I rischi di un'immigrazione incontrollata
un editoriale di Magdi Allam
Testata: Corriere della Sera
Data: 23/06/2006
Pagina: 44
Autore: Magdi Allam
Titolo: Se l'Italia spalanca le porte

Dal CORRIERE della SERA del 23 giugno 2006, un editoriale di Magdi Allam

Lo sapevate che dal 15 marzo scorso chiunque voglia entrare in Olanda per ragioni di lavoro, attività religiose, matrimonio o ricongiungimento familiare, deve recarsi all'ambasciata o al consolato olandese nel proprio Paese d'origine, pagare una tassa di 350 euro e sostenere un «esame di integrazione civica», consistente in una prova orale di lingua e cultura olandese? Solo dopo il superamento dell'esame si ottiene un visto d'ingresso temporaneo. Dopo un anno, l'immigrato è tenuto a sostenere un secondo esame, di un livello superiore, di lingua e cultura olandese, che consente di ottenere un permesso di soggiorno di più lunga durata. Anche la nuova legge sull'immigrazione in Francia, già approvata al Senato e che attende il varo dell'Assemblea nazionale, affida alle ambasciate e ai consolati francesi all'estero la responsabilità di vagliare le domande di soggiorno per lavoro o per altre motivazioni. Anche in questo caso il responso è subordinato alla conoscenza della lingua e al possesso delle attitudini necessarie a soddisfare il criterio generale di un'immigrazione «scelta» anziché «subita». E insieme al permesso di residenza gli immigrati dovranno firmare un «contratto d'integrazione», in cui si impegnano a rispettare i valori fondanti della società francese.
All'interno di questa stessa logica di condivisione delle regole comuni, Tony Blair all'indomani degli attentati del 7 luglio 2005 affermò che chi vuole vivere in Gran Bretagna «deve integrarsi». Non un'opzione, ma un obbligo. Che inizia nel momento in cui si richiede un visto d'ingresso nelle ambasciate britanniche all'estero. I permessi di lavoro, salvo che per particolari categorie di mansioni ad alto contenuto tecnologico e scientifico, devono essere approvati dal ministero dell'Interno. E anche in questo caso è indispensabile la conoscenza a un livello adeguato della lingua inglese.
È alla luce di tutto ciò che sorprende la tesi sostenuta dal ministro dell'InternoAmato alla commissione Affari costituzionali della Camera il 20 giugno, secondo cui la legge che ora impone che l'assunzione avvenga solo se il lavoratore è nel suo Paese, «è un presupposto impossibile, una finzione che produce irregolari», così come «è un'ipocrisia che il datore di lavoro assuma una persona che non ha mai visto in faccia». Ci rendiamo conto che cosa significhi escludere il filtro della selezione qualitativa di chi desidera venire in Italia per lavorare e possibilmente risiedervi stabilmente? Noi sappiamo bene qual è la sorte dei «poveri cristi», come li ha definiti Amato, quando, arrivando alla rinfusa in Italia, non trovano lavoro. Per quindici anni non abbiamo fatto altro che sanare centinaia di migliaia di irregolari. E più sanatorie facciamo e più irregolari si contano. Il risultato è che l'Italia ha oggi una delle realtà immigratorie tra le più dequalificate dell'Occidente. C'è forse da stupirsi? Con una battuta amara dico che se è vero che «ogni popolo ha i governanti che si merita», è altrettanto vero che «ogni popolo ha gli immigrati che si merita».
Il governo di centrosinistra sta percependo la strategia dell'immigrazione come un'affannosa soddisfazione delle esigenze dei «poveri cristi». Prefigurando un'Italia dalle porte aperte senza chiedere nulla in cambio: né conoscenza della lingua e della cultura, né formazione professionale, né condivisione dei valori, né adesione a un'identità nazionale. Ebbene, chi ha veramente a cuore la sorte degli immigrati cominci con il fare l'autentico interesse degli italiani. Sono due facce della stessa medaglia. Ma partiamo dalle nostre certezze, non dalle nostre debolezze.

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