L’omofobia nell’islam
un articolo di Umberto De Giovannangeli, per una volta lontano dal politicamente corretto
Testata:
Data: 28/08/2007
Pagina: 13
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Mappa dell’Islam che mette a morte i gay
Da L'UNITA' del 28 agosto 2007, un articolo di Umberto De Giovannageli sulla persecuzione degli omosessuali nel mondo islamico:

«I GIURISTI DELL’ISLAM hanno avuto opinioni divergenti riguardo la guerra per questa pratica abominevole. Dovrebbe essere la stessa pena prevista per la “zina” (fornicazione, ndr.) o andrebbero uccisi sia il partecipante attivo che quello passivo? Anche se
questa pena può apparire crudele, è stato consigliato di mantenere la purezza della società islamica e di mondarla dagli elementi pervertiti». Così sentenzia l’imam Yusuf al Qaradawi, lo studioso più ascoltato dell’Islam sunnita moderno. Il suo parere è contenuto nel saggio «Al-halal w-al-haram fi I-Islam» (Il lecito e l’illecito nell’Islam). L’omofobia nell’Islam. Un tema scottante che svela una realtà inquietante. Una premessa è d’obbligo: l’omofobia è una piaga che attecchisce in ogni angolo del pianeta. Niente di più sbagliato determinare una deleteria equazione islamico=omofobico. Tuttavia...Tuttavia non si può negare la realtà. E la realtà è che l’omosessualità è attualmente illegale in 27 Paesi islamici. I seguenti: Afghanistan; Algeria; Bahrain; Bangladesh; Bosnia.Erezegovina; Iran; Giordania; Kazakhstan; Kyrgyzstan; Kuwait; Libano; Malesia, Mauritania; Marocco; Oman; Pakistan; Qatar; Arabia Saudita; Sudan; Somaliland; Siria; Tajikistan; Tunisia, Turkmenistan; Emirati Arabi; Yemen.
Tra questi l’Iran, la Mauritania, l’Arabia Saudita, il Sudan, la Somalia, Somaliland e lo Yemen prevedono la pena capitale. Precedentemente si applicava la pena di morte per aver preso parte a rapporti omosessuali anche in Afghanistan, quando i Talebani erano al potere. Il Pakistan prevede la fustigazione ed almeno 2 anni di carcere; in Malesia la pena arriva fino a 20 anni e negli Emirati Arabi fino a 14, mentre in Bangladesh e in Libia la pena è rispettivamente di 7 e 5 anni di carcere. L’Iran è il Paese più zelante nel reprimere l'omosessualità: dall’affermarsi, nel 1980, della rivoluzione khomeinista, oltre 4mila gay e lesbiche sono stati giustiziati. In altri Paesi (Turchia, Egitto, Giordania, Mali, ecc...) l’omosessualità non è punita come tale, ma i gay possono essere condannati per offesa alla moralità pubblica. Il caso più eclatante è accaduto al Cairo l’11 maggio 2001, quando 52 uomini finora arrestati a bordo del night-club gay galleggiante Queen Boat, ancorato sul Nilo.
Molte organizzazioni internazionali per i diritti umani, come Human Rights Watch e Amnesty International, condannano le leggi che considerano i rapporti omosessuali tra adulti consenzienti un crimine. Dal 1994 la Commissione per i diritti umani delle Nazioni Unite ha dichiarato che leggi di questo genere violano anche il diritto alla privacy garantito dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo e dal Patto internazionale sui diritti civili e politici. Comunque, molte nazioni musulmane (ad eccezione della Turchia, che è stata governata da leggi laiche dal 1923 e che recentemente ha modernizzato le sue leggi per soddisfare i requisiti per l’ingresso nell’Unione Europea) insistono nell’affermare che queste leggi sono necessarie per «preservare la virtù e la moralità islamiche».
Ma la storia recente dell’omosessualità nell’Islam non è solo storia, tragica, terribile, di persecuzione e morte. È anche storia, nobile, generssa, di una società civile che si organizza e che rivendica diritti individuali e collettivi, anche nell’ambito della sfera sessuale. È la storia che ha portato, nel 1998, alla nascita di una organizzazione internazionale di sostegno a lesbiche, gay, bisessuali e transessuali di religione islamica in tutto il mondo, chiamata «Al-Fatiha» (l’apertura), una delle parole che aprono il primo capitolo del Corano. «L'omosessualità - sottolinea Faisal Alam, fondatore di “Al-Fatiha” - è così fortemente stigmatizzata nelle comunità islamiche che tanti gay, tante lesbiche, tanti bisessuali e transessuali e tutti coloro che si pongono domande sulla propria sessualità finiscono per assorbire la vergogna e il disgusto. che li circondano in famiglia e nella società». «Il movimento dei musulmani omosessuali - rileva ancora Alam - è appena agli inizi. Molti dei pregiudizi e delle discriminazioni nelle società islamiche sono causati dalla cultura e non vengono dall’Islam come religione. Vogliamo celebrare la nostra identità come persone omosessuali che sono anche fedeli musulmani. I nobili e fondamentali principi di rispetto, dignità umana, tolleranza, comprensione e giustizia nell’Islam sono sempre stati ignorati di fronte alla questione dell’omosessualità e dell’identità sessuale. Speriamo di riuscire a cambiare le cose con la volontà di Dio». Nel 2001 Al Fatiha, che ha la sua sede centrale a Londra, è stata colpita da una fatwa emanata da Al-Muhajiran, un gruppo estremista islamico britannico, che così recita: «I membri di questa organizzazione (Al Fatiha, ndr.) sono apostati. La regola islamica per i loro comportamenti è la morte». Uccidere un uomo gay è lecito e la condanna a morte per omosessualità è conforme alla legge islamica, dichiara l’imam capo di Manchester, Arshad Misbahi. In controtendenza è il Libano. Nel Paese dei Cedri è nata la prima Organizzazione non governativa per la difesa dei diritti degli omosessuali: il suo nome è «Helem» (Sogno) e da qualche mese si è dotata anche di una rivesta trimestrale: «Barra (Fuori). ««È stato molto duro per noi all’inizio - racconta George Azzi, coordinatore di “Helem” - ma abbiamo ricevuto un grande sostegno da una serie di ong e associazioni. Questo - rileva Azzi - è stato importantissimo per tutti quelli che hanno ancora il terrore di dichiararsi pubblicamente omosessuali in una società patriarcale come la nostra, e sono molti i politici che ci sostengono ma in modo informale perché il potere religioso è ancora molto forte in Libano».

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