Ma Israele non assedia Gaza
è il terrorismo ha causare la chiusura dei valichi
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Data: 08/09/2006
Pagina: 5
Autore: la redazione - Paola Caridi - Umberto De Giovannangeli
Titolo: D'Alema: «Basta embargo a Gaza» - D'Alema e il modello Libano anche per la striscia di Gaza - D’Alema da Abu Mazen: «Ora via l’assedio da Gaza»

La chiusura dei valichi intorno alla striscia di Gaza non è un blocco economico. E' effettuata per prevenire infiltrazioni di terroristi e di armi (dall'Egitto a Gaza e da Gaza a Israele), e attentati contro i valichi stessi.
Eppure, molti quotidiani annunciano senza alcuna precisazione che D'Alema ha chiesto la fine dell'" "embargo" a Gaza.
Così l'AVVENIRE nell'articolo a pagina 5 che riportiamo:

 
«Adesso speriamo che qualcosa di simile possa avvenire anche a Gaza, consentendo il transito al valico di Rafah». Queste le parole con cui il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha accolto la notizia della rimozione del blocco aeronavale dal Libano. È in missione in Medio Oriente, il capo della Farnesina: Amman (Giordania), Ramallah (Palestina) e Tel Aviv (Israele), queste le tappe di ieri, per incontri, rispettivamente, con il re Abdallah II, il presidente Abu Mazen e il premier Ehud Olmert. D'Alema ha posto l'accento sulla situazione palestinese, «cuore di tutti i conflitti mediorientali». La fine del blocco a Gaza, ha sottolineato, «è anche una condizione per portare aiuti alla popolazione, che vive una situazione drammatica». D'Alema è quindi tornato sull'ipotesi, da lui stesso avanzata giorni fa sulle colonne del quotidiano israeliano Haaretz, del dispiegamento di una forza internazionale di osservazione e sostegno nella Striscia. Una possibilità «vista con favore dalle autorità giordane», ha detto ad Amman, e bene accolta dal presidente palestinese Abu Mazen, che, durante una conferenza stampa congiunta alla Muqata (il quartier generale dell'Anp a Ramallah), ha auspicato la sua adozione dalla comunità internazionale. D'Alema ha però voluto sottolineare che l'eventuale dispiegamento «di una forza multi-nazionale, o dell'Onu, a Gaza non è un'iniziativa italiana» e che «ci occorre un intervento internazionale». «L'Italia non è una superpotenza - ha aggiunto - ma abbiamo una tradizione: contribuire alle missioni di pace, come abbiamo fatto nei Balcani, in Afghanistan e ora in Libano». Il vice-premier ha poi ribadito «la solidarietà del nostro Paese al popolo palestinese e il sostegno alla sua lotta per ottenere la nascita di uno Stato». Quindi, ha lanciato un appello a «tutti i gruppi palestinesi e alle componenti politiche perché ascoltino le parole del presidente Abu Mazen affinché cessi il lancio dei razzi Qassam - dalla Striscia verso il sud di Israele -, venga liberato il caporale israeliano Shalit - catturato dai miliziani il 25 giugno - e fermata l'escalation di violenza che ha provocato tante vittime specie tra la popolazione». Dall'inizio dell'offensiva israeliana, subito dopo il rapimento del soldato, la tensione nella Striscia non si è mai allentata. Solo ieri, sono stati quattro i palestinesi uccisi durante un'incursione dell'Esercito a Qabatiya, vicino alla città cisgiordana di Jenin. Due di loro erano militanti delle Brigate dei Martiri di al-Aqsa (il braccio armato di al-Fatah). È morto anche un giovane che si trovava casualmente a passare quando è iniziato lo scontro a fuoco. (B.U.)

Di seguito, l'articolo di Paola Caridi sul RIFOMISTA:

