Su D'Alema alcuni ripongono totale fiducia, qualunque cosa dica
ecco quello che dichiara al giornale del suo partito
Testata:
Data: 21/05/2006
Pagina: 1
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Caro Bush, l'Italia è cambiata

Pubblichiamo dalla lunghissima intervista a Massimo D'Alema di Umberto De Giovannangeli sull' UNITA' di oggi, 21.5.2006, a pag.1-2-3, la parte che riguarda i rapporti con Israele. A parte il taglio diplomatico, di per sè  possibilista, notiamo con preoccupazione  che la fase dell'innamoramento con Yasser Arafat continua, malgrado sia ormai una figura screditata a tutti i livelli. Non,evidentemente a quello di D'Alema. Un classico poi il richiamarsi a quanti sostengolo le sue stesse posizioni all'interno della società israeliana o in quella americana. D'Alema dimentica che USA e Israele sono due democrazie (un concetto che continua ad essergli ostico), due paesi dove vige la libertà di parola, dove vivono indisturbati anche quelli che osannano chi vorrebbe distruggere persino il loro Stato. Non li usi per giustificare le sue posizioni. Ecco la frase su Arafat:

"Tutti ricodano bene che la svolta, con l’avvio di un negoziato di pace, avvenne quando Arafat introdusse, coraggiosamente, questa straordinaria novità nella vita dell’Olp, e cioè il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele"

Che poi Arafat si sia comportato in tutta la suo vita in modo opposto D'Alema o non lo sa o finge di non saperlo. Come può richiamarsi al nome di Arafat, il maggior responsabile della tragedia mediorientale ? C'è poi la questione dei confini, che D'Alema sembra ignorare totalmente. Dalle sue dichiarazioni, nelle quali esclude la scelta unilaterale di Israele, ammette di fatto che si deve trattare con Hamas :

"Poi c’è un altro punto delicato che secondo me l’Europa deve discutere con Israele: e cioè, posto che la situazione attuale è di stallo, e non sappiamo quando e se questa situazione potrà sbloccarsi, a fronte anche del rischio di un precipitare dello scontro interno al campo palestinese, a me sembrerebbe sbagliato che in modo unilaterale Israele compisse gesti, per quanto attiene ai confini, alla ripartizione territoriale, in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite e tali da pregiudicare poi una soluzione negoziale. "

Ecco l'intervista:

