Hamas in difficoltà parla di "calma" e fa incetta di denaro
cronache e analisi della tattica del gruppo terroristico
Testata:
Data: 16/06/2006
Pagina: 13
Autore: Gian Micalessin - Aldo Baquis
Titolo: Hamas ci ripensa e offre la tregua a Israele - Pellegrini del contante in Sinai Iministri di Hamas infarciti di dollari

Dal GIORNALE di venerdì 16 giugno 2006, una cronaca di Gian Micalessin:

Assediato da Fatah e dai militanti fedeli al presidente Abu Mazen, costretto alla bancarotta dalla comunità internazionale, tenuto nel mirino da Israele, Hamas dice basta. Dai ieri i suoi missili Qassam tornano nei depositi e i piani per nuovi attentati suicidi contro Israele finiscono nel cassetto. Difficile dire cos'abbia contribuito di più a fermarli. Forse la consapevolezza di non poter combattere su tre fronti. Forse le speranze accese dai sacchi di contanti arrivati negli ultimi giorni al valico di Rafah. Forse la paura innescata dagli avvertimenti dei servizi di sicurezza israeliani pronti a far fuori il premier Ismail Hanyeh e tutta la cupola dirigenziale in caso di continuazione degli attacchi. Certo è che l'interruzione della tregua è stata ufficialmente revocata. La parola hudna è di nuovo un ordine. I lanci di missili firmati da Hamas sono immediatamente finiti. Continuano a volare e a esplodere in territorio israeliano solo quelli con il marchio della Jihad Islamica e dei Comitati di Difesa Popolari decisi, come sempre, a non concedere tregua. E proprio una salva di almeno quattro missili della Jihad Islamica - piombati sulla cittadina di Sderot – ha ferito ieri tre israeliani. Tre dei razzi sono esplosi in aree aperte del perimetro cittadino senza provocare né feriti, né danni rilevanti. Il quarto si è abbattuto sul tetto di una fabbrica nella zona industriale facendolo crollare e ferendo tre operai. Inevitabile la rappresaglia. Aerei israeliani sono intervenuti e hanno ucciso tre guerriglieri palestinesi intenti a collocare mine vicino alla barriera che separa la Striscia di Gaza dallo Stato ebraico. Poche ore prima un portavoce di Hamas confermava alla radio israeliana le voci sulla tregua, che erano state smentite in precedenza. «Siamo interessati a un cessate il fuoco ovunque – ribadiva Ghazi Hamad parlando a nome dell'intera organizzazione - vogliamo mettere fine a tutte le operazioni, ma solo se in Israele vi è interesse a fare lo stesso». Dall'altra parte la risposta, seppur indiretta, non si è fatta attendere. «Se vi sarà la calma risponderemo con la calma», conferma Mark Regev, portavoce del ministero degli Esteri. Le precedenti smentite e controsmentite di Hamas sul ritorno alla tregua sono il segnale delle profonde divisioni interne. L'ordine di metter fine ai lanci dei Qassam viene impartito per la prima volta mercoledì sera in un incontro tra Haniyeh e i principali comandanti dell'ala militare. Tra questi vi è anche Ahmed Jabri, un fedelissimo dell'irriducibile dirigenza in esilio a Damasco, guidata da Khaled Meshaal. Sulle prime Jabri risponde picche chiarendo di non accettare ordini dal primo ministro. Passata la nottata anche Jabri e gli altri capi dell'ala militare vengono ridotti a più miti consigli dall'intervento di Khaled Meshaal. Cosa determini la svolta non è molto chiaro. Secondo gli israeliani, la mossa decisiva è l'avvertimento inoltrato ad Haniyeh dal capo dello Shin Bet, Yuval Diskin, attraverso la presidenza dell'Anp. L'avvertimento garantisce l'immediata liquidazione dello stesso premier in caso di continuazione dei lanci di Qassam. La minaccia viene ufficializzata mercoledì sera anche dal ministro della Difesa laburista Amir Peretz. «Abbiamo chiarito ai vertici di Hamas la nostra intenzione di non porre limiti alla nostra strategia», spiega il ministro illustrando la necessità di colpire i responsabili dei lanci. Stando ad altre spiegazioni, anche il trasferimento di 20 milioni di dollari in contanti portati oltre il valico di Rafah mercoledì mattina dal ministro degli Esteri Mahmoud al Zahar ha un ruolo importante. Quel contante, seguito ieri mattina da altri due milioni di dollari introdotti nello stesso modo dal ministro dell'Informazione Yousef Rizka, sono la prima luce in fondo al tunnel dopo quattro mesi di secca finanziaria. Per metter insieme i 360 milioni di dollari necessari a pagare tre mesi di stipendi arretrati, i ministri del governo di Hamas dovranno far la spola con l'Egitto per molte settimane, ma almeno qualcosa si è mosso. Qualcosa ha spezzato il blocco che aveva messo con le spalle al muro l'organizzazione fondamentalista. Commettere suicidio proprio mentre si profilava la fine dell'impasse deve esser sembrato esagerato anche agli irriducibili di Damasco e ai guerrieri duri e puri delle Brigate Ezzedin al Qassam. Per avere un quadro più chiaro della situazione bisognerebbe capire da dove arrivino quei soldi. Hamas afferma che sono contributi volontari convogliati in Egitto dai sostenitori internazionali del fondamentalismo palestinese. Secondo altre interpretazioni sono il primo concreto segnale dei finanziamenti promessi tempo fa dall'Iran e da molti Paesi arabi.

