Una mezza verità sull'Iran
e sulle condizioni delle minoranze religiose
Testata: Europa
Data: 20/06/2006
Pagina: 3
Autore: SIAVUSH RANDJBAR-DAEMI SHIRAZ
Titolo: Essere ebrei persiani. Viaggio a Shiraz

EUROPA del 20 giugno 2006 pubblica un articolo sulla situazione degli ebrei e delle altre minoranze religiose in Iran.
Vi sono informazioni interessanti, ma si trascurano  circostanze essenziali.
 L'Iran è un regime totalitario nel quale è per ovvi motivi difficile raccogliere opinioni di aperto dissenso verso il potere, soprattuto da parte di un deputato. L'Iran, inoltr diffonde una virulenta propaganda antisemita governativa che rende la condizione degli ebrei sicuramente più insicura di quanto non appaia dal semplice elenco delle discriminazioni legali da essi subite (vedi La verità sull'Iran).
Ecco il testo dell'articolo:  
 

La Bibbia ebraica contempla un solo messia non appartenente alla fede giudaica. È Ciro, il re achemenide che liberò gli ebrei dalla schiavitù della Terza cattività babilonese sotto Nabuccodonosor. Fortemente ispirato dagli ideali di pace della fede zoroastriana – la più diffusa all'interno del suo vasto regno – il sovrano persiano emise un decreto per consentire agli ebrei di vivere liberamente nel suo regno, che allora comprendeva pure l’odierna Palestina. Ma molti degli ebrei appena liberati decisero di migrare verso il cuore dell’impero persiano, stabilendosi vicino alla sontuosa reggia di Persepoli.
Oltre due millenni dopo i discendenti diretti di ambedue queste antichissime religioni vivono un’esistenza scomoda ma vivace a Shiraz, capoluogo della provincia Pars, o Fars come fu rinominata in seguito all’invasione araba dell’Iran del settimo secolo dopo Cristo. Le tuttora imponenti rovine di Persepoli sono a poche decine di chilometri di distanza da una città che, secondo il dottor Manuchehr Bamdad, capo della comunità ebraica locale, ospita ininterrottamente i discendenti del regno d’Israele dai tempi della prima Diaspora, seguita alla distruzione del Tempio di Re Salomone a Gerusalemme..
Non meno di sedici luoghi di culto sono gestiti dalla comunità ebraica di Shiraz, alcuni dei quali hanno oltre seicento anni di vita. Sono tuttora in uso rotoli talmudici vecchi di mezzo millennio, pur nel rispetto della normativa che impone di metter fuori uso pergamene che siano anche minimamente logore.
Le otto sinagoghe che sono in piena attività registrano il tutto esaurito durante le feste principali del calendario ebraico, come lo Yom Kippur e Rosh Hashanah. La coesione della comunità è dimostrata dal bassissimo livello di divorzi – solo un paio negli ultimi vent’anni a fronte ad una ventina di matrimoni all’anno, assicura Bamdad.
Gli ebrei di Shiraz sono quindi sopravvissuti a ondata di invasioni, cambi di regime, arabizzazioni, e altro ancora.
Ma si sono sempre considerati iraniani prima, ebrei poi. Come spiega Bamdad, il livello di integrazione tra ebrei e iraniani a Shiraz è sempre stato elevatissimo: «Noi parliamo il persiano, e i nostri giovani imparano l’ebraico come lingua straniera». Il persiano utilizzato dagli ebrei è inoltre di un ceppo antichissimo, testimone del loro radicamento nella provincia da cui deriva la lingua nazionale iraniana. Sebbene non vi siano più scuole ebraiche, gli alunni ebrei sono dispensati dall’insegnamento dell’Islam e imparano invece gli insegnamenti della propria fede.
Gli ebrei di Shiraz sarebbero inoltre quelli più osservanti.
Il capo della comunità ha criticato i correligionari di Teheran, rei di non osservare alla lettera il Sabbath: «Fumano sigarette e cucinano cibo, cosa che noi assolutamente non facciamo». A differenza dei musulmani, agli ebrei e alle altre minoranze è pienamente consentito l’uso di alcoolici, sia per le funzioni religiose sia per consumo personale.
