"Meglio morire che tornare in Iran"
intervista a Pegah Emambakhsh
Testata: La Repubblica
Data: 26/08/2007
Pagina: 23
Autore: Paola Coppola
Titolo: "Meglio morire che tornare in Iran"
Da La REPUBBLICA del 26 agosto 2007:

Pegah Emambakhsh ha paura. Sa che esporsi, raccontare la sua storia può costarle la vita. Lo ha fatto davanti a un giudice e non è stata creduta. Ripetere ancora perché non vuole tornare in Iran significa ripercorrere un´esperienza terrificante: la fuga, un´attesa di due anni, il sogno di poter vivere alla luce del sole la sua omosessualità e poi la prigione e il terrore di rientrare nel suo Paese dove ha lasciato due figli, nati da un matrimonio combinato, e una compagna, che è stata arrestata, torturata e condannata alla lapidazione. Pegah è provata. Dal 13 agosto è rinchiusa nel centro di detenzione di Yarls Wood vicino a Sheffield, dove ha tentato di togliersi la vita. È stanca, ma in questi giorni ha ricominciato a sperare che alla fine, martedì prossimo, non prenderà quel volo della British Airways diretto a Teheran.
Da due anni vive sospesa fra il desiderio di vivere in un Paese libero e la paura di dover tornare in Iran. Come ha vissuto, finora, questa attesa?
«Sono stanca. All´inizio ero piena di speranza, anche se ero preoccupata per mio padre e mi mancavano i miei figli. Sapevo che il Regno Unito è un Paese aperto, un paese che accoglie tutti. Così ho deciso di venire qui e ho chiesto asilo. A Sheffield ho trovato anche degli amici che mi hanno aiutato. Ogni tanto sembrava che tutto andasse per il meglio e che la mia domanda sarebbe stata accolta e ogni tanto mi dicevano, invece, che l´Home Office non mi aveva creduta e che mi avrebbero costretta a tornare in Iran. In quei momenti avrei voluto essere morta».
Secondo lei, perché non l´hanno creduta?
«Non lo so. Sono fuggita perché sono una donna lesbica, perché mi ero innamorata di un´altra donna ed era sempre più difficile nasconderci. Poi lei è stata arrestata. Io mi trovavo nella sua stessa condizione, se no non me ne sarei mai andata, perché sono molto legata alla mia terra e voglio molto bene ai miei figli. Forse volevano delle prove, ma non so che prove avrei potuto portare».
Ha avuto notizie della sua compagna, dopo l´arresto?
«Sì. È stata interrogata e condannata alla lapidazione, perché l´hanno giudicata una donna immorale. Mi fa ancora molto male parlare di lei».
Sul suo caso si è creato un movimento: molte persone le sono vicine, soffrono con lei, protestano, inviano lettere all´Home Office, ai governanti, alle ambasciate. Chiedono al Regno Unito di concederle l´asilo perché è un suo diritto. Questo l´aiuta a sentirsi meno sola?
«Sì, queste voci mi aiutano a sperare ancora. Da quando mi hanno portata a Yarls Wood, non ho fatto che pensare alla morte. Non avevo più fede e desideravo morire pur di non tornare in Iran dove mi aspettava qualcosa che è molto più brutto, molto più doloroso della morte. Io credo nella bontà di Dio e a un certo punto è accaduto un miracolo. "Pegah", mi ha detto un giorno al telefono un amico, "tutto il mondo sta parlando di te. È nato un movimento che chiede di salvarti la vita. Il tuo nome è sui giornali, in Internet, è sulla bocca di tutti". Ora tante persone si interessano a me, anche un membro del Parlamento inglese. Ho scoperto di avere amici non solo fra i movimenti inglesi per i diritti degli omosessuali, ma anche in Italia. La persona che mi segue e mi aiuta qui a Sheffield ha creato un nome per queste persone: Friends of Pegah Campaign».
In Iran gli omosessuali sono costretti a nascondersi perché se vengono scoperti, rischiano la tortura, la pena delle cento frustate e, se sono "recidivi", la lapidazione o l´impiccagione. I gay e le lesbiche iraniani seguono il suo caso con trepidazione e la considerano un simbolo. Che prova, pensando a loro?
«Preoccupazione, angoscia. Spero solo che le cose cambino, che le leggi cambino».
Ha un messaggio per le autorità che possono decidere se concedere asilo ai rifugiati omosessuali?
«Salvate le loro vite».
È stata condannata a causa del suo modo di amare, solo perché è diverso da quello della maggioranza. E ha avuto il coraggio di dirlo a tutto il mondo, che rappresenta per lei l´amore?
«È la cosa più importante. Grazie all´amore la maggior parte degli uomini e delle donne creano una famiglia e realizzano la propria vita. È stato l´amore a guidare la mia vita e qualunque cosa mi accada, sarà l´amore a guidarmi».
Se la sua vicenda si concluderà felicemente e i suoi diritti saranno riconosciuti, ha già pensato al futuro, a quali sogni vorrebbe realizzare?
«Voglio camminare in mezzo alla gente, senza guardarmi alle spalle e ripetere dentro di me: "Sono libera"».

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