L'Iran avanza verso la bomba
piano d'attacco americano, contro migliaia di obiettivi
Testata: Corriere della Sera
Data: 03/09/2007
Pagina: 8
Autore: Marco Del Corona - Guido Olimpio
Titolo: Nucleare: la Nord Corea rinuncia, l'Iran avanza - In un dossier segreto i piani per il raid «Se la Casa Bianca vuole, si può colpire»
Dal CORRIERE della SERA del 3 settembre 2007, una cronaca sul (dubbio) assenso della Corea del Nord allo smantellamento dei suoi programmi nucleari e sulla nuova sfida (certa) dell'Iran alla comunità internazionale.
L'articolo riferisce dello scetticismo degli esperti della Aiea riguardo alle dichiarazioni trionfalistiche di Ahmadinejad.
Ma lo scetticismo dell'Aiea andrebbe anch'esso considerato criticamente.
Dall'archivio di Informazione corretta, i link a due articoli che spiegano perché
http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=20&sez=120&id=16032

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=8&sez=120&id=15698

E quello a un'intervista al direttore generale dell'Aiea Mohamed el Baradei che, letta criticamente, rivela molto sui pregiudizi e sulla mancanza di equità del personaggio:

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=13&sez=110&id=17882

Ecco il testo del CORRIERE:


PECHINO — Era notte fonda a Pyongyang quando ieri, a Ginevra, l'uomo di Washington ha annunciato che la Corea del Nord acconsente a smantellare tutti i suoi programmi nucleari. C'è anche una data, ed è vicina: «Entro il 2007», ha dichiarato Christopher Hill, segretario di Stato «aggiunto» che da tempo segue il labirintico dossier nordcoreano. Hill ha parlato al termine di due giorni di colloqui con la delegazione della Repubblica democratica popolare, guidata da Kim Gye Gwan: «Ciò su cui ci siamo trovati d'accordo è che la Corea del Nord fornirà una dichiarazione completa dei suoi programmi nucleari. E che smantellerà i suoi programmi nucleari — l'inviato statunitense ha volutamente ripetuto il termine — entro la fine di quest'anno». Poco oltre, ha spazzato via le ambiguità residue: «Quando diciamo "tutti" i programmi nucleari, intendiamo tutti». Precisazione doverosa, visto che la Nord Corea il 9 ottobre 2006 proclamò di sorpresa (ma non troppo) di aver eseguito test atomici sotterranei.
La notte che avvolge le vere intenzioni di Pyongyang, tuttavia, non è del tutto rischiarata. Il regime di Kim Jong Il — una compatta miscela di stalinismo e nazionalismo autarchico, confucianesimo e militarismo — è d'imprevedibilità proverbiale, benché a luglio abbia chiuso il famigerato impianto di Yongbyon.
Per Bush, è uno Stato- canaglia nell'«Asse del male », mentre Bill Clinton nel 2000 aveva spedito Madeleine Albright a Pyongyang (dove un affabile Kim le chiese l'indirizzo email). La promessa di ieri, in mancanza di dettagli che Hill non ha voluto rivelare, ha i toni della svolta ma dovrà concretizzarsi a metà mese. A Pechino tornerà infatti a riunirsi il Gruppo dei Sei, tavolo diplomatico cui partecipano, oltre a Nord Corea e Stati Uniti, anche Cina, Giappone, Russia e Sud Corea. Avviato nel 2005, il Gruppo ha una storia di passi in avanti, tira- e-molla estenuanti e brutali stop, e solo lo scorso febbraio è riuscito a strappare ai nordcoreani una significativa disponibilità a trattare.
Di ben altro tenore la disfida con Teheran. Bush lo ammonisce, la comunità internazionale lo invita a cambiare passo e lui risponde a tono. Il presidente iraniano Ahmadinejad ha annunciato ieri che l'Iran ha messo a punto tremila centrifughe, uno strumento necessario per l'arricchimento dell'uranio. «Le grandi potenze pensavano che votando qualche risoluzione l'Iran avrebbe fatto marcia indietro. Invece ha compiuto un altro passo avanti lungo la via dello sviluppo nucleare», sono state le parole del leader davanti ad una platea di studenti. Se l'annuncio del presidente fosse vero vorrebbe dire che entro un anno Teheran raggiungerà un punto critico nel cammino per arrivare alla bomba atomica. Fonti israeliane stimano che il Paese potrebbe arrivare ad una capacità nucleare nel 2009 ma avrebbe bisogno di altri 3-4 anni prima di costruire un ordigno.
E a patto che tutto fili liscio.
Ma gli esperti internazionali, a cominciare da quelli dell'Energia Atomica (Aiea), sono scettici. Nell'ultimo rapporto gli ispettori affermano che l'Iran avrebbe a disposizione solo 1.968 centrifughe e il programma starebbe incontrando serie difficoltà. E aggiungono: Teheran sarebbe voluta arrivare alle 3 mila macchine in marzo ed ha fallito. Ritardi che non minano la missione e la fede di Ahmadinejad. Il presidente segue infatti la strada indicatagli dalla sua guida spirituale e politica, l'ayatollah Mohammed Masbah Yazdi, capofila dell'ala intransigente. In un libro, del quale sono state pubblicate appena tremila copie distribuite ad un pubblico selezionato, il capo religioso difende il diritto dell' Iran di produrre «armi speciali ». Yazdi, dopo aver ribadito che il successo sarà garantito dall'aiuto divino, invita a non farsi intimidire dalla condanna internazionale e a non avere paura delle conseguenze economiche. L'intervento dell'ayatollah si somma a quello di altri esponenti religiosi che hanno preso posizione in favore della Bomba. Dichiarazioni necessarie, visto che la linea ufficiale era che l'Islam metteva al bando le armi nucleari. In realtà i mullah agirebbero sotto la copertura di una fatwa segreta che autorizza lo sviluppo del programma atomico.

