La disinformazione si era scordata di Gaza
ora iniomincia a correre ai ripari
Testata: La Repubblica
Data: 05/09/2006
Pagina: 13
Autore: Marco Ansaldo - Bernardo Valli
Titolo: Gaza strangolata dal blocco, fame, malattie, aria di rivolta - Israele e il dramma palestinese

Su La REPUBBLICA del 5 settembre 2006 Marco Ansaldo descrive gli israeliani come affamatori di Gaza e assassini di bambini palestinesi.
Non spiega che le ragioni delle azioni militari israeliane non risiedono solo nel rapimento di Ghilad Shalit, ma anche nell'incessante lancio di razzi kassam,  che la chiusura dei valichi non è una misura presa  nell'ambito del blocco dei finanziamenti al governo di Hamas, ma è stata motivata da tentativi di attentati terroristici agli stessi valichi e di infiltrazioni di attentatori in Israele, che l'impossibilità per i palestinesi di lavorare in Israele dipende dal terrorismo suicida.
Non fa riferimento ai bambini israeliani uccisi e  feriti negli attentati o per i lanci di kassam, ma forse non era questa l'occasione per farlo.
Non si pretende che in un articolo su Gaza si descriva anche un ospedale israeliano.
Basterebbe che prima La REPUBBLICA se ne occupi.


Di seguito, il testo completo:
 

GERUSALEMME - La cosa peggiore sono gli ospedali. A quello di Shifa, l´unica struttura degna qui di chiamarsi ospedale, il reparto grandi traumi è invaso dai bambini. Ma non ci sono grida.
I piccoli sono tutti a letto. Jamal, 8 anni, è intubato e la maschera fa intravedere due occhiaie violacee. Samir, 13 anni, è paralizzato dalla schiena in giù, dove una scheggia di mortaio lo ha preso mentre scappava. Nidal, 11 anni, invece è ancora attaccata al respiratore: la sua casa le è franata addosso mentre dormiva, uccidendo i fratellini e la madre.
Gaza è un inferno. E l´ospedale di Shifa sembra l´anticamera della morte. Pietà e orrore si confondono a ogni passo lungo la Striscia. Chiusa dal blocco israeliano che la avvolge dal mare e da terra, la porzione di territorio palestinese che si affaccia sul basso Mediterraneo è ridotta a una prigione. Al valico di Erez, dove fino a qualche tempo fa ci volevano dalle quattro alle sei ore per entrare, e i locali si presentavano alle 2 del mattino, nessun lavorante ora può più passare. Dalla parte opposta della Striscia, al valico di Rafah, 5 mila famiglie sono in attesa di rientrare nelle loro case. Sono qui da due mesi. Al di qua della barriera, per trasferirsi in Egitto sono invece in 15 mila.
I più vecchi non ce l´hanno fatta a sopportare il caldo, e qualcuno è morto.
Gaza City è più povera e affamata che mai. Non ci sono commerci, la pesca è proibita, e la possibilità di andare a lavorare in Israele è fuori questione. L´elettricità è finita. L´esercito israeliano ha bombardato l´unica stazione funzionante. L´acqua si trova a fatica. E la mancanza di energia non fa altro che peggiorare la situazione idrica. Un persistente odore di rifiuti si diffonde su interi quartieri della città. A causa dell´embargo gli stipendi non sono pagati da mesi, e i netturbini sono scesi in sciopero. Pile di spazzatura e nuvole di detriti bruciati si levano ovunque.
Picchetti di impiegati e dipendenti hanno preso posizione davanti al Parlamento, impediscono l´ingresso ai deputati. Da mesi sono senza salario. Così come i funzionari e gli insegnanti. Per il terzo giorno consecutivo, le scuole sono rimaste chiuse. Il primo ministro Ismail Haniyeh è sceso in piazza facendosi fotografare con la ramazza in mano. Ma le cose al governo non vanno molto meglio che in strada. «Un governo che non sa assicurare pane al nostro popolo - tuona il presidente Abu Mazen - non ha il diritto di esistere». Gli fa eco il portavoce di Hamas, Ghazi Hamad: «Non prendiamocela solo con Israele, la colpa è anche nostra. Quando camminiamo per Gaza l´unica cosa che possiamo fare è chiudere gli occhi per non vedere il caos, i poliziotti poco attenti, gli uomini che portano in spalla il fucile. La città ha strade sporche e depresse. E un diritto dei palestinesi combattere contro l´occupazione. Ma questa non dev´essere il chiodo a cui appendere i nostri problemi».
Entrare nella Striscia è sempre più rischioso. L´area è una landa da cui i giornalisti occidentali si tengono alla larga, attraversata com´è da gruppi armati che non rispondono né ad Al Aqsa né ad Hamas. L´altro giorno il gruppo integralista islamico «Brigate della guerra santa», che alla vigilia di Ferragosto aveva rapito e poi liberato dopo averli convertiti due inviati di Fox News, ha diramato via Internet un nuovo comunicato: «Non siamo tipi da prendere in giro con annunci di falsa conversione. Solo l´Islam ha risparmiato il sangue dei due stranieri e impedito la loro uccisione. Per noi è lecito versare il sangue di qualsiasi infedele che visiti la Palestina senza aver proclamato il proprio Islam prima dell´arrivo».
La prostrazione di Gaza è aumentata con i durissimi attacchi dell´esercito israeliano a partire da giugno, da quando è scattata la campagna militare Pioggia d´estate per liberare il soldato Gilad Shalit. I raid arrivano puntuali ogni notte. Sono costati finora la vita a 251 palestinesi, di cui la metà donne e bambini.
Molti israeliani sono scandalizzati dallo stato in cui versa Gaza.
Uno di questi è Gideon Levy, la voce morale di Haaretz, autore da anni di una spietata cronaca dell´ingiustizia dai Territori. Nel giornale di domenica ha messo il dito sulla piaga: «Su Gaza non c´è nessuna commissione d´inchiesta. Quel che succede al valico di Rafah è anche colpa di Stati Uniti ed Europa, la cui polizia è presente nella zona. Nonostante quel che si dice in Israele, la Striscia è occupata peggio di prima, e in maniera brutale. Aspettiamoci a breve molti più attacchi terroristici per aver dato spazio a questo orrore».

