Sunniti contro sciiti
le violenze in Iraq, la minaccia iraniana e la guerra di religione interna all'islam
Testata: Corriere della Sera
Data: 31/01/2007
Pagina: 1
Autore: Magdi Allam - Davide Frattini - Guido Olimpio
Titolo: Il silenzio sugli innocenti - Dal conflitto interno all'islam una nuova guerra dei 30 anni - Teheran un nuovo missile metterà in orbita un satellite
Dal CORRIERE della SERA del 31 gennaio 2007, un articolo di Magdi Allam sull'ultima strage di sciiti in Iraq:

Ciò che maggiormente colpisce nell'ennesima strage di sciiti in Iraq, ad opera di terroristi sunniti, è il silenzio assordante dei musulmani. Sempre pronti a scatenare la guerra santa se il Papa riflette ad alta voce sulla violenza in nome di Allah, ma latitanti quando decine di migliaia di musulmani innocenti vengono massacrati in Iraq, Libano, territori palestinesi, Somalia, Afghanistan. La verità è che anche quando si sentono delle voci a favore o contro gli sciiti oppure i sunniti, non è perché i musulmani hanno a cuore la sacralità della vita, ma solo perché si ambisce o si teme il dominio assoluto di una delle due fazioni che si combattono da 1346 anni. Da quando, nel 661, fu assassinato Ali, cugino e genero di Maometto, nella lotta per il dominio del califfato islamico. Soltanto 48 anni fa il Grande sceicco dell'Università di Al Azhar, una sorta di Vaticano sunnita, promulgò una fatwa in cui riconobbe gli sciiti come una legittima scuola di pensiero islamico. Ma per molti sunniti gli sciiti restano una «setta deviante». Lo scorso dicembre Abdul Rahman al-Barak, una delle più eminenti guide religiose saudite vicino alla famiglia reale, ha qualificato gli sciiti come «peggiori degli ebrei e dei cristiani». A suo avviso «questi eretici sono la setta più diabolica della nazione e hanno tutte le caratteristiche degli infedeli». Più recentemente, intervenendo alla Conferenza per il dialogo delle scuole islamiche (Doha, 20 gennaio), lo sceicco Youssef Qaradawi, esponente di punta dei Fratelli Musulmani, ha ammonito che «il proselitismo sciita nelle aree densamente sunnite è pericoloso e manda all'aria gli sforzi per la riconciliazione». In questo contesto Iraq e Libano sono candidati a diventare i principali campi della resa dei conti tra sunniti e sciiti. Da un lato l'asse sunnita, composto da Egitto, Arabia Saudita, Turchia e Giordania e, dall'altro, l'asse sciita che fa perno sull'Iran con il sostegno del regime alawita siriano, l'Hezbollah libanese e i palestinesi di Hamas. Questi ultimi, pur essendo sunniti, sono schierati con il nazi-islamico Ahmadinejad per interesse economico e condivisione dell'obiettivo di distruggere Israele. Questa guerra inter-confessionale riposa fondamentalmente sulla strategia eversiva e destabilizzante del regime degli ayatollah, mirante sia a dotarsi dell'atomica sia a promuovere un fronte internazionale anti-israeliano e anti-americano. L'Iran, roccaforte degli sciiti che vi rappresentano il 90% della popolazione, cerca di far leva sull'irredentismo religioso degli sciiti in Iraq e Bahrain (60%), Libano (40%), Kuwait (30%), Pakistan (20%) e Arabia Saudita (20% della popolazione). Una strategia che ha remote probabilità di successo, dato che la leadership religiosa iraniana non è riconosciuta come l'autorità dell'insieme degli sciiti. A maggior ragione l'Europa dovrebbe smetterla di corteggiare l'Iran, incrinando l'alleanza con gli Usa, pur di tutelare i propri miopi interessi economici.

Di seguito, un articolo di Davide Frattini sul conflitto tra sciiti e sunniti che lacera l'islam:

