Scegliamo la democrazia israeliana, non il governo terrorista di Hamas
la chiara presa di posizione del sottosegretario Vernetti
Testata: Corriere della Sera
Data: 27/06/2006
Pagina: 13
Autore: Maurizio Caprara
Titolo: «Offriamo allo Stato ebraico di entrare nella Nato»
Dal CORRIERE della SERA del 27 giugno 2006:

ROMA — «Tra un'Autorità nazionale palestinese in mano ad Hamas e Israele, non c'è dubbio che il nostro interlocutore è Israele», dice Gianni Vernetti, sottosegretario agli Esteri della Margherita. Lo sostiene senza se e senza ma, aggiungendo una proposta meno immaginifica di quella di portare lo Stato ebraico nell'Unione europea, ricorrente di tanto in tanto nei dibattiti sulla politica internazionale. Vernetti vorrebbe che Israele entrasse nella Nato. Posizione personale? Può darsi. Comunque, a margine del recente matrimonio di un amico israeliano, Tal Silberstein, questo sottosegretario è stato il primo componente del nuovo governo italiano ad avere avuto incontri diretti con il premier israeliano Ehud Olmert, il suo vice Shimon Peres e due ministri.
Hamas ha rivendicato la morte di due soldati israeliani e il rapimento di un terzo come «risposta IN MISSIONE Gianni Vernetti a Kabul naturale» alle «uccisioni di donne e bambini» e di leader palestinesi addebitate a militari di Israele. Secondo lei che cosa deve fare l'Italia verso il partito che è al governo nei Territori?
«Tenere una posizione ferma, coerente con quella della comunità internazionale. Ricordare ad Hamas che non potrà mai essere un interlocutore credibile finché non riconoscerà il diritto di Israele ad esistere, non accetterà gli accordi firmati in passato e non rinuncerà a terrorismo e violenza».
In febbraio lei andò a Gerusalemme, Tel Aviv e Ramallah con il presidente della Margherita. Francesco Rutelli affermò: tra le poche cose buone fatte dal governo Berlusconi che l'Unione dovrebbe salvaguardare c'era il miglioramento dei rapporti con Israele. Sta avvenendo?
«Direi di sì. Israele continua a essere l'unica democrazia in Medio Oriente. È un Paese che ha dovuto assumere coraggiose decisioni unilaterali in assenza di interlocutori, penso al disimpegno da Gaza realizzato da Ariel Sharon. Israele interpreta al meglio la storia e la tradizione sionista, che è una tradizione progressista, oserei dire di sinistra. Eppoi è un Paese come il nostro: governi che cadono, partiti che litigano. È facile sentirlo come un Paese vicino. Io ho un'opinione».
Quale opinione?
«Dovremmo sempre più includere Israele e palestinesi in contesti multilaterali. E qual è il modo migliore per rispondere alla minaccia nucleare iraniana che non includere Israele nella Nato? Si otterrebbe una forma di deterrenza che in altri casi ha funzionato».
Nelle comunità ebraiche c'è chi ha da ridire sull'«equivicinanza» tra arabi e israeliani che il ministro degli Esteri Massimo D'Alema ha mutuato dai predecessori democristiani. Lei che ne pensa?
«Se lei si riferisce all'approccio andreottiano, non è più proponibile. Poteva funzionare con la guerra fredda e il muro di Berlino, non dopo l'11 settembre che ha reso il mondo più interdipendente».
Perché non funzionerebbe?
«L'idea andreottiana era che fosse possibile parlare con regimi illiberali in cambio di status quo.
Oggi lo scambio non è possibile. E l'Anp in mano a un'organizzazione terroristica è un nostro problema».

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