La risposta alle tesi complottiste sull'11 settembre
in un video inedito di Al Qaeda, la preparazione degli attentati
Testata: Corriere della Sera
Data: 08/09/2006
Pagina: 2
Autore: Guido Olimpio
Titolo: Quei quattro segnali per smentire la sconfitta

Dal CORRIERE della SERA dell'8 settembre 2006

L'America commemora il quinto anniversario dell'11 settembre e Al Qaeda celebra con uno spot jihadista un successo poi pagato a caro prezzo. Con il video diffuso ieri, i terroristi vogliono smentire chi — come George Bush — li dipinge in fuga. Forse la rete non organizza più gli attentati come nell'era pre-2001, sicuramente ispira le mosse dei mujaheddin.
Con il filmato, l'ultimo di una lunga serie, Al Qaeda ci lancia — non sappiamo quanto volontariamente — diversi messaggi. Il primo è un tentativo di dimostrare fiducia nei propri mezzi. Malgrado la presunta grande caccia in Afghanistan, loro sono in grado di comunicare in occasione di grandi eventi.
Resta l'interrogativo: perché non è stato inserito un intervento aggiornato di uno dei leader, Osama o Al Zawahiri? Prenderanno la parola entro qualche giorno? Non lo si può escludere. Gli esperti hanno calcolato che a Osama servono circa tre settimane per registrare un video e poi metterlo in circolazione. Sette giorni di meno al suo logorroico vice, Al Zawahiri. Un altro interrogativo riguarda la qualità del filmato. E' vecchio anche se inedito, composto da spezzoni. Reca però il logo di fabbrica «As Shahab», la società che cura con grande efficienza le pubbliche relazioni del movimento. Dunque un marchio di fiducia. Il video infatti somiglia al promo di un programma. Quanti altri «documentari» hanno nella loro videoteca? Fonti statunitensi ritengono che la versione integrale del video (lunga circa 2 ore) verrà diffusa tra qualche giorno e vi comparirà il portavoce nascente, Azzam l'americano.
Il secondo messaggio è la riaffermazione, in risposta a tante dietrologie, che il massacro dell' 11 settembre è opera di Al Qaeda. Le immagini di Bin Laden con due degli organizzatori, Ramzi Bin Al Shibh e al Urduni, l'addestramento con i coltelli, i testamenti dei kamikaze devono dare l'idea del coordinamento e della presenza della struttura militare del gruppo. La fazione lo ha già fatto in passato senza però riuscire a convincere quanti - anche negli Stati Uniti - sospettano un «complotto interno».
Il terzo segnale riguarda l'ossessione dei terroristi: gli aerei passeggeri. Ricordando l'11 settembre e mostrando modellini di jet si rammenta al nemico che l'aviazione civile rimane uno degli obiettivi primari del qaedismo. E questo malgrado le eccezionali misure di sicurezza adottate in Occidente. Pare quasi una sfida: noi alziamo muri e loro allungano le scale per superarli.
Analisti arabi individuano poi — ecco il quarto segnale — il desiderio di inserirsi nell'aspro dibattito sulla guerra al terrore. Bin Al Shibh, oltre a comparire nel video, è uno dei terroristi finiti nelle prigioni segrete della Cia. I qaedisti dicono: potete farci sparire, ma non riuscirete a fermarci. Come sempre, in questi casi, si rischia di attribuire eccessivo peso a una mossa di semplice propaganda. Nell'ultimo anno Al Qaeda ha parlato molto e — per fortuna — ha fatto poco. Le stragi avvenute sono state attribuite ai «nipoti di Osama» — elementi locali — e non alla casa- madre. I qaedisti, per ora, si accontentano delle minacce.
Per la maggior parte degli osservatori sono solo parole, sparate per tenere viva la fiamma della lotta. Ma un agente, che ha trascorso anni a dare la caccia a Bin Laden, è più pessimista ed invita a non fidarsi. Le continue esortazioni a convertirsi all'Islam e i moniti a cambiare politica rivolti agli occidentali sono l'adempimento di un dovere religioso. Concedi al nemico la possibilità di «redimersi», se non lo farà potrai punirlo. La presenza di un comunicatore di lingua inglese come «Azzam l'americano», apparso nel penultimo messaggio, è un ulteriore sforzo per farsi comprendere da tutti. Per il cacciatore è meglio rafforzare la guardia.


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