Gerusalemme. Il Libano è solo l'inizio. Ora tocca alla questione israelo-palestinese, centrale per dare un po' di pace al Medio Oriente. La politica estera italiana targata Massimo D'Alema non si accontenta di quanto messo nel carniere nel giro di pochissimi mesi, soprattutto nel rush compiuto sulla guerra Israele-Libano 2006. E tenta di consolidarsi nel cuore dello scacchiere mediterraneo. Come ai vecchi tempi.
La diplomazia italiana ha il suo bel daffare, in questa coda d'estate. Tra il dispiegamento del nuovo contingente militare nel sud del Libano, il ritiro degli uomini di stanza a Nassiriya e, ora, la (per adesso remota) possibilità che Roma si impegni anche in una ipotetica forza multinazionale a Gaza. Nonostante le precisazioni di ieri pomeriggio del nostro ministro degli Esteri, nella tappa palestinese del suo rapidissimo tour mediorientale che lo ha portato anche ad Amman e a Tel Aviv, l'argomento della forza multinazionale a Gaza è risalito in superficie più e più volte. A tirarlo fuori dal dossier dell'incontro alla Muqata, alla presidenza dell'Autorità nazionale palestinese a Ramallah, è stato lo stesso Mahmoud Abbas. Per ringraziare il suo amico di vecchia data D'Alema anche della proposta di una forza di garanzia nella Striscia. Un tema appetitoso, per la selva di giornalisti arabi che da D'Alema volevano capire la reale consistenza dell'iniziativa. Al riguardo però il capo della Farnesina è prudente. «La decisione - ha detto - dovrebbe essere assunta dall'Onu, ma solo dopo un accordo sul cessate il fuoco tra le parti, tra israeliani e palestinesi». Modello Libano, dunque. «La forza multinazionale - ha precisato - garantisce, ma non può sostituire l'intesa».
First thing first. Pensiamo, però alle priorità. E quella della forza internazionale è, della situazione attuale, più una speranza che una ipotesi. Prima, devono compiersi altri passi. Decisamente difficili. Di uno, in particolare, si è parlato alla Muqata, che si sta rifacendo il belletto dopo i danni subiti dall'assedio israeliano degli scorsi anni a Yasser Arafat. Il governo di unità nazionale, annunciato con i toni delle grandi occasioni da Abu Mazen e dal premier Ismail Hanyeh a metà agosto, e poi sepolto dai colloqui, dai negoziati, dalle frizioni, e ora dallo sciopero dei dipendenti pubblici che ha raggiunto il sesto giorno di astensione dal lavoro. In linea con le decisioni dell'ultimo incontro dei ministri degli Esteri dell'Unione europea in Finlandia, D'Alema ha confermato il sostegno «all'azione di Abu Mazen per fermare la violenza (a Gaza) e per dare vita a un nuovo governo palestinese». Tappa imprescindibile «per rilanciare il piano di pace». E per riprendere il «dialogo diretto tra israeliani e palestinesi, abbandonando ogni strategia unilaterale». Non senza, però, aver prima indugiato sulla posizione italiana riguardo alla questione palestinese, usando una terminologia che negli ultimi anni era diventata desueta alla Farnesina: «L'Italia - ha detto D'Alema - ribadisce la solidarietà al popolo palestinese e il sostegno alla lotta dei palestinesi per potere ottenere uno Stato».
La questione centrale, ora, è però quella del governo di unità nazionale, che aprirebbe la strada non solo al riconoscimento di Israele da parte di Hamas, ma anche alla riconsiderazione del movimento islamista da parte dell'Unione europea. Nessuno lo ha detto ieri, certo, ma il nodo della discussione politica sta tutto lì. Come portare Hamas dentro il quadro politico internazionale. L'Europa è ancora legata alla questione delle tre condizioni poste dal Quartetto. Mentre uomini come Gerry Adams, anche lui in questi giorni tra Israele e Palestina, si dicono convinti che con Hamas si debba parlare senza porre precondizioni. La sua visione di irredentista irlandese che ha portato l'Ira dentro il solco politico tracciato dallo Sinn Fein, cozza con le necessità della diplomazia europea, ma apre uno squarcio su un approccio diverso, se si vuole anche da credente (cattolico) che guarda a un'altra realtà religiosa e politica (islamica) che poggia su richieste nazionaliste.
La soluzione non sembra dietro l'angolo. Ma la situazione di Gaza si aggrava ogni giorno che passa. Come per il Libano, uno dei problemi è quello dell'embargo, del blocco che impedisce anche l'arrivo continuo di aiuti. Per esempio dal valico di Rafah, questione che ci tocca direttamente, visto che è a un generale dei carabinieri, Piero Pistolese, che è demandato il comando degli osservatori europei. Dopo la revoca dell'embargo (almeno aereo) in Libano, anche Rafah va aperta, e D'Alema lo ha chiesto esplicitamente al premier israeliano Ehud Olmert nell'incontro di ieri sera a Tel Aviv. E che qualcosa si stia negoziando lo dicono le fonti palestinesi, secondo le quali il valico dovrebbe essere riaperto domenica.

