"Gli iracheni hanno il diritto di condannare Saddam a morte"
intervista a Paul Berman
Testata: Corriere della Sera
Data: 21/06/2006
Pagina: 16
Autore: Alessandra Farkas
Titolo: «A morte Saddam, come Eichmann»
Dal CORRIERE della SERA del 21 giugno 2006:

NEW YORK — «Io sono sempre stato fortemente contrario alla pena di morte, ma nel caso di Saddam Hussein, sono pronto a fare un'eccezione, in nome del popolo iracheno. Spero ardentemente che gli abolizionisti del patibolo come lo sono io riescano a distinguere tra capestro usato contro un afro-americano innocente e capestro usato contro un criminale che ha sterminato il suo popolo».
Fra i tanti intellettuali liberal americani, il 57enne Paul Berman è forse quello che più si è battuto per spiegare all'America e all'occidente la gravità dei crimini commessi dal regime iracheno.
«Comprendo perfettamente i motivi che spingono la stragrande maggioranza del popolo iracheno a chiedere la pena di morte per l'ex-dittatore», spiega al
Corriere l'autore di «Terrore e liberalismo» e «Sessantotto». «La mia preoccupazione è un' altra».
A cosa si riferisce?
«Il processo contro Saddam avrebbe dovuto essere soprattutto una lezione di storia per spiegare ai giovani iracheni, e soprattutto all'Occidente, le atrocità perpetrate — e occultate — da Saddam. Purtroppo però la verità emersa dal processo continua a essere sfocata e ambigua, e la maggior parte del mondo continua a professare un'ignoranza completa circa la natura fascista dell'ex regime e l'entità smisurata dei suoi crimini».
Non le sembra di essere eccessivamente pessimista?
«Niente affatto. Sono appena tornato da un lungo viaggio in Italia dove ho dovuto constatare che, nonostante il nobile ruolo svolto dal vostro Paese nella sconfitta del regime, gli italiani non si rendono ancora conto di chi sia Saddam Hussein. Un uomo che durante il processo, in dicembre, disse: "Seguiamo l'esempio di Mussolini. Resistiamo all'occupazione fino alla fine"».
Saddam Hussein merita di essere ucciso ed esposto in piazza come Mussolini?
«Giustiziare Saddam è soprattutto un gesto simbolico per placare il popolo iracheno da lui oppresso e martoriato. Proprio come successe ad Adolf Eichmann, giustiziato nel '62 da Israele, un Paese dove non esiste la pena capitale. Ma più che sulla pena di morte, il dibattito oggi dovrebbe vertere sul fatto che la lotta del popolo iracheno per sconfiggere i rimasugli del regime non può contare sulla solidarietà di un Occidente che continua a sottovalutare uno dei criminali peggiori della storia».
Di chi è la colpa?
«Anche dei liberal. Che si oppongono alla pena capitale per motivi filosofico-morali e che dovrebbero guidare la crociata contro i regimi oppressivi come quello di Saddam Hussein, fino alla vittoria delle forze democratiche cui s'ispirano. Spesso la chiarezza morale manca anche alla sinistra dei Paesi occidentali».
Come fa a chiedere a un liberal di appoggiare la pena capitale contro Saddam Hussein?
«Il liberal deve scegliere tra una contraddizione veniale e una paradossale. Quest'ultima affligge chi si dichiara abolizionista, pacifista e un oppositore di ogni tipo di oppressione e in quanto tale non idoneo ad appoggiare gli iracheni nel loro sforzo per sconfiggere Saddam Hussein».
Si può paragonare il processo contro Saddam Hussein ad altri storici processi del passato?
«Molti vedono dei paralleli con quello di Milosevic, ma io non sono d'accordo. Saddam Hussein è stato un criminale molto più efferato, pericoloso e letale per il proprio paese. Milosevic ha ricevuto però un processo più equo e rigoroso, dove la giustizia è stata perseguita in maniera capillare».
Cosa non ha funzionato, secondo lei, al processo contro Saddam?
«Sin dall'inizio è stato contrassegnato da precarietà istituzionale, con la fuoriuscita del primo giudice, pressioni politiche continue, un collegio della difesa mutevole, per non parlare degli omicidi ai danni dei pubblici ministeri. Sono mancate le condizioni psicologiche e legali necessarie per un processo democratico e pacifico. I timori della vigilia si sono insomma materializzati, dando ragione a chi voleva celebrare il processo altrove».
Pensa che Saddam Hussein potrebbe essere riprocessato fuori dall'Iraq?
«Ne dubito perché gli iracheni sembrano decisi a gestirsi il processo completamente da soli, e francamente hanno tutti i motivi per volerlo. L'opinione pubblica mondiale continua a credere che i terroristi rappresentano la maggioranza degli iracheni e non capisce che il popolo ha votato unanime per l'attuale governo e ha sempre disprezzato Saddam Hussein».
Che impatto avrà un'eventuale esecuzione di Saddam Hussein? « Paesi come la Siria, l'Iran e la Corea del Nord dovranno trarne le conseguenze. Temo, però, che la sua esecuzione infiammerà gli animi di chi lo ha sempre considerato un eroe. All'indomani della sua morte prevedo dimostrazioni di massa non solo nei Paesi arabi ma anche nel resto del mondo, Occidente in testa».

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