Di seguito, un articolo del CORRIERE su un piano militare americano percontrastare la minaccia iraniana:

WASHINGTON — Le foto trasmesse dai satelliti spia americani hanno fornito indizi importanti. Nella zona di Natanz gli iraniani scavano come dannati per preparare un tunnel protetto che sarà poi collegato agli impianti di ricerca. Teheran non si fida, teme una sorpresa. Le voci che arrivano dagli Stati Uniti invitano i mullah a stare in guardia: avvertimenti, indiscrezioni su possibili iniziative. Per alcuni è la danza di guerra. Per altri è solo campagna psicologica. Probabilmente la verità sta nel mezzo. E dunque l'Iran deve preoccuparsi. Un nuovo rapporto sostiene che gli Stati Uniti sono in grado di lanciare in qualsiasi momento un massiccio attacco contro migliaia di obiettivi iraniani. L'apparato militare, si afferma, è pronto, in attesa di un ordine. Per eseguirlo sono sufficienti pochi giorni.
Il dossier di 80 pagine è stato redatto da Dan Plesh, direttore del Centro di studi internazionali e diplomazia di Londra e dall'esperto Martin Butcher. A far da sfondo il continuo scambio di schiaffi tra Bush e il presidente iraniano Ahmadinejad. In questa fase gli Stati Uniti sembrano voler dare ancora tempi alla diplomazia pronti però a tirare fuori dal mazzo l'asso di bastoni.
Se Bush dovesse fare luce verde al Pentagono — scrivono i due ricercatori — toccherebbe all'aviazione passare all'offensiva con uno schieramento di oltre 200 velivoli. Dai «veterani» B52 ai B2 passando per gli invisibili F117A. Nel mirino non ci saranno solo gli impianti nucleari o quelli per la produzione di armi strategiche (missili, gas). Per assestare il colpo di maglio — precisano gli esperti — gli americani dovranno distruggere centri di comando e controllo, basi dei pasdaran, ministeri, uffici «sensibili». La lista presente nei computer dello Stato Maggiore contempla quasi 10 mila bersagli.
Nei raid dovranno essere usate le speciali bombe bunker-buster. Questo perché gli iraniani hanno da tempo iniziato a proteggere i loro impianti in rifugi sotterranei come confermano le ricognizioni satellitari su Natanz. I bombardieri B2A hanno condotto numerosi test con i nuovi ordigni ad alta penetrazione (Mop) capaci di perforare un bunker fino a 60 metri di profondità. Negli scenari che vengono periodicamente fatti al Pentagono ve ne uno che prevede anche il ricorso ad una speciale bomba atomica tattica (la B61-11) ma secondo lo studio Washington avrebbe escluso il ricorso a questo tipo di azione.
Rilanciando precedenti indiscrezioni il rapporto rivela che sarebbero già in atto azioni clandestine da parte di forze speciali americane e britanniche. I commandos darebbero assistenza alle bellicose minoranze che popolano l'Iran. In particolare i separatisti curdi nel Nord-Ovest, gli arabi nel Khuzestan e i baluchi. Manovre che hanno toccato nervi sensibili a Teheran. I pasdaran hanno reagito con attacchi contro i vari gruppi indipendentisti (gli ultimi a farne le spese i curdi) e sulla stampa locale sono circolate informazioni sulla cattura di informatori. Non senza risvolti comici. In una zona di confine sarebbero stati intercettati misteriosi scoiattoli che avevano degli strani sensori: in poche ore si sono tramutati in «spie al servizio degli stranieri».
