Gli amici di Hamas e dei dittatori mediorentali
le "aperture" del governo italiano
Testata:
Data: 03/09/2007
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Autore: Gian Micalessin - Federica Cadavini - Angelo Pezzana
Titolo: Hamas ringrazia ancora D’Alema «Ha ridotto il nostro isolamento» - Ferrero in sinagoga: la cultura ebraica combatte il razzismo - La sconcertante opinione di Lamberto Dini

Dal GIORNALE del 3 settembre 2007 (pagina 11), un articolo sui ringraziamenti di Hamas al ministro degli Esteri italiano D'Alema:

Gli unici a regalare un po’ di soddisfazione a Hamas e ai suoi leader sono ormai i governanti italiani. Dopo i riconoscimenti prodiani di Ferragosto ci riprova, sabato, il ministro degli Esteri Massimo d’Alema inneggiando alla riconciliazione palestinese. Hamas, come sempre, incassa e ringrazia. Nei comunicati del movimento integralista le dichiarazioni del ministro degli Esteri diventano l’immediata dimostrazione che l’assedio politico si allenta e la compattezza occidentale si va sgretolando. «Quelle dichiarazioni confermano che qualsiasi esclusione di Hamas dal processo politico porta inevitabilmente a un fallimento», spiega il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri.
Nell’analisi integralista le parole di D’Alema comprovano insomma le divisioni dell’Occidente, l’isolamento degli Stati Uniti e la velleità di qualsiasi tentativo di pacificazione basato sull’esclusione di Hamas. A partire da quella conferenza sul Medio Oriente programmata da Washington per il prossimo autunno. «Le divisioni fra quanti sostengono l’assedio politico aumentano - spiega Zuhri -, mentre l’isolamento di Hamas diminuisce e si moltiplicano le prese di posizioni di quanti chiedono di dialogare con noi». Massimo D’Alema insomma è servito. Il suo discorso, a pochi giorni dall’incontro con il ministro degli Esteri israeliano Tzipi Livni in cui discuterà la posizione italiana sulla conferenza d’autunno, diventa - nell’interpretazione integralista - il discorso di un guastatore. Anche senza le interferenze di Hamas, D’Alema non aveva molte speranze di convincere il suo omologo di Gerusalemme. A Ferragosto Tzipi Livni era stata la più dura nel condannare le aperture a Hamas del presidente del Consiglio Romano Prodi liquidandole come un «colossale errore».
Neppure i palestinesi sembrano, però, in sintonia con il responsabile della Farnesina. «Se Israele avesse sostenuto di più Abu Mazen qualche anno fa, forse oggi avremmo meno Hamas», azzardava sabato Massimo D’Alema. A giudicare dai fatti il presidente palestinese sembra il primo, però, a esigere la rottura totale con Hamas. Ieri i suoi portavoce hanno confermato l’annunciato decreto di riforma della legge elettorale studiato per escludere il movimento integralista dalla competizione elettorale o, al caso, rendere assai improbabile una sua vittoria. In base al nuovo decreto potranno partecipare alle elezioni solo i movimenti che riconoscono i principi dell’Olp, lo Stato d’Israele e tutti i trattati tra lo Stato ebraico e l’Autorità palestinese. Hamas sembra dunque escluso a priori. L’eliminazione delle liste distrettuali e la concentrazione di tutti i candidati di un partito in una lista nazionale rende in ogni caso improbabile una sconfitta di Fatah simile a quella registrata nel 2006. Da Gaza i portavoce di Hamas hanno subito ribadito l’illegittimità del decreto, ricordando che solo il voto del Parlamento può cambiare la legge elettorale.
Neppure a Gaza la parola riconciliazione sembra, comunque, andare per la maggiore. Dopo gli scontri di venerdì tra i miliziani fondamentalisti della Forza Esecutiva e i sostenitori di Fatah riunitisi in preghiera nelle piazze della città un esponente del governo di Hamas ha vietato tutte le funzioni religiose al di fuori dalle moschee. Nella Gaza integralista anche pregare è, insomma, diventato fuorilegge. Soprattutto se non si rispettano gli ordini dei nuovi padroni.