Di seguito una cronaca di Aldo Baquis, da La STAMPA sui finanziamenti che Hamas riesce a raccogliere a dispetto dell'embargo internazionale.

Costretto sull’orlo della bancarotta da sanzioni internazionali, il governo di Hamas ha deciso di aggirare le limitazioni imposte alla banche palestinesi con un sistema di una semplicità disarmante: le borse pieni di contanti. Nelle ultime settimane, è normale vedere il ministro, il deputato o un semplice funzionario di Hamas che da Gaza va al Cairo, fa il pieno di valuta e torna indietro con sacchi di dollari o euro. Viaggi anche scomodi, come ha constatato il ministro degli Esteri Mahmud al-Zahar, costretto a stringersi per ore in un taxi con altri sei passeggeri per attraversare il Sinai. Ad ogni posto di blocco ha dovuto qualificarsi di fronte a soldati sgarbati.
Ma mercoledì al-Zahar ha registrato un successo personale quando, di ritorno da un viaggio in Indonesia, Malaysia, Brunei, Cina, Pakistan, Iran, Siria ed Egitto si è presentato al valico di Rafah accompagnato dal figlio, da due donne, e da 7 pesanti valigie. Dentro c’era la somma record di 20 milioni di dollari. All’aeroporto del Cairo le valigie non hanno destato interesse. Ma a Rafah gli ispettori europei hanno voluto vederci chiaro, e così i miliziani fedeli al presidente Abu Mazen, che hanno intimato al ministro di riempire moduli di garanzia di versamento dei fondi nelle casse del ministero delle Finanze. «Ci penserò», ha risposto brusco al-Zahar. Poi è salito sulla sua automobile, con i soldi e senza i moduli.
Ieri al valico di Rafah, proveniente dall’Egitto, si è presentato il ministro dell’Informazione Yussef Ruzqa. Niente da dichiarare? Aveva con sè 4 milioni di dollari (altri sostengono due milioni appena). Anche lui ha attraversato velocemente il terminal evitando formalità burocratiche.
Il portavoce di Hamas Sami Abu Zuhri ha introdotto a Gaza 800 mila dollari in contanti, in un «panciotto». Un parlamentare di Hamas ha usato invece una tecnica mista infilando 4,5 milioni di dollari in parte sotto la giacca, e in parte nelle borse.
Secondo il quotidiano Yediot Ahronot Hamas ha arruolato anche i pesci delle spiagge di Bardawil, nel Sinai settentrionale. Ogni palestinese che si reca nel Sinai ha diritto a tornare con 25 chili di pesci. Un mese fa, in un voluminoso contenitore di pesci, sono stati trovati pacchi con decine di migliaia di euro.
Hamas sostiene di aver raccolto fra i Paesi arabi 60 milioni di dollari. Circa la metà sono stati introdotti nei Territori. Le stime dell’intelligence di Israele sono più alte, sui 150 milioni. Ma per l’economia palestinese è appena di una boccata di ossigeno. Il governo dell’Anp ha spese mensili di circa 160 milioni di dollari. Senza gli aiuti dei Paesi donatori, congelati, e i versamenti di Israele (per la raccolta di tasse e dazi) le casse si sono presto svuotate.
Da parte sua, Fatah dubita che il contenuto delle valigie dei dirigenti di Hamas sia stato messo a disposizione di tutti. La sensazione è che sia stato utilizzati in prevalenza per i miliziani di Hamas. Mercoledì infatti centinaia di dipendenti statali palestinesi hanno dato l’assalto al parlamento di Ramallah invocando gli stipendi arretrati.

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