I negazionisti dell'11 settembre
recensione di un'antologia di complottismi curata da Giulietto Chiesa
Testata: Corriere della Sera
Data: 27/08/2007
Pagina: 31
Autore: Dario Fertilio
Titolo: La teoria del complotto
Il CORRIERE della SERA del 27 agosto 2007 pubblica una recensione di Dario Fertilio Zero. Perché la versione ufficiale sull' 11/9 è un falso, curato da Giulietto Chiesa per l'editrice Piemme.
Ecco il testo, di cui segnaliamo in particolare le considerazioni finali:

Ecco il testo: 

D unque, ecco la verità: l'11 settembre del 2001 non furono Al Qaeda e Bin Laden a seppellire 2801 innocenti sotto le macerie delle Torri Gemelle, nonché a provocare la caduta di un aereo sul Pentagono. Si trattò di un colossale inganno, architettato dagli stessi Stati Uniti, o da una parte del loro establishment, per indurre Bush (o per consentirgli, o per costringerlo, secondo i punti di vista) a decretare l'inizio di una guerra infinita contro i terroristi. Con i relativi poteri speciali che si conferiscono soltanto a un comandante in capo, e il conseguente avvio di una strategia imperiale per la conquista del mondo.
E così, quello che soltanto pochi, incalliti antiamericani finora avevano osato sussurrare, diventa un vero e proprio atto d'accusa collettivo, un rapporto-pamphlet di 400 pagine in cui un'équipe internazionale di scrittori, giornalisti, storici, filosofi, politici, professori d'università, scienziati, economisti e teologi annuncia al mondo l'inaudita novella: «la versione ufficiale sull'11/9 è un falso». Titolo dell'opera, allusivo al centro simbolico dell'ecatombe:
Zero. Fra i coautori, coordinati dal noto giornalista Giulietto Chiesa, il medievalista Franco Cardini e il filosofo Gianni Vattimo, Gore Vidal e Lidia Ravera, l'ex ministro socialdemocratico di Helmut Schmidt, Andreas von Bülow, e il filosofo californiano David Ray Griffin, il giornalista tedesco Jürgen Elsässer e l'economista canadese Michel Chossudovsky, più molti altri, riuniti in una compagnia ideologicamente e professionalmente eterogenea, benché solidale nello sforzo di smascherare il «complotto».
Arrivati sin qui, e superato l'effetto sorpresa, subentra la legittima aspettativa di conoscere il nome del vero colpevole. Chi è stato, dunque, se non Bin Laden? Ebbene, la risposta non è di quelle che si leggono tutte d'un fiato, bianca o nera. Occorre interpretare, valutare e dedurre. Più che una presentazione di prove,
Zero si rivela infatti un complesso di ragionamenti e deduzioni che gli avvocati definirebbero «castello di indizi». Egualmente la lettura appassiona, perché aggredisce il cuore oscuro dell'affaire da molteplici punti di vista. Così Ray Griffin smonta il rapporto della commissione d'inchiesta sull'11 settembre puntando sui conflitti d'interesse e sui legami personali dei suoi membri con l'amministrazione Bush; Claudio Fracassi denuncia le contraddizioni e le montature dell'informazione globale nel riferire sull'episodio (una per tutte: l'assenza completa di immagini al momento dell'impatto del gigantesco Boeing contro il Pentagono, considerato «il luogo più sorvegliato del mondo»). Ancora: l'ipotesi che si sia trattato di una false flag operation, un'operazione congegnata in modo da sacrificare diciannove patsie, gli islamisti trasformati in capri espiatori inconsapevoli, e in seguito scatenare una psyop, o psicosi di massa (dietrologia e gergo da intelligence sono illustrati da Andreas von Bülow). Suggestive anche le coincidenze messe in rilievo da Jürgen Elsässer: gli jihadisti combatterono in Jugoslavia con l'appoggio degli Usa e della Nato, mentre Osama Bin Laden entrava e usciva dal palazzo di Izetbegovic, il presidente musulmano