Khaled Meshal, Damasco e Teheran dietro l'attacco a Keren Shalom
intervista di Fiamma Nirenstein all'esperto Shalom Harari
Testata: La Stampa
Data: 27/06/2006
Pagina: 10
Autore: Fiamma Nirenstein10
Titolo: «L’ordine di colpire è arrivato da Teheran»
Da La STAMPA del 17 giugno 2006:

Quando parliamo con Shalom Harari, da pochi minuti il braccio armato di Hamas, Izzadin al Kassam, ha rivendicato l’azione di Kerem Shalom e il rapimento di Gilad Shalit. E’ un foglio scritto in minuta calligrafia, di cui nessuno ha verificato l’autenticità, ma secondo precedenti indicazioni dei servizi segreti dell’esercito, Gilad Shalit è nelle mani di «figure di primo piano di Hamas». Il dottor Shalom Harari è uno dei più importanti esperti della società palestinese e in particolare di Hamas, generale di brigata e membro dell’Istituto di Studi Interdisciplinare contro il terrorismo di Herzlya. Esamina i dati freschi mentre lo interroghiamo.
Dottor Harari, i carri armati israeliani si ammassano sul confine di Gaza, e potrebbero entrare se Gilad Shalit non verrà liberato... Come fa Hamas a rischiare così la cancellazione del suo potere?
«Hamas vive sempre in una tenaglia: da una parte l’incudine del suo elettorato che reclama attacchi a Israele, dall’altra il martello della risposta israeliana che può distruggere il suo potere e eliminare fisicamente i suoi uomini. Inoltre Hamas non è sola, ma intrecciata ad altri gruppi: qui, sono coinvolti il Comitato Popolare di Resistenza e il nuovo Esercito Islamico. Non è detto, anche se Izzadin al Kassam gestisce in prima persona il rapimento, che Ismail Haniyeh fosse avvertito delle sue intenzioni».
Difficile, con una galleria di un chilometro e un gruppo armato così ben allenato, che gli alti gradi non ne sapessero niente.
«Non è impossibile. E Haniyeh rischia tutto su questa vicenda. Prendiamo dunque in considerazione altri due fattori: uno è la leadership straniera. Khaled Mashal, a Damasco, rischia la testa meno dei leader interni, ed è parte integrante di un’alleanza capeggiata dall’Iran che non vuole assolutamente nessun tipo né di pace né di Hudna interna. A lui costa poco dire “colpite, rapite”. E poi il caos regna a Gaza, la violenza è ormai parte della cultura di base, in molte case sotto il letto c’è un RPG. Anche Hamas può essere preso di sorpresa».
Dunque Haniyeh avrebbe adesso interesse a restituire il soldato, e secondo lei sta cercando di farlo..
«Penso che non ci sia dubbio..».
Lui sa dov’è?
«Non è detto; e la sua azione è frenata da una piazza fatta di parenti di prigionieri che ieri già gridavano: “Non liberate il soldato se non in cambio di migliaia di prigionieri”».
La speranza che Abu Mazen rimandi a casa il rapito è irrealistica?
«Alquanto: ci prova in queste ore, ma non ne ha la forza. Certo, ora teme il collasso definitivo. Sa che questa storia distrugge la sua credibilità internazionale, e la prospettiva “terra contro pace”».

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