Una nuova storia degli ebrei russi
recensita da Vittorio Strada
Testata: Corriere della Sera
Data: 21/06/2006
Pagina: 37
Autore: Vittorio Strada
Titolo: Ebrei di Russia, un destino a tre facce

Il CORRIERE della SERA del 21 giugno 2006 pubblica un articolo di Vittorio Strada che riportiamo:

Nella preoccupante ondata di xenofobia razzistica che si diffonde in Russia tra estremistico-radicali delle giovani generazioni, assumendo la forma di feroci crimini contro persone «di colore», l'antisemitismo occupa un posto marginale, meno pericoloso del neoantisemitismo che, sotto la veste di critica del sionismo e di Israele, è diffuso in Occidente. È vero che nell'ambito di un'ideologia nazionalistica oscillante tra neonazismo e neocomunismo non mancano le invettive contro il «gioco giudaico» cui sarebbe sottomessa la Russia per una «cospirazione» organizzata dalle forze «reazionarie» occidentali, ma, come ha notato uno dei maggiori studiosi di problemi ebraici, John Klier, «ogni osservatore della società postsovietica deve con sorpresa constatare l'insuccesso di un uso dell'antisemitismo come strumento efficace di mobilitazione politica».
Il «problema ebraico», risolto nella realtà sociopolitica, è invece aperto nella Russia d'oggi retrospettivamente, sul piano storiografico, come tema di ricerca e riflessione sul suo bisecolare sviluppo a partire dalla fine del XVIII secolo, quando l'impero russo, allargando i suoi confini verso occidente (la Polonia), si trovò inaspettatamente ad avere la più numerosa popolazione ebraica al mondo, per arrivare alla fine del XX secolo, quando col crollo dell'«impero» sovietico un'intera epoca storica si è chiusa anche per gli ebrei russi, ora ridotti a un esiguo numero. L'opera recente di Aleksandr Solzenicyn Duecento anni insieme, che tante polemiche ha suscitato, è soltanto il caso più clamoroso, per la notorietà del suo autore, di tutta una vasta serie di studi storici e saggistici sulla «questione ebraica» in Russia.
Tra i numerosi momenti e aspetti del complesso, e spesso arduo e drammatico, rapporto tra mondo russo e mondo ebraico ai vari livelli l'episodio più problematico è quello riguardante l'azione rivoluzionaria sia nella sua fase tra Otto e Novecento, sia soprattutto nel periodo sovietico, quando gli ebrei, che la rivoluzione democratica di febbraio aveva liberato da ogni discriminazione a loro danno, dopo la presa comunista del potere vennero a occupare nel nuovo regime una posizione dirigenziale di rilievo non solo al vertice del partito, ma anche in tutte le sfere, la polizia politica e l'organismo del Gulag compresi. Si creò quell'immagine di un potere «giudaico-bolscevico» che il nazionalsocialismo usò come una delle sue armi ideologiche principali. A quest'ultimo tema è dedicata la prima seria ricerca storica:
Gli ebrei russi tra i rossi e i bianchi (Moskva Rosspen 2005) di Oleg Budnitskij.
Nel suo libro Budnitskij considera il periodo relativamente breve (1917-1920) della «guerra civile» combattuta tra la compatta massa dei «rossi» bolscevichi e la schiera composita dai loro avversari, i «bianchi», con gli ebrei russi divisi tra i due campi, ma con una netta preponderanza nel primo che, a differenza di quello controrivoluzionario, non aveva remore ad accoglierli, garantendo loro una integrazione nel nuovo sistema sociopolitico sovietico che li «degiudeizzava» in senso cultural-religioso, senza tuttavia poter cancellare la loro «ebraicità» agli occhi dei russi e degli stranieri.
Fu comunque per gli ebrei russi un'esperienza tragica, se si pensa che in quegli anni ne furono fisicamente annientati decine di migliaia (Budnitskij arriva a parlare di duecentomila vittime), un massacro senza precedenti che sembra quasi un preannuncio dell'Olocausto. Budnitskij polemizza con storici come Richard Pipes e Ernst Nolte che nel «filosemitismo» dei «rossi», come nel filobolscevismo di gran parte degli ebrei, hanno visto una causa dell'anticomunismo nazista e nell'antisemitismo di buona parte dei «bianchi» uno stimolo del razzismo hitleriano. La tesi che fa del nazionalsocialismo una «risposta» o «reazione» al bolscevismo «giudaico» è respinta come un tentativo di razionalizzare un'ideologia irrazionale che aveva sue proprie, profonde fonti organiche.