La REPUBBLICA sembra specializzata nelle citazioni selettive della stampa israeliana. Così, alle tesi del filopalestinese Gideon Levy, che ribaltano il rapporto di causa ed effetto tra terrorismo palestinese e antiterrorismo israeliano, si affianca quella di Dannty Rubinstein, per la  verità non particolarmente originale e disponibile quasi ogni giorno su quasi tutti i giornali italiani: "bisogna affrontare al più presto la questione palestinese".
Bernardo Valli nel suo fondo utilizza questa esortazione per indicare nel governo Olmert, non nella politica di Hamas e nel caos palestinese, le ragioni dell'attuale stallo negoziale.
Sostenendo, contro i fatti, che il governo Olmert rifiuterebbe il dialogo con Abu Mazen.
In realtà, parlando davanti alla commissione esteri e difesa il 4 setembre 2006, Olmert si è detto pronto ad incontrare Abu Mazen.
Ecco il testo:

La stampa israeliana funziona spesso da sveglia. Nel corso di avvenimenti che agitano trippe e cervelli, guerre o intifada, nei momenti in cui hai l´impressione che le idee si appannino e si smarriscano nella faziosità, su alcuni quotidiani di Gerusalemme e di Tel Aviv puoi trovare analisi lucide, dissacranti, anticonformiste, che riconducono alla ragione e quindi alla realtà. È una delle principali virtù di una società democratica puntualmente messa alla prova dalle passioni. Nelle ultime ore, grazie ai colleghi israeliani, mi sono reso conto che avevamo dimenticato la questione palestinese.
Prima presi dal conflitto in Libano, e poi dalle sue immediate conseguenze, impegnati come eravamo a seguire le grandi trame diplomatiche, a Damasco, a Teheran, nelle capitali occidentali, avevamo perso di vista il dramma all´origine, magari come pretesto, di (quasi) tutti i drammi mediorientali: appunto la questione palestinese. La quale, se non verrà risolta o seriamente affrontata, renderà vani i tentativi di ridisegnare, in positivo, la mappa politica mediorientale.
Leggo in un articolo di Danny Rubinstein (Haaretz del 4 settembre), che tra luglio e agosto, a Gaza e in Cisgiordania, sono stati uccisi 251 palestinesi, tutti da soldati delle Forze armate israeliane. E che circa la metà di quei morti erano civili, inclusi vecchi, donne e bambini. In quei due mesi i contatti diplomatici tra Israele e l´Autorità palestinese sono stati congelati. E lo sono tuttora. Soltanto quelli riguardanti i problemi pratici quotidiani sono assicurati da semplici funzionari. Non si è più parlato di un possibile rilancio della road map, il mai ufficialmente defunto processo di pace. E il Primo ministro, Ehud Olmert, ha ribadito ieri, ancora una volta, che il progressivo ritiro unilaterale dalla Cisgiordania, compreso nel suo programma elettorale di marzo, non è più d´attualità dopo la guerra del Libano. Sempre ieri è stato inoltre reso pubblico il finanziamento per la costruzione di 690 nuove abitazioni nelle colonie israeliane di Betar Llit e di Ma´aleh Adumim, nei territori occupati. Si tratta della più importante decisione tesa a rafforzare gli insediamenti al di là della Linea Verde, virtuale confine tra Israele e la Palestina, presa dal governo formato dal Labour e da Kadima, il movimento centrista creato da Ariel Sharon, dopo il suo divorzio dal partito di destra Likud.
