Imam espulsi e terroristi infiltrati fra gli immigrati
un pericoloso fenomeno europeo
Testata:
Data: 06/09/2006
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Autore: Mirko Molteni
Titolo: I cattivi maestri delle moschee in Europa
Da La PADANIA del 6 settembre 2006:

Siamo entrati decisamente nell’era della guerra senza confini, in cui un nemico subdolo e silenzioso può essere annidato nel nostro stesso quartiere, se non addirittura dalla parte opposta del pianerottolo di casa.
All’alba del XXI secolo il terrorismo islamico non poteva che approfittare delle bibliche migrazioni che hanno investito l’Europa, per mimetizzarsi e organizzarsi.
L’immigrazione di massa, come fenomeno a sè stante è criticata da tempo perchè porta un numero eccessivo di persone a noi estranee ad accalcarsi sulla nostra terra, invadendo di fatto il nostro «spazio vitale» geografico. Ma al generico allarme per le infiltrazioni dall’altrove, si è aggiunto negli ultimi anni quello per il terrorismo, che ha dato ancora più legittimità a chiunque si opponga all’immigrazione sregolata.
Ovviamente, lungi da noi pensare che gli immigrati da Paesi musulmani siano in stragrande maggioranza dei terroristi. Preparare un attentato non è certo un’impresa da Manuale delle Giovani Marmotte e di sicuro solo una minoranza è davvero in grado di passare da un semplice rancore verso la nostra civiltà alle vie di fatto. Tuttavia, anche se il 99 % del milione di musulmani presenti in Italia fossero solo degli onesti lavoratori, la storia del terrorismo insegna che può bastare un pugno di uomini a creare disastri.
E questi uomini hanno in Occidente il loro «santuario». Sguazzano infatti come pesci, nel mare degli immigrati, parafrasando una celebre massima che Mao Zedong coniò oltre 70 anni fa nel contesto della guerra partigiana in Cina.
Al nostro Paese è stata finora risparmiata la triste esperienza degli attentati che sconvolsero Londra il 7 luglio 2005, compiuti come noto da figli di immigrati. Ma chissà che non ci siamo andati veramente vicini.
La carneficina nella capitale britannica era stata preannunciata da quel simpatico personaggio che risponde al nome di Abu Hamza al Masri, uno degli imam più impegnati a predicare l’odio verso l’Occidente nella moschea londinese di Finsbury Park.
Perfino pittoresco, con quel gancio da pirata al posto della mano, perduta durante la jihad antisovietica in Afghanistan, questo egiziano integralista non si fece troppi scrupoli quando minacciò a chiare lettere, nel gennaio 2003, che «anche in Gran Bretagna ci sarà un 11 settembre». In verità Hamza dichiarò che un eventuale attentato sarebbe stato frutto di «un complotto di Tony Blair per addossare la colpa ai musulmani», tirando dunque in ballo le tesi «complottiste».
Ma non è questa la sede per approfondire il discorso. Ciò che ci interessa sottolineare è che tre anni fa, poco prima che gli Usa aggredissero l’Iraq, l’imam anglo-egiziano aveva in pratica previsto gli attentati del 2005. Non solo. Aveva poi continuato dal suo pulpito a lodare Osama Bin Laden di fronte ai fedeli della sua moschea di Londra. Finchè il 27 maggio 2004 non venne arrestato da Scotland Yard.
Che personaggi del genere pullulino nelle comunità di immigrati è arcinoto. I loro richiami distorti al Corano hanno buon gioco nel galvanizzare disperati che, accorsi in Europa sull’onda dei sogni televisivi si sono ritrovati a odiare, puramente e semplicemente una società verso cui non hanno nessun legame culturale nè affettivo.
E così ecco delinearsi l’altra faccia del terrorismo, quello che germoglia nelle nostre città, nutrito grazie al modello fallimentare del «melting pot» (che però, come è ben noto, non sono stati gli arabi a inventare).
Anche il nostro Paese ne sa qualcosa.
Un nome su tutti, quello del celebre Abdul Qadir Fadlallah Mamour, meglio noto come «l’imam di Carmagnola». Il religioso senegalese fu espulso dall’Italia alla fine del 2003 perchè secondo il nostro ministero dell’Interno «era già stato segnalato per la sua attività di collettore di flussi finanziari sospetti».
«Già da tempo -proseguiva la nota ufficiale del governo- e in particolare subito dopo l’eccidio dei militari italiani a Nassiriya si era reso protagonista di iniziative pericolose specialmente nell’attuale contesto del terrorismo internazionale».
Dal suo «esilio» di Dakar, nel Paese natale, Mamour continuò a lanciare proclami all’indirizzo dell’Italia, soprattutto dopo che l’11 marzo seguente fu la Spagna a vivere la tragedia del terrorismo con i sanguinosi ordigni di Madrid. Circa quattro mesi dopo, il 28 luglio 2004, l’imam africano pretese di avvertirci che erano imminenti attacchi di Al Qaeda alle città italiane «con bombe non normali». Non vi sembra un intervento maledettamente simile a quello del sopracitato imam inglese?
Da noi, però, nulla è successo. Forse (chissà?) anche perchè la nostra magistratura si è dimostrata clemente nei confronti della rete di reclutamento messa in piedi a Milano da immigrati islamici che facevano parte del gruppo «Ansar al Islam». Rete destinata a rifornire di aspiranti guerriglieri le milizie che da ormai tre anni emezzo danno battaglia ai marines in Iraq.
In effetti una certa distinzione fra «terrorista» in senso stretto e «guerrigliero» esiste. Negarla significherebbe, in fondo, attirarsi le ire di partigiani ed ex-partigiani di tutti i Paesi e di tutte le epoche. Ma non è questo il punto.
L’inchiesta che ha smascherato la rete di reclutamento milanese dimostra una volta di più che una parte, minoritaria ma cospicua, di immigrati musulmani in Europa ha dimestichezza con forme di guerra o violenza preoccupanti, se si pensa che costoro abitano fra noi. Il decidere poi se agire nel Paese ospite o in qualche angolo del Medio Oriente è solo questione di strategia che dipende dalle circostanze del momento.
Che ci piaccia o no siamo ormai ostaggi a casa nostra.
Al che ci domandiamo come si potrà sopravvivere a una minaccia del genere.

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