricoltura, ma la vera svolta si ebbe con l'introduzione, circa 35 anni or sono, dell'irrigazione a goccia. In questo modo l’acqua viene fornita alle piante - anche a grandi alberi - goccia a goccia, con un ritmo lento che può essere regolato in maniera precisa a seconda delle necessità delle varie coltivazioni: l’agricoltore perciò non deve più preoccuparsi di intervenire “in tempo” per prevenire la sofferenza delle piante causata dalla mancanza d’acqua. Inoltre grazie a questo tipo di irrigazione, ad alta frequenza, è possibile ottenere favorevoli condizioni di umidità anche in terreni argillosi o sabbiosi, che mal si adattano ai metodi convenzionali di irrigazione, ed è possibile fornire acqua in modo non uniforme ad un campo con un’elevazione, una pendenza, un’infiltrabilità, una struttura del terreno variabile.
Attraverso i gocciolatori possono essere forniti fertilizzanti alle piante e possono essere adoperate acque di bassa qualità come le acque saline o quelle di scarico. Anche l’evaporazione viene poi a ridursi poiché soltanto parte del terreno è bagnata. In pratica questo sistema irriguo, bagnando il terreno soltanto in prossimità degli emettitori, evita i rischi di una bruciatura superficiale delle foglie, riduce l’incidenza di malattie da funghi e rende il terreno meno incline all’infestazione da erbacce. E sebbene l'agricoltura sia stata e tuttora sia il settore che più consuma acqua, è innegabile che nel corso degli anni le tecniche irrigue, sempre più avanzate, abbiano permesso un notevole risparmio: basti pensare che mentre nel
Per il futuro è difficile immaginare una soluzione appropriata al problema della ripartizione delle risorse idriche del bacino del Giordano, prescindendo dalla risoluzione delle più ampie questioni politiche che riguardano l'area.
Lo Stato d'Israele - con la sottoscrizione del trattato di pace con l'Egitto e la restituzione del Sinai, con la cooperazione in materia idrica intrapresa con
Rimane tuttora in bilico la situazione con
Tuttavia nonostante la complessità della situazione, le controversie relative all'acqua possono essere gestite con successo per vie diplomatiche. Basti pensare che la storia dei trattati internazionali sulle acque risale al 2.500 a.C., quando le due città-stato sumere di Lagash e Umma conclusero abilmente un accordo che metteva fine a una disputa sull'acqua del fiume Tigri. Secondo
Dove la qualità delle acque diminuisce e la quantità disponibile è, già di per sé, scarsa, può accadere che la necessità di condivisione possa generare, anziché l'esacerbarsi del conflitto, una inaspettata cooperazione, come nel caso di Giordania e Israele.