Addirittura di  "assedio" scrive l' UNITA'. Ecco l'articolo di Umberto De Giovannangeli

DOPO IL LIBANO, GAZA. Dopo la fine del blocco aeronavale sul Paese dei Cedri, Massimo D’Alema chiede ad Israele un al-
tro «segnale positivo»: la fine del blocco anche a Gaza, «consentendo il transito al valico di Rafah». È un vero è proprio tour de force diplomatico quello che il ministro degli Esteri italiano ha iniziato ieri mattina ad Amman, proseguito nel pomeriggio a Ramallah e conclusosi, nella sua prima giornata, a Gerusalemme. Quella registrata da D’Alema ad Amman - dove, oltre re Abdallah II, ha incontrato il collega Abdul Ilah Khatib - è una «larga e forte convergenza di opinioni e di impegno comune», soprattutto per rilanciare gli sforzi di pace in Palestina, «cuore di tutti i conflitti mediorientali», e la ripresa delle trattative tra Israele e l’Anp. Nel colloquio tra il vice premier italiano e il sovrano hashemita si discute anche della possibilità del dispiegamento di una forza internazionale di osservazione e di sostegno nella Striscia di Gaza. D’Alema riferisce che una simile prospettiva è «vista con favore anche dalle autorità giordane», ma «la condizione per arrivare a quel punto è che riparta il dialogo diretto tra israeliani e palestinesi». «La fine del blocco di Gaza - rileva da Amman D’Alema - è anche una condizione per portare aiuti alla popolazione della Striscia che vive una situazione drammatica».
Le ragioni del dialogo. Le necessità del dialogo. La fine di ogni forzatura unilateralista. Il rigetto della violenza e del terrore. Sono i tasti su cui D’Alema batte con forza nel suo incontro alla Muqata, quartier generale dell’Anp a Ramallah, con il presidente palestinese Abu Mazen. Dalla capitale cisgiordana, il vice premier italiano lancia un appello «a tutti i gruppi palestinesi e alle componenti politiche perché ascoltino le parole del presidente Abu Mazen perchè cessi il lancio dei razzi, venga liberato il caporale israeliano Shalit e fermata l’escalation di violenza che ha provocato tante vittime specie tra la popolazione palestinese». «Basta violenza», ripete D’Alema.
Ma la fine della violenza si coniuga indissolubilmente con l’affermazione di due diritti ugualmente fondati: il diritto alla sicurezza per Israele, il diritto ad uno Stato indipendente per i palestinesi. «Sono qui in questa giornata così impegnativa, innanzitutto, per ribadire la solidarietà del nostro Paese alla popolazione palestinese e il nostro sostegno alla lotta della popolazione per ottenere la nascita di uno Stato palestinese», afferma D’Alema al termine del suo colloquio con Abu Mazen. In piena sintonia con il raìs palestinese, il vice premier italiano insiste su un punto: è questo il momento di «rimettere al centro della Comunità internazionale il rilancio del processo di pace tra israeliani e palestinesi», anche perchè adesso è chiara l’intenzione dell’Unione Europea, ribadita nella recente riunione tenutasi in Finlandia, di «sostenere l’azione del presidente Abu Mazen per porre fine alle violenze e dare vita a un nuovo governo di unità nazionale palestinese». Rispetto ai tempi per la nascita di un nuovo governo, Abu Mazen si mantiene volutamente sul vago: «Per me - dice - sarebbe auspicabile farlo domani. Speriamo di poterlo fare quanto prima anche se c’è bisogno di tempo per far maturare questo processo».
«Dobbiamo lavorare per la pace, e questo è il momento», sottolinea D’Alema in una intervista ieri al quotidiano israeliano Yediot Ahronot; una considerazione che il il capo della diplomazia italiana riconfermerà nel suo incontro serale con il premier israeliano Ehud Olmert. «L’interesse d’Israele - sottolinea D’Alema - è che si costituisca uno Stato palestinese al più presto possibile, perchè questa sarà la migliore garanzia per la sua sicurezza». Nei suoi colloqui con i suoi interlocutori arabi e israeliani, il ministro degli Esteri italiano ha portato avanti l’idea di una forza internazionale anche per Gaza, che ponga fine alla spirale di violenza - costata la vita negli ultimi due mesi a oltre 200 palestinesi - e dia un quadro più stabile al possibile avvio di un dialogo fra lo Stato ebraico e il presidente Abu Mazen. «Se la forza multinazionale avrà successo in Libano, sarà certamente possibile applicare il modello a Gaza», insiste D’Alema. Oggi D’alema vedrà la collega israeliana Tzipi Livni. È previsto inoltre un incontro con il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov, giunto a sua volta ieri sera in Israele dopo una tappa a Beirut. «Dobbiamo lavorare per la pace, è questo il momento»: un impegno che l’Italia intende assolvere con un ruolo attivo, da protagonista.

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