e filo-occidentale della Bosnia. Ancora, Giulietto Chiesa identifica il «cosiddetto terrorismo internazionale», teorizzato dai neocon americani, in primo luogo con «un'azione diretta e indiretta dei servizi segreti americani e israeliani». Steven Jones, un fisico dello Utah, certo «che la collisione dei jet con due degli edifici non basti a spiegare il totale e rapido crollo di entrambe le Torri», così conclude: «Esistono prove convincenti che la distruzione degli edifici prevedesse il piazzamento di cariche esplosive e incendiarie». Franco Cardini punta il dito contro i neocon e il modo in cui sono stati raffigurati i terroristi: «Che cosa c'è di meglio di un movimento che non ha struttura centrale o leader, se non morti, per addossargli ogni colpa o comportamento, per quanto assurdo esso sia?». Quanto allo storico Webster Griffin Tarpley, parla del «mito dell'11 settembre come strumento per legittimare le tendenze razziste, militariste e fasciste del nostro tempo». E così avanti, con Michel Chossudovsky a dichiarare senza mezzi termini: «Questi nemici dell'America, i presunti architetti degli attacchi dell'11 settembre, sono stati creati dalla Cia». O forse, aggiunge l'economista Enzo Modugno, si è trattato di un modo per «bloccare il precipitare della Borsa che stava per crollare, ridando vigore alla domanda e avviando la ripresa dell'economia». E poi ecco il regista Barrie Zwicker, autore del documentario 9/11, The Great Conspiracy, mentre si diverte a complicare le cose, parlando di «complotto della teoria del complotto»; intanto Lidia Ravera trasforma il tutto in un racconto, dove le inquietudini coniugali di una coppia si intrecciano al lento emergere del dubbio sui veri mandanti della strage. Curiosamente, l'unico a sottrarsi decisamente a queste ipotesi è l'altre volte irriverente Gore Vidal, intervistato in coda al volume: Bush e Cheney non sono responsabili dell'attentato, dichiara, «perché incompetenti ».
Disorientati quanto si vuole, dopo questa lettura si è colpiti da un particolare. Tutti gli interventi di Zero partono da una certezza (la strage è avvenuta, ma i colpevoli sono nell'amministrazione Usa) e da qui passano a raccogliere elementi, coincidenze, allusioni, sensazioni, citazioni volte a dimostrare l'assunto. Di fronte all'evidenza dei fatti — la strage, i nomi dei responsabili, le rivendicazioni di Bin Laden — si punta a corrodere le certezze accumulando particolari e statistiche, benché nessuna di esse sia decisiva.
Direi che tutta l'operazione può essere vista come un caso di «negazionismo colto», che ricorda non troppo alla lontana quello famoso sulla Shoah, e che rispetto a quello può essere letto in parallelo. Si isolano cioè le testimonianze dal loro contesto immediato, si gettano dubbi sulla credibilità dei testimoni, si studiano le loro dichiarazioni alla ricerca del minimo errore, usandolo poi per inficiare il tutto (è la tecnica nota agli studiosi del negazionismo, denominata
falsus in uno, falsus in omnibus). Giunti a questo punto, si sferra l'attacco finale: si afferma che «errori» e «sbavature» non sono certo casuali, ma fanno capo a una precisa volontà di manipolazione a opera... non del sionismo internazionale, in questo caso, ma dei neocon, della Cia, dell'operazione Condor, di un misterioso gruppo di estremisti statunitensi intenzionati a far scoppiare una guerra nucleare (il «Gruppo dell'Angelo»). E sullo sfondo l'accusa finale, quella di voler creare, al posto dell'Ordine mondiale sionista di cui parlano i negazionisti, l'Impero americano planetario.
Ma per ora, fortunatamente, l'effetto di tutto questo si ferma a Zero.

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