Va ricordato però che nel 1923 un gruppo di ebrei russi di «destra» in un libro, edito a Berlino, dal titolo La Russia e gli ebrei,
denunciarono il pericolo derivante dall'ampia partecipazione degli ebrei alla rivoluzione bolscevica e in un appello Agli ebrei di tutti i Paesi! scrissero: «Il potere sovietico si identifica col potere ebraico. E l'odio profondo per il bolscevichi si trasforma in un identico odio per gli ebrei (…). Ciò avviene non soltanto in Russia. Tutti, assolutamente tutti i Paesi e i popoli sono sommersi da ondate di giudeofobia, spinta dalla tempesta che ha abbattuto la potenza russa. Mai prima sulla testa del popolo ebraico si erano accumulate tante nubi minacciose». Era però la Russia, la complessità di tutta la sua secolare storia, la «responsabile» della catastrofe del 1917, e non la sua componente ebraica, anzi fu proprio l'antisemitismo diffuso in Russia a spingere buona parte di questa nelle file bolsceviche, lasciando una loro parte minoritaria nel campo opposto a difendere la Russia tradizionale, nonostante il nuovo semitismo controrivoluzionario.
Situazione tragicamente complessa, che non esentò gli ebrei russi sovietizzati dalle pesanti corresponsabilità, spesso dirette, per gli enormi crimini commessi dagli organi polizieschi e supportati dagli apparati ideologici del regime, e non li salvò poi dalle persecuzioni già al tempo delle «purghe» degli anni Trenta, quando vittime e carnefici erano spesso entrambi ebrei, e soprattutto alla fine del potere staliniano, nel dopoguerra, quando su di loro in particolare si abbattè la repressione del regime.
Budnitskij quantifica questa evoluzione considerando la percentuale della presenza di ebrei nell'apparato della polizia segreta comunista: a partire dagli anni Venti tale percentuale crebbe in modo del tutto sproporzionato rispetto alla percentuale degli ebrei nella popolazione globale, fino a raggiungere, nelle file direttive, il 39 per cento nel 1936 per decrescere al 10 per cento nel 1941, mentre ad aumentare, alla fine degli anni Trenta, cominciò il numero dei russi e degli ucraini: «Alla fine degli Quaranta-inizio anni Cinquanta la presenza degli ebrei negli organi repressivi si era praticamente ridotta a zero». Proprio con la guerra antinazista, quando l'Olocausto prima e la formazione di Israele poi divennero il fulcro di una nuova identità anche per gli ebrei sovietici, per questi finiva la lunga fase di identificazione e collaborazione col regime comunista (all'estero le cose andavano altrimenti). Il romanzo di Vasilij Grossman Vita e destino,
il più veridico sulla Seconda guerra mondiale in lingua russa, è la sofferta testimonianza di questa storica vicenda.

Il  corretto articolo di Strada potrebbe essere integrato da considerazioni aggiuntive.
Sull'antisemitismo del regime zarista, anzitutto. Sui pogrom, la zona di residenza coatta, le vessazioni del servizio militare, la propaganda antisemita, le deportazioni nel tracollo della prima guerra mondiale.
Sull'assurdità della teoria antisemita che, dalla presenza di ebrei nel movimento comunista, deduceva che quest'ultimo fosse un "complotto ebraico" (dimenticando tra l'altro i molti ebrei che combatterono il comunismo e ne denunciarono i crimini).
Sull'ostilità dei bolscevichi, e anche dei bolscevichi ebrei, verso la religione ebraica e verso ogni  espressione politica nazionale degli ebrei, da quella dei sionisti a quella dei bundisti (liquidati da Stalin).
Sull'inaffidabilità del libro di Solgenitsin, che si è basato su fonti antisemite  ( e ci ha aggiunto del suo).
Scorretti titolo e sottotitolo (Ebrei di Russia, un destino a tre facce, Perseguitati, aguzzini e vittime, la tragica parabola sotto i bolscevichi) che sembrano accreditare l'idea di una responsabilità colletiva degli ebrei russi. 

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