Ian Buruma difende il suo libro sull'omicidio Van Gogh
rispondendo alle critiche di Pascal Bruckner
Testata: Corriere della Sera
Data: 31/01/2007
Pagina: 39
Autore: Ian Buruma
Titolo: Ai confini del razzismo

Pubblichiamo di seguito un articolo di Ian Buruma, che risponde alle critiche mosse dal filosofo francese Pascal Bruckner al suo libro sull'omicidio di Teho Van Gogh.
Senza entrare nel merito della polemica, osserviamo che l'obiettivo del conflitto con il fondamentalismo islamico non è tanto la" riforma dell'islam 
 ", quanto la sopravvivenza della società aperta.
La possibilità, anche per "atei dichiarati" come Ayan Hirsi Ali di criticare l'islam non è un mezzo più o meno adeguato, come pensa Buruma, ma un fine.
Inoltre, ci sembra assurdo il paragone tra l'introduzione della segregazione sessuale nelle spiagge "all'apertura di ristoranti kasher, ospedali cattolici o spiagge riservate ai nudisti".
Puttosto, nel caso di spiagge private il paragone più pertinente sarebbe conl'apertura di un club che escluda la possibilità di ammettere soci ebrei, o cattolici, o protestanti.
Nel caso di spiagge pubbliche, invece, il paragone con l'apartheid del Sud Africa sembra inevitabile.

Ecco il testo: 

