Per i Pink Floyd Israele non ha il diritto di difendersi
il quotidiano comunista applaude, quello dei "riformisti" anche
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Data: 23/06/2006
Pagina: 10
Autore: Michele Giorgio - la redazione
Titolo: Waters abbatte il muro di Betlemme

Scontata l'esaltazione dela presa di posizione contro la bandiera difensiva israeliana da parte del MANIFESTO e del suo cronista Michele Giorgio, per i quali il terrorismo suicida sembra non essere mai esistito:
 
Contro ogni muro tra i popoli, in sostegno dei diritti negati sempre e ovunque. Roger Waters, il genio di «The Wall», lo storico frontman dei Pink Floyd, è venuto a ribadirlo in Israele, con brani musicali e dichiarazioni rilasciate davanti ai lastroni di cemento armato che circondano Betlemme. Grandissima attesa per il concerto di ieri sera nel piccolo centro abitato di Newe Shalom, tra Gerusalemme e Tel Aviv, scelto dal cantante e compositore proprio perché è un esempio di convivenza tra ebrei e palestinesi. Una risposta a chi ha progettato e realizzato il muro in Cisgiordania spaventato dalle «tendenze demografiche», dal «preoccupante aumento del numero degli arabi». Di fronte a 45mila persone, tra cui non pochi palestinesi di Israele, Waters ieri sera ha esortato a ripensare il futuro, a programmare la convivenza e non la separazione, a rispettare i diritti e non a negarli. Ha sprigionato ancora una volta quel «fluido rosa» che ha fatto riflettere generazioni di fans.
«Tear down the Wall» (abbattere il muro) ha scritto Waters mercoledì su un lastrone del muro, all'altezza di Betlemme. «E' una costruzione orribile», ha detto ai giornalisti la mente e l'anima dei Pink Floyd. «Lo avevo visto in fotografia, ne avevo sentito parlare parecchio, ma se non sei qui, non puoi immaginare quanto straordinariamente oppressivo sia e quanto sia triste vedere la gente che passa attraverso queste piccole aperture. E' una follia, farlo cadere può essere difficile ma alla fine dovrà succedere». Prima di lasciare Betlemme, Waters ha voluto aggiungere la sua scritta ai numerosi graffiti sul muro. Non è il suo primo muro: nel 1990 il leader dei Pink Floyd aveva eseguito la sua opera davanti a ciò che restava di quello di Berlino. Il concerto era previsto in origine nello stadio di Tel Aviv, ma, in seguito alle critiche dei fans palestinesi e inglesi ha deciso di spostarlo a Newe Shalom. Un ripensamento che ripaga i palestinesi della forte delusione provata un paio di settimane fa per il megaconcerto in Israele dei Black Eyed Peas. I componenti della band hip hop, impegnata contro il razzismo e apertamente schierata contro le discriminazioni e l'apartheid, non hanno pronunciato una parola contro l'occupazione di Cisgiordania e Gaza. Uno schiaffo ai palestinesi ma anche a quella sinistra israeliana che vede nel negoziato l'unica soluzione per il conflitto.
E mentre Roger Waters ieri preparava a Newe Shalom il suo concerto, le reti televisive mondiali riferivano che il premier israeliano Ehud Olmert e il presidente palestinese Abu Mazen avevano finalmente «rotto il ghiaccio» grazie all'invito a colazione di re Abdallah di Giordania nella millenaria città nabatea di Petra. Un rituale ben noto: «calorosa stretta di mano» seguita dalla decisione di formare una commissione congiunta per la preparazione un summit vero e proprio. Parole concilianti che contrastano con la realtà sul terreno, con la determinazione di Olmert di portare avanti il suo piano unilaterale e la costruzione del muro, con la decisione del ministro degli esteri israeliano Peretz di continuare i raid aerei su Gaza - ieri ci sono stati i funerali delle ultime due vittime innocenti, una donna incinta e suo fratello - con l'insistenza dei militanti palestinesi che continuano a lanciare razzi su Sderot, con l'incessante pressione militare israeliana su Cisgiordania e Gaza. Dopo le frasi concilianti, Abu Mazen ha ribadito che i palestinesi non rinunceranno a chiedere uno stato entro i confini del 1967. «Non chiediamo niente di più - ha detto - ma non accetteremo niente di meno». Olmert ha affermato di essere «convinto che Israele dovrebbe estendersi dal fiume Giordano al mare».

