Un messaggio di Hamas al governo Prodi
recapitato da u.d.g.
Testata:
Data: 19/06/2006
Pagina: 10
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: «L’Italia di Prodi dia una sponda alla Palestina»
«L’Italia di Prodi dia una sponda alla Palestina»: così L'UNITA'  del 19 giugno 2006 intitola un'intervista di Umberto De Giovannangeli a Mahmud al Zahar. Recita il sottotitolo:
"Parla al-Zahar, ministro degli Esteri di Hamas: «Dal nuovo governo ci aspettiamo più equilibrio
Non vogliamo un conflitto armato tra fazioni nei Territori. Tre condizioni per la tregua con Israele"
Le tre condizioni sono specificate nel testo dell'intervista: ritiro entro gli insicuri confini del 1967, scarcerazione di tutti i terroristi, "diritto al ritorno" dei profughi e, dunque, fine della maggioranza ebraica in Israele.
Come dire: "tregua con Israele se Israele si suicida", ma la titolazione  nasconde questa realtà.
Alla domanda sul riconoscimento di Israele al Zahar risponde con una tirata propagandistica antisraeliana (sottolineata nel testo), cui u.d.g. non replica in alcun modo.
Tutta l'intervista, acritica, ha il chiaro scopo di facilitare la diffusione del messaggio di al Zahar al nuovo governo e all'opinione pubblica italiana, preparando il terreno a una possibile svolta filo-Hamas della politica estera del nostro paese.
Non giornalismo , ma propaganda al servizio di ipotesi politiche avventuristiche, che sarebbe bene restassero soltanto ipotesi
Ecco il testo:
  
PARLA L’UOMO FORTE di Hamas. L'uomo dalla «valigetta d'oro», colui che tesse le relazioni tra il governo palestinese e i regimi arabi e musulmani della regione. Parla Mahmud al-Zahar, ministro degli Esteri palestinese. Il «duro» di Hamas ha parole di
apprezzamento per la decisione assunta dal Quartetto sullo sblocco degli aiuti umanitari alla popolazione palestinese: «È una scelta che va nella giusta direzione - afferma al Zahar - perché il blocco degli aiuti è una punizione collettiva ingiusta e intollerabile inflitta a un popolo che in libere elezioni ha indicato la propria leadership». «L'Occidente - aggiunge il ministro degli Esteri - deve prendere atto che Hamas non è una meteora destinata a scomparire ma è parte fondamentale, inalienabile della società palestinese». Un messaggio rivolto all'Europa: «Può esercitare un ruolo di primo piano - dice al Zahar - se rivendica e pratica una funzione di mediatore super partes». Un segnale al nuovo governo italiano: «Spero - afferma al Zahar - che non sia smaccatamente filo-israeliano come quello che l'ha preceduto».
Nei giorni scorsi Lei è stato fermato con una valigia piena di contanti (16 milioni di euro) alla frontiera fra l'Egitto e Gaza. La missione di monitoraggio europeo ha protestato. Ha intenzione di riprovarci?
«Certo che sì. Continueremo a raccogliere fondi e a trasportarli nel paese tramite il valico di Rafah. È perfettamente legale. Non consentiremo a nessuno di impedircelo».
A proposito di legalità. Considera ad esempio "legale" la decisione del presidente Abu Mazen di indire un referendum sul cosiddetto "piano di pace dei prigionieri"?
«Su questo si sta esprimendo il parlamento palestinese, che è espressione della volontà popolare. Con il presidente Abu Mazen stiamo trattando per evitare una spaccatura grave all'interno del campo palestinese, della quale trarrebbe giovamento solo il nemico sionista…».
Il «nemico sionista», cioè Israele. L'Occidente preme perché Hamas riconosca il diritto all'esistenza dello Stato d'Israele. Il "no" di Hamas è definitivo?
«Non si riconosce chi da decenni opprime il tuo popolo, ne confisca le terre, praticando il terrorismo di Stato contro la popolazione civile e i dirigenti palestinesi. I diktat sono sempre a senso unico, e chi li pronuncia fa finta di dimenticare che Israele ha sistematicamente violato innumerevoli risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell'Onu e messo sotto i piedi i diritti e la legalità internazionali. Si chiede alle vittime di riconoscere il proprio carnefice. All'Occidente, all'Europa diciamo: non ci chiedete più di riconoscere il diritto ad esistere di Israele e di porre fine alla resistenza fino a quando non otterrete da Israele l'impegno, praticato, di ritirarsi dalle nostre terre e riconoscere i nostri diritti».
Tuttavia c'è chi anche nelle fila di Hamas parla della possibilità di una tregua di lunga durata.
«La tregua non è una resa. Può essere considerata se Israele accettasse di ritirarsi dai territori occupati dal 1967, liberasse tutti i prigionieri palestinesi, riconoscesse il diritto al ritorno dei rifugiati. In questo caso, l'hudna (tregua, ndr.) potrebbe realizzarsi. Ma sarebbe una tregua, non l'anticamera del riconoscimento di Israele».
C'è il rischio che il braccio di ferro in atto tra il governo di Hamas e il presidente Abu Mazen possa sfociare in un conflitto armato generalizzato nei Territori?
«Hamas farà di tutto per evitarlo. Le armi servono per difendere il popolo palestinese dal terrorismo di Stato israeliano e non per imporre logiche di fazione tra noi palestinesi. Rispettiamo la figura di Abu Mazen ma chiediamo a lui lo stesso rispetto non verso Hamas ma verso la scelta espressa con libere elezioni dal popolo palestinese. Il referendum non può essere lo strumento per delegittimare Hamas o per cercare rivincite personali o di fazione, né può essere un modo surrettizio per avere un avallo popolare al riconoscimento d'Israele. Una cosa è certa: non svenderemo in alcun caso le nostre posizioni».
In Italia è al governo una coalizione di centrosinistra. Cosa si attende Hamas?
«Che il nuovo governo non segua le orme di quello che l'ha preceduto, totalmente appiattito sulle posizioni israeliane. Ci aspettiamo un maggiore equilibrio e il rispetto delle scelte compiute dal popolo palestinese di cui il governo di cui faccio parte è espressione. Prodi e D'Alema sono benvenuti in Palestina».
Ma il ministro degli Esteri italiano ha ribadito a più riprese che condizione per avviare un dialogo è che Hamas riconosca Israele.
«Non si tratta di considerare il nuovo governo italiano come un governo pro-Hamas, il che non è, ma abbiamo apprezzato la posizione dell'Italia per ciò che concerne lo sblocco degli aiuti al popolo palestinese. Non condividere le posizioni di un governo legittimamente eletto, come quello di cui faccio parte, non è una buona ragione per affamre un popolo».
Per il governo israeliano anche i ministri di Hamas sono possibili obiettivi da eliminare. Si sente nel mirino?
«Ma io nel mirino ci sono già da tempo. Non conto più le volte in cui hanno cercato di uccidermi. Non ho mai creduto che essere ministro significhi entrare nelle grazie del nemico».

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