Ora sono gli Usa a "rompere il fronte" anti-Ahmadinejad
con sanzioni troppo dure e la guerra alla milizie sciite in Iraq!
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Data: 31/01/2007
Pagina: 1
Autore: Anna Momigliano
Titolo: Tra Usa e Iran è già guerra in Iraq

Mettendo sotto pressione le milizie sciite irachene appoggiate da Teheran, sostiene Anna Momigliano sul RIFORMISTA del 31 gennaio, gli Stati Uniti danneggiano lo splendido lavoro della diplomazia europea che era riuscita, pare,  a indebolire Ahmadinejad. Non si sa bene secondo quale parametro.
Curiosa anche l'interpretazione delle rimostranze americane per la limitatezza delle sanzioni europee all'Iran.
Non sono gli europei che imperterriti continuano a fare affari con l'Iran, ma gli Stati Uniti che rompono il fronte comune della comunità internazionale, che reggerebbe solo con sanzioni non troppo dure.
Un'acrobazia logica funzionale alla difesa di un evidente partito preso: gli Stati Uniti destabilizzano il Medio Oriente, l'Europa lo stabilizza, la diplomazia e il compromesso con le dittature funzionano sempre, la guerra e il cambio di regime mai.

Ecco l'articolo:

Non tutti se ne sono accorti, ma la guerra tra Iran e Stati Uniti è già cominciata. Non è il conflitto fatto di bombardamenti aerei sul modello di Enduring Freedom, né la campagna di strikes mirati sulle centrali iraniane che molti si aspettavano. E' piuttosto una guerra di logoramento, combattuta a colpi di arma da fuoco nelle strade delle città e dei quartieri iracheni, da Najaf a Sadr City. Ormai, la stessa amministrazione americana non fa mistero dell'obiettivo della campagna militare lanciata dalla “nuova strategia Bush” contro le milizie sciite in Iraq, che si tratti delle brigate Sadr, del braccio armato del partito Sciiri legato a doppio filo con Teheran, o del piccolo ma significativo distaccamento di Hezbollah presente sul suolo iracheno: «vogliamo mandare un forte segnale a Teheran», ha tuonato il vicepresidente Dick Cheney. Un obiettivo non così indiretto, bisogna aggiungere, se si tiene conto che la campagna dell'US Army non ha colpito solamente le milizie ufficiosamente legate all'Iran, ma anche agenti e personale diplomatico della Repubblica islamica. Tutto questo, mentre prosegue la guerra civile in Iraq e le violenze settarie tra sunniti e sciiti hanno fatto precipitare il paese in un nuovo baratro di violenza: ieri una serie di attacchi bombaroli in alcune moschee sciite, programmato in coincidenza con la festività dell'Ashura, ha causato la morte di almeno 40 pellegrini. Tutto questo, aggiungono i critici, mentre gli sforzi congiunti delle diplomazie americana ed europee, come vedremo in seguito, erano riusciti a mettere in seria difficoltà il regime iraniano. In altre parole, l'interventismo del Pentagono rischia di rompere le uova nel paniere al meticoloso lavoro delle diplomazie europee, che sono riuscite a indebolire la leadership di Ahmadinejad.
Che l’amministrazione repubblicana volesse aprire un nuovo fronte contro gli squadroni della morte sciiti e le forze iraniane attive in Iraq lo si era capito da quando il presidente Bush ha insistito per inviare truppe fresche,e specificamente addestrate alla guerra di guerriglia, in Iraq nonostante l’opposizione del Congresso democratico. E, a onor del vero, va detto che la nuova strategia militare americana sta dando i suoi frutti: più di seicento miliziani filoiraniani sono stati arrestati nelle ultime settimane, molti sono stati uccisi, mentre le attività dei servizi di Teheran nelle roccaforti sciite come Najaf sono state indebolite dai blitz delle forze americane e irachene. Infatti, messo alle strette dalle pressioni americane, anche il governo di Nuri Al Maliki - legato a doppio filo con Teheran e composto da partiti di cui le milizie sciite costituiscono il braccio armato - è stato costretto a ostacolare gli squadroni della morte. Aprire un fronte con le milizie filo-iraniana ha avuto però un effetto collaterale: per forza di cose, l’US Army ha dovuto allentare la pressione sui cosiddetti “insorti sunniti”, ovvero quell’insieme di nostalgici baathisti e di gruppi salafiti, considerati i responsabili della maggior parte degli attentati bombaroli e che fino a poche settimane fa avevano monopolizzato le energie americane. In altre parole, gli insorti adesso sono più liberi di agire:il duplice attentato di ieri potrebbe essere letto in questo senso. Inoltre, va considerato che gli attentati hanno colpito tre città del Kurdistan iracheno a forte minoranza araba, Khanaqin e Baladruz,prima d’ora considerate pacifiche. Il Kurdistan iracheno è finora rimasto al di fuori delle violenze settarie: come i cugini arabi, anche i curdi sono divisi tra sciiti e sunniti, ma la coesione etnica tende a superare le divisioni religiose. Gli attentati di ieri probabilmente sono attribuibili a gruppi arabi sunniti,che hanno in questo modo dimostrato una capacità di colpire al di fuori del loro tradizionale raggio d’azione. Negli ambienti diplomatici europei pare che questa nuova strategia americana sia stata recepita con qualche malumore. La cosa non deve stupire: la scelta di attaccare militarmente la Repubblica islamica, seppure al di fuori dei suoi confini nazionali,secondo alcuni rischia di rendere vani gli sforzi diplomatici congiunti degli americani e degli europei, che recentemente sono riusciti a fare passare un pacchetto di sanzioni economiche, seppure quanto edulcorato,al Consiglio di Sicurezza Onu.In particolare,i diplomatici italiani, molto coinvolti nella mediazione iraniana anche se l’Italia non fa ufficialmente parte della cosiddetta “trojka Ue” (Francia, Inghilterra, Germania), hanno sempre sostenuto che «l’unità delle pressioni è molto più importante dell’intensità delle pressioni », almeno se si vuole davvero indurre Teheran a più miti consigli. Per quanto edulcorate, infatti, le sanzioni economiche volute da Usa e Ue hanno messo in difficoltà il regime molto più di quanto non avessero fatto le minacce del Pentagono. Ora Ahmadinejad è sotto attacco dal fronte interno per la crisi economica e per la gestione del dossier nucleare. Ieri il New York Times parlava senza mezzi termini «di una nuova frattura tra America ed Europa». Insoddisfatta delle sanzioni già in atto, Washington ha chiesto ai partner europei di ridurre ulteriormente il commercio con Teheran - richiesta che sarà probabilmente rispedita al mittente. Sulla strategia iraniana, tuttavia, esistono divisioni anche all’interno dell’amministrazione Bush. Tra i più scettici, ci sarebbe proprio Condoleezza Rice. Nelle ultime settimane,Condi aveva puntato tutto sull’isolamento diplomatico di Teheran all’interno del Medio Oriente: è il cosiddetto «riallineamento degli stati arabi», che vogliono contenere il crescente peso di Teheran nella regione. Ora, la recente dimostrazione di forza nei confronti degli iraniani può essere interpretato come una rassicurazione ai paesi arabi, e in particolare all’Arabia saudita, che più si oppongono all’egemonia persiana.Tuttavia non è chiaro fino a che punto i paesi arabi siano disposti a tollerare le operazioni americane in Iraq.

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