La vittoria elettorale di Hamas e la costituzione di un governo che non riconosce lo Stato di Israele avevano già condotto al comprensibile irrigidimento di Gerusalemme. Ma i rapporti con l´Autorità Palestinese (di fatto Presidenza di una repubblica da creare), ben distinta da Hamas e guidata dal moderato Abu Mazen, non erano stati congelati. Anche perché essa cercava e cerca di condurre Hamas ad accettare lo statuto dell´Olp, che riconosce da tempo, dal 1993, lo Stato ebraico. L´ulteriore irrigidimento è adesso senz´altro dovuto, in larga parte, alla necessità di assecondare l´opinione pubblica israeliana, insoddisfatta di come il governo ha condotto la guerra in Libano, e pronta a votare, stando ai sondaggi, per i partiti di destra e di estrema destra. Ma pesa soprattutto il rapimento del soldato Gilad Shalit, ancora nelle mani di un gruppo estremista di Gaza. Israele non lo perdona. Esige la liberazione. Stringe Gaza in una morsa. Per ora le trattative segrete non hanno dato risultati. Gli stessi uomini di Abu Mazen lavorano per convincere i rapitori a lasciare la preda. Non si sa quanti palestinesi detenuti nelle prigioni israeliane esigano in cambio.
Se la cattura, da parte degli hezbollah, di altri due soldati ha provocato il 12 luglio la guerra del Libano, la cattura di Gilad Shalit, da parte di estremisti palestinesi, ha provocato di fatto la rioccupazione di Gaza, che Ariel Sharon aveva evacuato l´anno scorso, costringendo con fatica i coloni ad abbandonare i loro insediamenti. Le condizioni umanitarie in quella città, collettivamente punita perché colpevole del ratto di Gilad Shalit, sono disastrose. Gli ospedali sono gonfi di malati e privi di medicine. Scarseggia l´acqua, manca in molti quartieri l´elettricità. Come in Cisgiordania, ancora ufficialmente occupata, a Gaza i funzionari non sono pagati da mesi. Non si è neppure potuto inaugurare l´anno scolastico perché gli insegnanti senza salario sono rimasti a casa. Come prefigurazione della Palestina indipendente, Gaza offre una triste immagine. Ghazi Hamad, portavoce del governo Hamas, ha fatto l´autocritica. Non è soltanto colpa dell´occupazione israeliana, ha scritto, se siamo in queste condizioni: «Anche noi siamo responsabili dell´anarchia, degli assassinii, dei furti, delle occupazioni illegali delle terre abbandonate dai coloni, delle montagne di rifiuti per le strade».
Una scuola di pensiero, emersa soprattutto nelle capitali europee, giudica che il trauma della (seconda) guerra israelo-libanese abbia creato le premesse per una revisione positiva della intricata situazione mediorientale. Si sarebbe prodotto qualcosa di simile a un "bang" politico da cui potrebbe nascere un´occasione di dialogo tra paesi (e popoli) finora abituati a comunicare soltanto attraverso le armi, il terrorismo e la repressione. La guerra avrebbe prodotto una scarica, un elettrochoc, in grado di riaccendere i lumi della ragione nelle menti accecate dall´odio di antiche rivalità. Si può certo guardare con scetticismo quella volonterosa scuola di pensiero che intravede la possibilità di creare condizioni favorevoli, affinché tanti popoli nemici rinsaviscano. Ma la volontà dell´ottimismo è spesso efficace nelle grandi imprese. Tante volte, nella storia, dalle rovine e dai cimiteri è scaturita una pace che sembrava impossibile. Per ottenerne una vera è stato tuttavia indispensabile estirpare i principali motivi che l´avevano a lungo impedita. Ed è evidente che la questione palestinese è all´origine di larga parte del dramma mediorientale. Il dialogo è dunque consigliabile anche con Gaza.

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