Se Pascal Bruckner è stato così cortese da leggere il mio libro, non capisco come abbia potuto concludere che si trattava di un attacco contro Ayaan Hirsi Ali. Le ultime due frasi di Murder in Amsterdam sono: «E Ayaan Hirsi Ali è stata costretta ad abbandonare la scena (l'Olanda). Il mio Paese mi sembra più piccolo senza di lei».
Io ammiro Ayaan Hirsi Ali e mi dichiaro d'accordo con le sue posizioni. La democrazia liberale dev'essere difesa contro la violenza estremista e le donne devono essere difese dai soprusi. Non c'è spazio per giustificazioni religiose. Il mio scetticismo riguarda piuttosto la sua analisi dei problemi sociali delle nazioni europee sollevati dall'arrivo di ingenti quantità di rifugiati e immigrati non occidentali. L'islamismo rivoluzionario, che si propaga dal Medio Oriente, rappresenta un vero pericolo per tutte le società libere. Le mie divergenze con Hirsi Ali sono piuttosto una questione di enfasi. Passata dall'osservanza religiosa islamica all'ateismo, Hirsi Ali tende a vedere nella religione, e nell'Islam in particolare, la radice di tutti i mali, specie per gli abusi perpetrati contro le donne. Le tradizioni culturali, le usanze tribali, gli antecedenti storici, molto diversificati, anche all'interno del mondo islamico, vengono appiattiti in una minaccia monolitica. L'Islam praticato a Giava non è l'Islam di un villaggio in Marocco, o in Sudan, o a Rotterdam. Nella sua autobiografia, Hirsi Ali stessa descrive le notevoli differenze tra il suo Paese d'origine, la Somalia, e l'Arabia Saudita. In Europa, persino il velo non può essere trattato semplicemente come simbolo di fanatismo religioso. Alcune donne lo indossano per evitare l'aggressività maschile, altre perché lo vogliono i genitori, e alcune per volontà propria, come un distintivo d'identità e in segno di sfida, quando non di ribellione. Bruckner ammira i ribelli. Ma dovremmo forse prendere le parti solo dei ribelli di cui condividiamo opinioni e stile di vita? Oppure vivere in una società libera significa che la gente può scegliere come si veste, come parla, la propria fede religiosa, anche se a noi non piace, fintanto che non si calpestano i diritti degli altri? Un cittadino libero non tollera culture e usanze diverse perché le trova fantastiche, ma perché crede nella libertà.
Essere tolleranti non equivale a non saper fare distinzioni. Non mi sognerei nemmeno di difendere la dittatura nel nome della tolleranza per le altre culture. La violenza contro le donne, o contro gli uomini, non può essere tollerata e va punita dalla legge. Non difenderei mai la mutilazione genitale delle bambine, né la violenza domestica contro le mogli, per quanto venga razionalizzata. I delitti d'onore sono omicidi e come tali vanno trattati. Questi casi riguardano l'applicazione della legge. Certo, è ben più arduo cercare un sistema per impedire alle ideologie violente di contagiare la maggioranza dei musulmani e di minacciare le società libere.
Per questo non sono persuaso che il modo migliore sia quello di affermare pubblicamente, come ha fatto Ayaan Hirsi Ali, che l'Islam in genere è una religione «arretrata» e il suo profeta «perverso».
Hirsi Ali, tuttavia, ha il diritto di dire queste cose, come Bruckner ha il diritto di definire i musulmani come «bruti».
Non mi sento minimamente «imbarazzato» dalle critiche scagliate contro l'Islam da Hirsi Ali, né le ho mai negato il diritto di «far riferimento a Voltaire». Ma se abbiamo a cuore una riforma dell'Islam, allora credo che tali denunce non vadano nel senso giusto, specie se provengono da un'atea dichiarata. Condannare l'Islam, senza tener conto delle sue molteplici variazioni, è agire in maniera troppo indiscriminata. Non tutti i musulmani, e nemmeno tutti i musulmani osservanti, sono automaticamente fautori della guerra santa. Isolare i jihadisti e combattere i loro dogmi pericolosi è un obiettivo troppo importante per essere perseguito a colpi di rozze polemiche.
Pascal Bruckner è un illustre intellettuale francese, pertanto sono certo che non sta a me ricordargli queste cose, come non è il caso che mi ammonisca sui pericoli del relativismo culturale. Tuttavia, più che interessato a un dibattito serio, Bruckner mi sembra tentato dai trucchi di una facile retorica, come quello di svilire la reputazione altrui tramite associazione. Prendiamo l'esempio di Ayaan Hirsi Ali paragonata ai fascisti o addirittura ai nazisti. Per conto mio, non l'ho mai accusata di essere né l'uno né l'altro. L'esempio, citato da Bruckner, di un critico olandese «che l'ha chiamata nazista», è preso dal mio libro. Ma lo scrittore olandese Geert Mak in realtà non l'ha mai definita nazista. Ha paragonato il tono del suo film Submission alla propaganda nazista, e io l'ho criticato per il confronto. Bruckner ricorre a questo esempio isolato per suggerire che io, e «altri filosofi pantofolai», siamo pronti a bollare «i difensori della libertà» come fascisti, mentre raffiguriamo i fanatici come vittime.
È una sensazione interessante, tra l'altro, sentirsi chiamare «filosofo pantofolaio». E qui parlo anche in difesa di Timothy Garton-Ash, come me attaccato da Bruckner: mentre Garton-Ash trascorreva anni interi al seguito dei dissidenti dell'Europa dell'Est ed io mi trovavo tra i ribelli in Cina e in Corea del Sud, Bruckner, per quanto ne so io, non si è mai allontanato di molto dal centro di Parigi. Ma questa è una digressione.
In un altro tipico attacco di esagerazione, anche stavolta concepito per infangare tramite associazione, Bruckner fa cenno all'inaugurazione di un ospedale islamico a Rotterdam e alle spiagge riservate alle donne musulmane in Italia. Non riesco a capire perché questo sia tanto più riprovevole dell'apertura di ristoranti kasher, ospedali cattolici, o spiagge riservate ai nudisti, eppure per Bruckner tali concessioni sono pericolosamente simili alla segregazione degli Stati del Sud degli Stati Uniti, o persino all'apartheid del Sud Africa.
In un tipico accesso di sciovinismo gallico, Bruckner vanta «la superiorità del modello francese». C'è qualcosa di deliziosamente antiquato, e persino corroborante, in questo fremito di orgoglio nazionale. Ma che cos'è che Bruckner trova tanto superiore? La laicità, immagino, e il principio repubblicano. Concedo senza esitazione che la Francia, e il suo «modello», sono ammirevoli sotto tanti aspetti. Tuttavia, la nozione di Bruckner che lo Stato debba interessarsi ai dogmi, o all'interpretazione delle sacre scritture, potrebbe avere a che fare con la storia della Francia post-rivoluzionaria. Ad ogni modo, credo che sia una cattiva idea. Ci sono molte ragioni per cui sarebbe auspicabile che i musulmani, o chiunque altro, si sentano liberi di reinterpretare i loro testi religiosi, e che tutti possano rimettere in questione i dogmi. Ma tale compito non appartiene certamente allo Stato, perché spalancherebbe la strada verso l'autoritarismo.
E che cosa propone di fare Bruckner con i milioni di credenti musulmani che vivono in Europa? Interpretare per loro i testi sacri? Costringerli a seguire l'esempio di Ayaan Hirsi Ali e rinnegare la loro fede? Forse sarebbe meglio se lo facessero di loro spontanea volontà, ma pretendere che lo Stato li costringa a questo non corrisponde all'immagine che Bruckner ha di se stesso, quella del combattente — illuminato — della libertà.
Dopo tutti i suoi sforzi per non cedere un millimetro ai musulmani, per difendere Ayaan Hirsi Ali contro «i nemici della libertà», come sarei io, ecco che Bruckner conclude che «non c'è nulla che richiami alla mente il tremendo spettro del Terzo Reich», e che persino «il governo dei mullah di Teheran è una tigre di carta». Adesso siamo noi, i filosofi pantofolai, gli allarmisti in preda al panico, che hanno perso il coraggio «di difendere l'Europa». Dove abbiamo già sentito queste parole? La necessità di difendere l'Europa contro la minaccia straniera, gli intellettuali deboli e sfibrati, travagliati dai dubbi... no, non voglio abbassarmi al livello di Pascal Bruckner, il sovrano ribelle della Rive Gauche.

traduzione di Rita Baldassare

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