Le priorità nella sua agenda ministeriale. I nodi cruciali del rapporto con Israele e del ritiro del contingente italiano dall’Iraq. La ricostruzione della «vicenda Quirinale». Le aperture a Gianfranco Fini. È un Massimo D’Alema davvero a tutto campo quello che per oltre un’ora e mezzo accetta di discutere con l’Unità, sollecitato anche dal direttore del giornale Antonio Padellaro, delle questioni più spinose che investono il suo duplice ruolo di ministro degli Esteri e vice premier.
Signor ministro, come ci si sente a vestire i panni del «nemico di Israele»?
«Questi panni non li ho mai vestiti e non intendo farmeli cucire addosso da nessuno. È una raffigurazione grottesca e credo che questo nasca più dall’intolleranza di qualche singola personalità italiana che non da un reale atteggiamento israeliano, dell’opinione pubblica e delle leadership israeliane. Io ho avuto sempre un dialogo aperto, molto intenso con Israele, con le classi dirigenti, intellettuali, politici israeliani. Naturalmente è un dialogo nel quale si manifestano diverse opinioni, anche perché, fortunatamente, innanzitutto ci sono diverse opinioni tra gli israeliani, essendo un Paese democratico. Rispetto alle critiche che a me è capitato qualche volta di rivolgere ai governi di Israele, ho sempre trovato che in Israele c’erano degli israeliani molto più critici e severi di me. Spero davvero che si possa voltare pagina».
Chi si sta attivando per costruire l’immagine di D’Alema «nemico di Israele»?
«Ci sono certi ambienti politici e intellettuali che hanno molto puntato in questi anni su una specie di asse privilegiato nei rapporti tra Israele, comunità ebraiche e centrodestra in Italia. Secondo me anche con uno snaturamemento della tradizionale collocazione del mondo ebraico italiano. Si è montata una campagna sull’antisemitismo della sinistra che, a mio avviso, non ha fondamento. Certo, vi sono delle frange estremiste che sconfinano in forme deplorevoli e intollerabili di antisemitismo, nel senso di negazione dello Stato d’Israele a esistere, ma presentare la sinistra italiana come una sinistra antisemita mi pare sinceramente una caricatura grottesca. Sgombrerei il campo da queste forzature, per concentrarci sulla complessa e drammatica situazione di stallo che c’è in Medio Oriente; una situazione che va affrontata con fermezza e intelligenza».
Su quali base intende esercitare questa linea di «intelligente fermezza»?
«È evidente, da una parte, che l’Italia non intende minimamente rompere quella coerenza, quella collocazione unanime dell’Europa che tende a isolare Hamas. Noi non riteniamo che possa essere interlocutore di un processo di pace un governo che nega il diritto all’esistenza di Israele. Questo è un punto essenziale. Tutti ricodano bene che la svolta, con l’avvio di un negoziato di pace, avvenne quando Arafat introdusse, coraggiosamente, questa straordinaria novità nella vita dell’Olp, e cioè il riconoscimento del diritto all’esistenza di Israele. Una leadership palestinese che torna indietro su questo punto, è una regressione inaccettabile. Il fatto poi che questo avvenga in un quadro internazionale reso ancor più inquietante dalla sponda che il radicalismo islamico può godere in determinati regimi all’interno del mondo musulmano, penso alle posizioni estremistiche più volte reiterate dal presidente iraniano Ahmadinejad, tutto questo è estremamente preoccupante e richiede fermezza. Certamente non romperemo l’unanimità della posizione europea di fermezza nei confronti di Hamas, nel senso che la richiesta del riconoscimento pieno del diritto di Israele ad esistere entro confini sicuri è condizione perchè si possa giungere ad un accordo di pace. Nello stesso tempo, esiste però un problema molto serio relativo alle condizioni di vita dei palestinesi, e non mi sembrerebbe giusto, anche proprio come messaggio, far pagare ai palestinesi il risultato elettorale».
Una considerazione molto impegnativa.
«La Comunità internazionale ha molto premuto perchè si facessero subito le elezioni, quando invece il presidente Mahmud Abbas (Abu Mazen) aveva molti dubbi su questo, dobbiamo ammettere con onestà che aveva ragione lui. Un certo “fondamentalismo democratico”, con l’idea che le elezioni sono la democrazia, senza che questo abbia una adeguata preparazione, è stata una concausa della situazione attuale. Qui c’è una corresponsabilità e d’altro canto che messaggio rivolgiamo al mondo islamico, incalzandoli perchè ci sia la democrazia e poi punendoli per i risultati elettorali? Noi siamo favorevoli a quelle soluzioni, che in parte sono state trovate, perché attraverso organizzazioni non governative o rafforzando il ruolo del presidente dell’Anp, in qualche modo bypassando il governo di Hamas, vi sia un aiuto alle popolazioni civili palestinesi. Non sarebbe accettabile per la Comunità internazionale ma neanche conveniente per Israele che ci fosse un collasso umanitario nei Territori. Su questo, nell’incontro avuto qualche settimana fa a Roma con il ministro degli Esteri israeliano, la signora Livni, abbiamo incontrato una sensibilità circa la necessità che non cessi un aiuto umanitario alla popolazione palestinese. Poi c’è un altro punto delicato che secondo me l’Europa deve discutere con Israele: e cioè, posto che la situazione attuale è di stallo, e non sappiamo quando e se questa situazione potrà sbloccarsi, a fronte anche del rischio di un precipitare dello scontro interno al campo palestinese, a me sembrerebbe sbagliato che in modo unilaterale Israele compisse gesti, per quanto attiene ai confini, alla ripartizione territoriale, in contrasto con le risoluzioni delle Nazioni Unite e tali da pregiudicare poi una soluzione negoziale. Questa riflessione non è affatto ostile a Israele, e nello stesso tempo dobbiamo lavorare molto perchè vada avanti il processo di normalizzazione nei rapporti tra Israele e l’insieme del mondo arabo, per isolare in esso le posizioni più estremistiche. Questo sarà il nostro impegno. Io credo sinceramente una cosa: che se ci liberiamo da pregiudizi o da una eccessiva ideologizzazione della politica estera, ho l’impressione che un governo italiano in grado di riaprire un dialogo con il mondo arabo, come può essere un governo di centro-sinistra, e anche con una capacità notevole di interlocuzione, può essere utile per Israele».

Come si vede, un D'Alema sul quale alcuni sprovveduti,prigionieri dell'ideologia, hanno dichiarato di riporre totale fiducia, un D'Alema che riparte da Arafat e che dimostra di non aver capito nulla del terrorismo palestinese. Con in più 5 sottosegretari su 6 allineati completamente contro Israele.

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