Dal CORRIERE della SERA  (pagina 6) un articolo sulla partecipazione del ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero Giornata europea della cultura ebraica. Interpellato sull'apertura di D'Alema ad Hamas, Ferrero ha dichiarato di condividerla:

MILANO — Il ministro per la Solidarietà sociale Paolo Ferrero di Rifondazione comunista e il presidente delle Comunità ebraiche. Ieri usavano le stesse parole, per portare lo stesso messaggio. Il primo era a Trieste, l'altro a Venezia ma l'appuntamento era lo stesso: la Giornata europea della cultura ebraica, che ieri si celebrava in 57 città italiane e trenta Paesi europei. Il ministro, che a Venezia ha visitato le sinagoghe e il museo del Ghetto, ha parlato della «necessità di conoscere una cultura che fa parte della nostra e che nell'Occidente è stata storicamente discriminata fino all'esito pazzesco della Shoah». «Confrontarsi con questa storia e con la cultura ebraica serve a combattere discriminazioni e pregiudizi», ha detto Ferrero. «Conoscere il diverso è strumento efficace per vincere la secolare lotta contro le diffidenze e i pregiudizi», sono le parole scelte dal presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna.
La partecipazione di Ferrero, che ha scelto di esserci «come cittadino, come ministro della Repubblica e come dirigente di Rifondazione comunista» è stata apprezzata da Gattegna, che ha subito sottolineato l'importanza del messaggio del ministro: «Belle parole, importanti e giuste». Soddisfatto Ferrero di questo «riconoscimento reciproco»: «Fa parte di un dialogo che va continuato». E l'apertura di D'Alema verso i palestinesi di Hamas (che non riconoscono lo Stato di Israele)? «La condivido, D'Alema fa bene — è la risposta del ministro —, fa parte di un percorso di pace, nella linea dei due popoli e due Stati che è quella da perseguire».
Come Paolo Ferrero, che già l'anno scorso da ministro era presente alla Giornata ebraica, al cimitero e alla sinagoga di Padova, si sono presentati nei siti ebraici, in città diverse, anche Piero Fassino e Francesco Rutelli. Il vicepremier ieri è stato prima alla messa celebrata da papa Benedetto XVI al raduno dei giovani a Loreto e poi è andato in visita alla sinagoga di Senigallia. Mentre il segretario dei Ds a Bologna ha visitato, con il sindaco Sergio Cofferati, il museo ebraico nell'antico Ghetto.

Da SHALOM di agosto (pagina 6), un commento di Angelo Pezzana su un altra apertura di un esponente del nostro governo, quella di Lamberto Dini alla Siria:

Non so fino a quando continueremo a crederci un paese europeo a pieno titolo. Ne mancano i presupposti, e per sincerarsene niente di meglio che dare un’occhiata alla politica estera del nostro governo. Non solo in Europa, ma persino alle Nazioni Unite, il segretario generale Ban Ki-moon riconosce che la Siria non solo non fa nulla per combattere il terrorismo, ma, al contrario continua tranquillamente a servire da confine aperto per l'ingresso nella regione di armi e munizioni che hanno praticamente ricostruito l’arsenale degli Hezbollah. Lo stesso Ban Ki-moon ha ricordato il ruolo determinante dell’Iran nella destabilizzazione della regione, mentre anche i ciechi si sono resi conto dell’inutilità della missione Unifil che avrebbe dovuto agire per lo meno contro il riarmo delle varie milizie locali. Non che sia difficile capire le ragione del perchè le cose vanno in questo modo, l’ha spiegato con estrema franchezza Prodi ad Abu Mazen durante l’incontro a Ramallah del 10 luglio scorso, quando gli ha detto che un invio in Cisgiordania e Gaza di una forza di interposizione, date le quasi nulle di garanzie di sicurezza per i soldati, non era nemmeno ipotizzabile. Il che vuol dire che lo forze Onu, che credevamo dovessero servire per dirimere i conflitti, non possono essere inviate se la situazione non è calma, come ha chiarito senza ombra di dubbio Prodi. E sarà anche per questo che il presidente della commisssione esteri del Senato Lamberto Dini si è recato a fine giugno in missione ufficiale in Siria, traendone dei giudizi a dir poco sconcertanti. “ La Siria potrebbe diventare una polveriera perchè i suoi giovani si orientano sempre di più verso il fondamentalismo islamico, perchè non vedono una prospettiva di pace per il loro paese”, ha dichiarato in ua intervista al Corriere, nella quale sembrava Gianni Minà quando va in estasi di fronte a Fidel Castro. Cambia il dittatore, invece del barbuto cubano c’è Assad, ma la dinamica è sempre uguale. Perchè sono inquieti i Siriani ? Ma che diamine, lo sono, dice Dini, perchè Israele non dimostra nessuna vera volontà di restituire il Golan, "dopo quarant’anni di occupazione rifiuta qualsiasi iniziativa di pace". Chissà se Dini si è mai chiesto come i siriani usavano quelle alture prima che venissero “occupate” da Israele, ma ci rendiamo conto di quanto sarebbe irriverente porgere una simile domanda all’inviato di un governo dove il ministro degli esteri D’Alema ha appena detto che bisogna smetterla di applicare sanzioni all’Iran, poco importa se costruirà la bomba nucleare, è il dialogo che serve, quello che l’Italia ha applicato con successo negli ultimi decenni attraverso le complicità con il terrorismo arabo in cambio di una relativa esclusione dai progetti di stragi. Per Dini, quindi, è lui a dirlo, la Siria non rappresenta una minaccia. Andasse a chiederlo ai libanesi, potrebbe dirlo anche a loro, come fa con Israele, land for peace, un discorso che alla Siria piace e capisce subito, l’aveva applicato così bene quando il paese dei cedri l’aveva di fatto occupato. Dini supera decisamente Minà quando afferma che “ c’era il sospetto che in Libano filtrassero armi, per questo la Siria ha mantenuto aperto un solo valico di confine, così da poter controllare meglio ed evitare che questo passaggio di armi avvenisse”. Come l’omicidio di Hariri, “ che interesse poteva avere la Siria, forse è stato progettato da qualcun altro per poi far ricadere la colpa su Damasco”. E in quanto ad Hezbollah, Dini è tranquillo, "è un’importante componenete del Parlamento libanese, davanti al suo leader Nasrallah si inchinano tutti con rispetto per la sua saggezza”. Mettiamo le virgolette affinche il lettore si renda conto che simili follie sono veramente parto della mente del presidente della commissioni esteri del Senato. Per questo dicevamo all’inizio che non c’era da stupirsi se l’Italia non è un paese europeo come gli altri, quando persino uno come Fassino, del quale non abbiamo mai capito come potesse fregiarsi dell’etichetta di amico degli ebrei quando è il segratario di un partito che ha come organo di stampa l’Unità, uno dei fogli che a sinistra più a contribuito a disinformare i suoi lettori sulla realtà mediorientale. Ms così è, anche se non ci pare, pure lui, mentre D’Alema rialzava le quotazioni dell’Iran, Fassino rimproverava Israele perchè si rifiutava di negioziare con Hamas, tale quale, come se non avesse sguito nemmeno un TG negli ultimi due mesi, fosse arrivato fresco fresco da un eremitaggio valdostano, ignorando cos'era avvenuto a Gaza. In merito ad Hamas, avesse detto almeno che bisognava accelerare i rapporti con Abu Mazen, no, ha detto proprio con Hamas, il che significa rifilare una barrata sui denti ad Abu Mazen e al progetto di uno Stato palestinese non propriamente terrorista. Fin qui abbiamo scritto di cose inerenti alla politica, ma avremmo potuto benissimo buttare giù i testi per qualche spettacolo demenziale televisivo. Con questi attori, e garantita la consulenza di Minà, l’effetto comico è garantito.

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