La comunità ebraica italiana giudica D'Alema
e il giudizio è negativo
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Data: 25/06/2006
Pagina: 6
Autore: Gian Mario Vecchi-Giorgio Israel
Titolo: La comunità ebraica esamina D'Alema

Le recenti affermazioni del ministro degli esteri Massimo D'Alema provocano preoccupazione  nella copmunità ebraica italiana. Ne riferisce il CORRIERE della SERA in una cronaca di Gian Guido Vecchi a pag.6, sotto il titolo "La comunità ebraica esamina D'Alema. Pacifici "L'Italia ha cambiato linea". IL FOGLIO , nell'edizione di sabato 24/06, pubblica la lettera di Giorgio Israel, sempre sul nostro ministro degli esteri.

Ecco l'articolo di Vecchi sul Corriere:

MILANO — In italiano si direbbe equidistante o magari equanime, e invece c'è un aggettivo che solo i vecchi democristiani avrebbero potuto coniare per rappresentare la politica italiana in Medio Oriente, quella definizione che D'Alema definì «geniale», riconoscendone il merito allo Scudocrociato, e fece propria alla conferenza nazionale Ds del 2 dicembre: l'Italia dev'essere un Paese «equivicino» al mondo arabo e a Israele.
Magari non bellissimo, però fa il suo effetto. Se non altro quell'orlo di sospetto che nel mondo ebraico italiano ha accompagnato la nomina di D'Alema alla Farnesina, con il presidente delle comunità ebraiche Claudio Morpurgo che prima delle elezioni chiedeva «rassicurazioni» perché il presidente ds «ha sempre impersonato una linea tendenzialmente filoaraba e filopalestinese». Il ministro degli Esteri lo sa benissimo, tanto che condanna la «politica degli omicidi mirati del governo israeliano» precisando con un filo di sarcasmo: «Questa è la posizione unanime del Consiglio dei ministri della Ue, non è la posizione balzana di D'Alema che è il solito "antisemita e filopalestinese"», raccontava ieri a Repubblica.
Però c'è poco da fare, il sospetto rimane e al sarcasmo segue l'ironia, «certo che da chi ha fatto il conflitto in Kosovo suona curioso, solo le guerre che fa lui sono democratiche?» si chiede Yasha Reibman, vicepresidente della comunità ebraica di Milano: «Mi sarei stupito se Israele fosse intervenuto a criticare l'Italia per le modalità dei bombardamenti in Kosovo...».
Del resto, sospira, il problema non è tanto la famosa equivicinanza, purché «quell'" equi" non significhi mettere il terrorismo e i cosiddetti omicidi mirati sullo stesso piano: su come un Paese debba perseguire la sicurezza ci possono essere giudizi differenti ma non c'è equivalenza possibile con i kamikaze». Si vedrà, «è evidente che la politica estera dell'Italia sia cambiata ma D'Alema andrà giudicato sui fatti, non sulle parole dette qua e là. Il ritiro dall'Iraq è un fatto. E certo non saremmo equivicini se permettessimo all'Iran di costruire bombe nucleari». Riccardo Pacifici, vicepresidente degli ebrei romani, è secco: «D'Alema ripete cose per cui l'abbiamo già criticato. Visto che nell'Unione ci sono diverse anime, vorremmo sentire la voce di chi in campagna elettorale ha promesso di continuare sulla linea di Berlusconi: mi riferisco al signor Rutelli, che ne pensa l'altro vicepremier?».
Reibman e Pacifici fanno parte dell'anima cosiddetta di centrodestra degli ebrei italiani. Emanuele Fiano, segretario di «sinistra per Israele» nonché deputato dell'Ulivo, la vede in modo un po' diverso. «Sarebbe un grave errore se l'Italia avviasse un rapporto prima che il governo palestinese abbia rinunciato al terrorismo. Ma D'Alema sta facendo un tentativo di politica equilibrato, se Berlusconi era schiacciato sulle posizioni di Bush questo governo mantiene le posizioni della Ue e lo stesso ministro ha ripetuto più volte che ci può essere trattativa solo se Hamas riconoscerà Israele». Bisogna intendersi: «Io credo ci debba essere "equivicinanza" sui diritti, ovvero il diritto di entrambi i popoli a due Stati, ma non rispetto ai governi: quello di Israele, con tutte le critiche che gli si possono rivolgere, appartiene al mondo democratico; il governo palestinese per adesso no, c'è un'attività terroristica che nei territori occupati convive con la popolazione civile, e gli omicidi mirati nascono anche in un Israele che non ha interlocutori: chi comanda tra i palestinesi, Abu Mazen, Hamas, la Jihad?».

Ecco la lettera di Giorgio Israel al Foglio:

Non crede che sarebbe opportuno evitare la definizione di "equivicinanza" per la politica del nuovo ministro degli esteri, prima che si consolidi nell'uso? Difatti, pare una definizione del tutto inappropriata.

 

Assistiamo per strada alla seguente scenetta. Un tizio investe una persona di sanguinosi insulti rivolti a lui e ai suoi antenati e dichiara di volerlo uccidere. Interviene un paciere che procede così. Evita accuratamente di far riferimento alle ingiurie e alle minacce e invita l'energumeno ad affidarsi ai suoi buoni uffici: una persona eccezionale come lui merita la massima stima e, se seguire i suoi consigli, non potrà che ricavare una considerazione molto maggiore di quella che ha avuto fino ad ora, come è giusto che sia. Poi ammicca ai presenti osservando che 蠭eglio non contrariare il soggetto, perchè  possiede dei bicipiti tali da mandare in poltiglia il setto nasale.

 

Un paciere così lo definireste "equivicino"? O non piuttosto un "vicino"?