La comunità retta da Bamdad ha dato vita a numerosi circoli ricreativi e culturali. Decine di giovani ebrei affollano le modeste ma ampie sale del Centro culturale ebraico, dove giovani con la kippà in testa discutono animatamente degli insegnamenti della Torah in una stanza ed apprendono l'alfabeto ebraico nell’altra. Nel circolo universitario il tema è invece ben più mondano: i giovani sono intenti ad analizzare i gironi del mondiale di calcio che sta appena per cominciare, manifestando il loro vivo sostegno per il Team Melli, la nazionale iraniana.
A differenza di ebrei e cristiani, è stata la forte radicazione delle tradizioni culturali zoroastriane nella storia dell’Iran e il loro messaggio di pace e fratellanza a guadagnare loro lo status di minoranza protetta, più che una menzione positiva nel Corano.
Come rivela il signor Sohrabi, capo della sparuta minoranza zoroastriana di Shiraz – che conta non più di 350 unità e che è l’origine della celebre minoranza parsi indiana ma che resiede a Shiraz da almeno 2.500 anni – un numero sempre crescente di giovani musulmani nati dopo la Rivoluzione del 1979 si interessa vivamente – grazie alla libera reperibilità di testi sacri come il Gathas e l’Avesta – alla sua fede, da cui derivano molte usanze in vigore oggi giorno, prima fra tutte la seguitissima ricorrenza del Capodanno o Nowrouz. Sebbene le conversioni dall’Islam a qualsiasi altra religione siano oggi proibite per legge, i templi del fuoco – che servono i circa 70,000 zoroastriani iraniani – sono tuttora in piena attività. Quello principale di Yazd contiene una fiamma che arde ininterrottamente da oltre un millennio.
Non mancano però problemi pratici. Secondo Sohrabi la discriminazione nei confronti dei non musulmani è ancora rampante nei concorsi pubblici. Sebbene la Costituzione della Repubblica Islamica non contenga nessuna disposizione in merito, molti degli incarichi statali sono ad esclusivo appannaggio dei musulmani, relegando tutte le altre fedi al settore privato. Mentre gli ebrei hanno trovato una via d’uscita specializzandosi in mestieri tecnici come la medicina o l’ingegneria o entrando con successo nel mondo degli affari, gli zoroastriani sono fi- niti, secondo Sohrabi, in un vicolo cieco. Agli zoroastriani è, ad esempio, proibito possedere negozi di generi alimentari, a causa della diffusa superstizione popolare sulla presunta impurità – o Najes – del cibo da loro venduto.
Ma alcune cose stanno lentamente migliorando.
Grazie alle pressioni dell’unico deputato ebreo più volte elogiato da Bamdad, Morris Motamed, e di quello zoroastriano, Kurosh Niknam, il risarcimento previsto dalla legge, che un omicida – colposo o volontario che sia – deve versare alla famiglia della vittima è stato equiparato tra musulmani e non musulmani, sebbene questa nuova normativa non sia stata ancora applicata dai tribunali iraniani.
Pur prendendo atto delle tante discriminazioni che devono subire, gli ebrei e gli zoroastriani di Shiraz non si sentono in pericolo imminente, e anzi sottolineano che è l’incredibile rapporto umano che mantengono con la maggioranza musulmana a bloccare un esodo in massa. Il dottor Bamdad conferma che molti ebrei immigrati in Israele e in Occidente, mossi da un senso di forte nostalgia, hanno fatto ritorno alla loro terra d’origine.

Su questi fatti si vorrebbero naturalmente conoscere maggiori particolari, per meglio distinguere la realtà dalla propaganda.

Dopo millenni di presenza ininterrotta queste due antiche comunità si sentono più che mai parte integrante della complessa ma ospitale società iraniana. Neppure le ripetute dichiarazioni di Mahmoud Ahmadinejad sull’Olocausto hanno scosso questa convinzione, sebbene i capi della comunità ebraica abbiano vigorosamente protestato contro queste esternazioni.
Il futuro rimane conunque incerto per queste due minoranze, confortate dal caldo rapporto con il popolo ma impensierite da un sinora rispettoso ma pur sempre imprevedibile regime islamico.

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