GERUSALEMME — «In Medio Oriente sta sorgendo una mezzaluna sciita». L'influenza iraniana sugli Stati che circondano il suo regno (e oltre) preoccupava Abdallah di Giordania già nel 2004. Un paio d'anni e una guerra dopo — quella di quest'estate tra Israele e l'Hezbollah — i leader sunniti temono che la Luna possa diventare piena. «Due blocchi si contrappongono: da una parte, l'Egitto, l'Arabia Saudita, la Giordania. Dall'altra, Teheran che cerca di infilarsi ovunque ci sia spazio: tra i palestinesi, in Libano, in Siria. La stessa strategia che avevano i sovietici». Zvi Barel, docente al dipartimento di studi mediorientali dell'università Ben Gurion e commentatore del quotidiano israeliano Haaretz, usa l'esempio della Guerra Fredda perché considera il confronto soprattuto politico («gli iraniani non sono neppure arabi»). Altri analisti parlano invece di una «nuova guerra dei trent'anni», una contrapposizione religiosa come quella tra i protestanti e i cattolici che ha insanguinato l'Europa del 1600. Tutti sono d'accordo che l'invasione americana contro Saddam Hussein abbia riacceso la voglia di potere degli sciiti: dove sono maggioranza (in Iraq o in Bahrain) e dove sono minoranza. «Gli sciiti rappresentano il 10-15% della comunità islamica globale — scrive lo studioso Vali Nasr — ma nell'area che va dal Libano al Pakistan sono la metà della popolazione, circa 150 milioni». Nasr, che da professore universitario introduce alle complessità del Medio Oriente gli ufficiali della Marina americana, ha dedicato un libro a quella che chiama «la rinascita sciita» ( The Shia Revival). Il sottotitolo — «come un conflitto all'interno dell'islam plasmerà il futuro» — è la domanda che si pongono anche le intelligence occidentali. Aharon Zeevi-Farkash, ex capo dei servizi segreti militari israeliani, è convinto che lo scontro diventerà aperto e coinvolgerà Iraq, Libano, territori palestinesi. Uno scenario che fa dire allo scrittore Sami Michael, israeliano di origine irachena: «Il conflitto tra musulmani ed ebrei è una piccola cosa rispetto a quello tra sciiti e sunniti. Rischiamo di diventare un danno collaterale». Una decina di giorni fa, i leader religiosi delle due principali correnti dell'islam si sono trovati in Qatar per cercare di trasmettere ai fedeli quella concordia che non trovano da 1.400 anni. La discussione teologica non ha potuto distaccarsi delle violenze quotidiane in Iraq. Yussef Al Qaradavi, potente sceicco sunnita, ha attaccato Teheran perché non interviene a impedire la carneficina. Mohammed Ali Taskjiree, la sua controparte iraniana, ha accusato i sunniti di trattare gli sciiti come degli eretici. «Le divisioni sono profondamente radicate nei pregiudizi popolari — scrive Nasr — e la religione ha definito i confini delle due comunità». Così in Arabia Saudita si dice che gli sciiti sputino nel cibo (una calunnia per evitare tavolate in comune), i pakistani li chiamano «zanzare» e in Libano sono considerati volgari e provinciali. «La sensazione è che in mezzo a questa rivalità millenaria — commenta sul New York Times l'intellettuale musulmana Irshad Manji — l'America si trasformi da superpotenza in superpedina. Qualunque sarà il capitolo finale del dramma, non sarà Washington a scriverlo. Saranno i musulmani».

Infine, un articolo di Guido Olimpio sulla tecnologia missilistica iraniana:

MILANO — Teheran non molla di un centimetro. Mescolando le visioni messianiche di Ahmadinejad, le ambizioni regionali — rimaste intatte nel passaggio dallo Scià ai mullah — e una buona industria militare, l'Iran prova a far crescere il proprio arsenale. L'ultimo sforzo riguarda lo spazio. Dopo rivelazioni dell'intelligence e soffiate degli esuli, il settimanale Aviation Week ha fornito dettagli sull'imminente lancio di un satellite. E una conferma diretta è venuta dal presidente della Commissione Sicurezza del Parlamento, Alauddin Boroujerdi: siamo pronti a metterlo in orbita con un nostro vettore. Gli iraniani, con la collaborazione di scienziati nordcoreani, hanno messo a punto una versione speciale del missile Shahab 3 (versione locale di un missile della Corea del Nord) o dell'ancora sperimentale Ghadar 110. La novità — e la preoccupazione degli Usa — risiede proprio nell'indipendenza raggiunta dai mullah, i quali non dovranno più rivolgersi ad altri Paesi. Nel 2005, sono stati i russi a mettere in orbita il Sinah 1, un satellite che secondo le versioni ufficiali ha «impieghi commerciali». Un secondo apparato, prodotto dalla italiana Gavazzi, è in attesa di lancio in un poligono della Russia. I portavoce della compagnia da noi contattati hanno affermato che si tratta di «un satellite per telecomunicazioni». La messa in orbita di un satellite dimostrerà i progressi dell'industria iraniana nella realizzazione di armi intercontinentali. Con l'assistenza russa, cinese e nordcoreana gli ayatollah hanno in dotazione missili in grado di colpire obiettivi nella regione. E nell'ultimo anno hanno acquistato tecnologia in Francia, Germania, Belgio e Giappone per migliorare i loro sistemi. Il loro sogno è quello di realizzare — entro il 2015 — un missile capace di raggiungere gli Usa. Ma il percorso resta in salita. Gli americani hanno moltiplicato le contromisure e i tecnici iraniani incontrano serie difficoltà. Un ritardo che avrebbe riguardato di recente anche il settore nucleare. Il piano resta comunque quello di dotarsi dell'arma atomica, dei missili per trasportarla e di un occhio nello spazio per guidarli. Il satellite dovrebbe infatti svolgere missioni di spionaggio. Una risposta a quanto fanno gli Stati Uniti e Israele. In aprile Gerusalemme ha messo in orbita — sempre da un poligono russo — un satellite che copre gli obiettivi iraniani. «Eros B», questo il suo nome, segue altri due mezzi (Eros A e Ofek 5) destinati all'osservazione. Dall'altezza di 600 chilometri il satellite distingue uomini e automezzi, sorveglia i laboratori e gli ingressi dei tunnel all'interno dei quali l'Iran sviluppa il programma nucleare. In caso di blitz sapranno dove colpire.

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