Quella voglia di farsi ingannare da Hamas
che circola in troppe redazioni
Testata:
Data: 15/06/2006
Pagina: 24
Autore: Alberto Stabile - Francesca Maretta
Titolo: Hamas pensa a una tregua di 50 anni
Cinquant'anni di tregua se Israele tornerà ai confini  insicuri del 67 e accetterà il rientro dei profughi palestinesi e dei loro discendenti entro i suoi confini.
Cinquant'anni durante i quali Israele potrà avere la pace alla quale aspira e i palestinesi potranno risolvere i loro problemi interni (e Hamas consolidare il suo potere e realizzare il suo progetto di islamizzazione della società palestinese  ).
E durante i quali potranno aver luogo trattative su "problemi pratici" , dunque non negoziati politici.
Poi, se i palestinesi lo vorranno, si potrà arrivare a una pace definitiva.
Oppure, è sottointeso,  se, opportunamente istruiti da mezzo secolo di propaganda sceglieranno diversamente, una nuova guerra.
Non c'è nulla di nuovo in quanto dichiarato dal portavoce di Hamas  Ahmed Yussef, in una intervista ad Haaretz. Le sue parole  non cancellano il rifiuto dell'esistenza di Israele da parte dell'organizzazione islamista. 
La quale del resto considera la "Palestina" un lascito divino all'islam che nessun musulmano , né ora né mai, avrà mai  il diritto di cedere, interamente o in parte.
La natura propagandistica e strumentale delle parole di Yussef è dunque evidente.
Ancora una volta però, nei giornali italiani prevale la volontà di ingannarsi sulla "volontà di pace" di Hamas.
Ne è un esempio l'articolo di Alberto Stabile pubblicato da REPUBBLICA del  15 giugno 2006.  
 Ecco il testo:


GERUSALEMME - Alle pressioni interne e internazionali di riconoscere Israele, Hamas risponde offrendo una tregua di 50-60 anni, e la possibilità di un accordo di pace in un futuro più lontano, se Israele accetterà di ritirarsi dai territori occupati con la guerra del ‘67. La proposta viene da una fonte autorevole, Ahmed Yussef, forse il principale consigliere politico del premier palestinese Ismail Haniyeh, e non è senza significato che l´esponente integralista abbia scelto un autorevole giornale israeliano, come Haaretz, per lanciarla.
È una sorta di periodo di prova quello che, in sostanza, suggerisce Yusef. «Noi - dice - non pensiamo di riconoscere Israele, visto che Israele non riconosce i nostri diritti». Tuttavia: «Se raggiungiamo una tregua di lungo periodo, il futuro dirà se Israele vuole vivere in pace coi palestinesi». L´accordo vero e proprio, frutto di un negoziato, può attendere. «Possiamo lasciare la questione alle future generazioni». Mentre, a giudizio del consigliere di Haniyeh, indubbi sono i vantaggi della tregua: «Voi - dice all´intervistatore israeliano - avrete la pace cui siete interessati mentre noi potremo risolvere i nostri problemi interni».
La prima cosa che salta agli occhi è la relativa importanza che l´esponente di Hamas dà alla pace, come se fosse un valore che interessi soprattutto gli israeliani e non anche il popolo palestinese. La seconda, è la profonda differenza rispetto alla strategia perseguita del presidente dell´Autorità palestinese, Mahmud Abbas (Abu Mazen), il quale, fiducioso che si possa raggiungere la pace in tre anni, non fa che sollecitare il governo israeliano ad impegnarsi in un negoziato finale.
Latore di un messaggio dai toni moderati, Ahmed Yusef, s´è spinto anche a ipotizzare che in futuro ministri del governo guidato da Hamas possano negoziare con Israele, ovviamente su questioni pratiche, «a condizione che serva gli interessi palestinesi». Rassicurante, almeno nelle intenzioni, Yusef ha escluso che il governo palestinese abbia un ruolo nella decisione di rinnovare gli attacchi terroristici contro Israele. «Rinnovare gli attentati suicidi non serve gli interessi del nostro governo».
Come interpretare questa sortita? È probabile che Hamas abbia voluto rilanciare la proposta di tregua per allentare la pressione sia della comunità internazionale che dello stesso Abu Mazen. Il movimento islamico rischia, infatti, di uscire logorato dalla sua stessa intransigenza. Al boicottaggio economico non ha saputo contrapporre una risposta politica. Il risultato è che, mentre centinaia di dipendenti dell´Autorità palestinese, senza stipendi dal mese di febbraio, irrompevano nella sede del parlamento a Ramallah, interrompendo i lavori, il ministro degli Esteri, Mahmud Zahar, varcava il confine tra Gaza e l´Egitto con 12 valigie contenenti 25 milioni di dollari in contanti, raccolti nel suo recente viaggio a caccia di sostegni tra i paesi islamici. Venticinque milioni di dollari non basterebbero neanche a pagare un mese di arretrati ai 165 mila dipendenti.
Anche la recente offensiva israeliana contro i missili Qassam finisce con il colpire la credibilità del governo integralista. Ieri, dopo che l´esercito israeliano ha stabilito di non aver avuto alcuna responsabilità nella strage sulla spiaggia, il segretario delle Nazioni Unite, Kofi Annan, giudicando «strani» i risultati dell´inchiesta israeliana, ha chiesto un´indagine internazionale.

Ancora più entusiasta LIBERAZIONE, che titola in prima "Hamas: "Pronti a tregua di 50 anni" e a pagina 5 pubblica il seguente occhiello "Il consigliere di Haniyeh parla con Haaretz ipotizzando persino trattative con Israele"
Trattative, ricordiamo ancora, su questioni pratiche, nell'interesse dei palestinesi. Non trattative politiche per giungere a una pace definitiva.

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