Meno scontato il tono di sostanziale apprezzamento da parte del RIFORMISTA, un quotidiano che appare sempre meno capace di sottrarsi ai richiami del conformismo politicamente corretto.
Ecco il testo: 


Gerusalemme. Potrebbe essere l’inizio di una moda, tra le star. La firma su di un muro di cemento. Anzi, su quello che ha soppiantato la linea divisoria tra Berlino est e ovest nella sua unicità terminologica. Il Muro, quello che Israele sta continuando a costruire, secondo le sue ragioni, per difendersi dai terroristi. Ma che ha ricevuto una sentenza avversa dalla Corte internazionale dell’Aja, e che i palestinesi definiscono un furto di terra e la precostituzione dei nuovi confini di Israele. Ad aprire la moda della firma non poteva che essere Roger Waters. Icona degli anni ruggenti del pop, voce dei Pink Floyd, ma soprattutto l’uomo che ha unito generazioni, da quella di Dark side of the moon ai giovani post-guerra fredda di The Wall. Appunto. Il Muro.
Su quel Muro, per la precisione a Betlemme, Roger Waters ha trascritto con la bomboletta il tormentone di The Wall. Quel «We don’t need no thought control», «non abbiamo bisogno del controllo del pensiero», che l’ex voce dei Pink Floyd aveva cantato nel 1990 in un concerto proprio a Berlino, incastonato nella storia della musica.
I commenti di Waters, di fronte al Muro, non sono stati certo improntati alla diplomazia, nonostante dovesse poi affrontare - ieri sera - almeno cinquantamila fan israeliani, in un enorme prato a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv. Commenti, anzitutto, affidati a un pennarello con cui ha scritto (e sottoscritto) «Buttate giù il muro». Una pazzia, che prima o poi scomparirà, come quello di Berlino: questo, in sostanza, il concetto. «Magari sarà più difficile buttarlo giù, questo. Ma deve succedere», ha chiosato Waters, in una performance graffitara di fronte alla barriera di separazione che ha sostituito la classica (e certo più noiosa) conferenza stampa.
Chissà se i palestinesi si aspettavano una compromissione politica così forte da parte di Roger Waters. Di certo, le durissime critiche dell’ex Pink Floyd non hanno per niente influito sulla partecipazione e sull’affetto dei suoi fan dall’altra parte della barricata. Traffico in tilt sulla principale arteria del paese, per l’arrivo di circa ventimila macchine e cinquantamila spettatori in marcia da tutta Israele. Riuniti non a Tel Aviv, come all’inizio previsto nel calendario del tour The Dark Side of the Moon 2006. Bensì a Nevè Shalom, il paesino a metà strada tra Gerusalemme e Tel Aviv che è diventato il simbolo di una convivenza possibile tra israeliani e palestinesi.
Così ha voluto Waters, pressato dalle critiche in Gran Bretagna, dove le ipotesi di boicottaggio contro Israele tracimano dall’università e si riversano in vari rivoli. Così è stato. E alle cinque, all’apertura dei cancelli, il popolo degli estimatori si è precipitato sul prato. Pochi quelli della generazione di Waters, assiepati su una piccola tribuna di posti a sedere, venduti a 700 shekel a biglietto. L’equivalente di poco meno di 150 euro (normale per l’Italia, caro per Israele). Moltissimi, quasi tutti, invece, quelli che al tempo di Dark side of the moon erano ancora in mente Dei, e in quello di The Wall andavano ancora all’asilo o al massimo avevano finito le elementari.
Tant’è che viene da chiedersi: cosa ne sanno di Roger Waters? Da dove è arrivato il mito? Dai genitori, può darsi. Da una cultura musicale che recupera i fondamentali del pop, quasi sicuro. E da quella tensione verso ciò che l’Occidente produce, certo. Comunque sia, il vecchio Waters (che si mantiene benissimo) è riuscito - per due giorni almeno - a unire i due fronti e le due barricate. Senza neanche abiurare a nessuna delle sue posizioni.

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