In caso di scontro il Pentagono prevede un uso limitato di forze terrestri lungo la costa e nelle installazioni petrolifere. In particolare unità dei marines che dovrebbero contrastare l'eventuale risposta dei pasdaran. I guardiani della rivoluzione si sono addestrati da anni ad azioni mordi e fuggi con barchini esplosivi, vedette veloci e mini-sub. Una squadra, composta da Special Forces e Us Navy, avrebbe la missione di impedire un eventuale blocco dello Stretto di Hormuz, una minaccia più volte evocata dagli ayatollah. Altri commandos — come i Ranger e la Delta Force — si occuperebbero della caccia ai missili Scud. Una ripetizione di quanto avvenne nel primo conflitto iracheno.
Una delle maggiori preoccupazioni è infatti la ritorsione di Teheran. I mullah possono affidarsi sia al buon arsenale di missili terra- terra che ad azioni terroristiche. Due i compiti, in questo settore, per le unità scelte: A) individuazione di lanciatori e distruzione degli ordigni. B) Incursioni su siti ad alta tecnologia.
Nello studio, pur considerando i rischi di una operazione militare così imponente, si evidenzia come lo stato dell'arte del sistema difensivo iraniano sia obsoleto. I khomeinisti hanno fatto sforzi di ingegno e fantasia per rimettere insieme pezzi d'aereo — come tre vecchi F14 comprati dallo Scià —, navi ed elicotteri. I sistemi contraerei non possono competere con l'high tech dell'Us Air Force e i mezzi navali potrebbero fare ancora meno. Forse è per questo che i vertici dei pasdaran hanno annunciato, con rullo di tamburi e fanfare, la produzione di una bomba intelligente, di missili e siluri dalle prestazioni «sorprendenti».
L'esperienza irachena, però, invita alla cautela. Gli Usa possono vincere la guerra in pochi giorni, ma possono perderla nelle settimane a seguire. E i recenti conflitti (dall'Iraq al Libano sud) dimostrano che l'aviazione da sola non basta. Il blitz aereo può rivelarsi insufficiente — visto anche il grande numero di bersagli presi in esame — e le ripercussioni sulla stabilità della regione rischiano di essere fuori controllo. Guai a sottovalutare il pericolo terrorismo. I khomeinisti hanno una lunga esperienza nel ramo e mantengono uno strano rapporto con Al Qaeda. Sono divisi dalla ideologia, ma i mullah ospitano in case sorvegliate alcune decine di capi jihadisti. Potrebbero tornare utili. Infine i Paesi del Golfo. Siedono tanto sul petrolio che su una miscela esplosiva di estremismo, debolezze, ambiguità e paure. Basta un nulla per accenderle. Tutto vero, ribattono i fautori della linea dura, ma pensate come sarebbe peggio se l'Iran arrivasse alla Bomba.

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