Olmert da Bush, l'occidente si parla e decide
l'opinione di Fiamma Nirenstein
Testata: La Stampa
Data: 21/05/2006
Pagina: 9
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: Olmert porta a Bush prove contro teheran

Martedì 23 maggio 2006 Ehud Olmert sarà ospite a Washington del presidente Bush. Sulla STAMPA di oggi a pag.9, l'opinione di Fiamma Nirenstein.

Ecco l'articolo:

OGGI nel primo pomeriggio Ehud Olmert vola per la grande prova degli Stati Uniti: è la sua prima visita a Bush, che incontrerà martedì dalle tre e mezzo fino alla cena insieme. Un numero strabordante di ore, in cui i due si studieranno, parleranno, srotoleranno carte e esibiranno foto, si valuteranno, capiranno quanto l’uno piace o dispiace all’altro e quanto i programmi di ciascuno in Medio Oriente siano compatibili, utili, vitali, o, al contrario, fastidiosi o fatali per l’altro. Il primo appuntamento, domani, è con Condoleezza Rice, il secondo con Rumsfeld, poi martedì ancora Bush e infine un discorso alle due camere del Congresso riunite. Mercoledì infine Olmert tornerà a casa.
E’ l’«hic Rodhus hic salta» del primo ministro appena insediato, che parte con tre compiti fatali sulle spalle: presentarsi, presentare la sua Israele che vuole lasciare la maggior parte dei territori ma ricevere per questo l’appoggio della comunità internazionale, stabilire una chimica che crei comunicazione e simpatia. I due sono coetanei, amanti del jogging, Olmert parla un inglese molto ben controllato, ma l’ombra della calda relazione di Bush con Sharon costituisce una pietra di paragone non semplice. In secondo luogo, Olmert deve presentare al Presidente degli Stati Uniti la logica profonda del ritiro, spiegare che non c’è nessuno con cui parlare dall’altra parte, deve però accettare che Bush discuta la possibilità di fidarsi di Abu Mazen in tempi di governo Hamas. Quindi deve cercare di ottenere un «sì» per nuovi confini che l’Europa ha già rifiutato in anticipo.
Olmert è sorpreso dalle voci per cui la Casa Bianca vorrebbe, almeno per ora, restare neutrale sull’abbandono unilaterale dell’80-90 per cento della Cisgiordania con lo sgombero di 80 mila residenti, mentre apprezzò subito e senza riserve lo sgombero di Sharon da Gaza. Al terzo punto, ma più importante perché più immediato, il rapporto con l’Iran, su cui Israele possiede una quantità di informazioni di intelligence che certo verranno portate nella Stanza Ovale per dimostrare a Washington quanto siano letali e avanzate le minacce atomiche di Ahmadinejad senza spingere apertamente a un attacco militare agli impianti atomici; ma Israele sa molto bene che Ahmadinejad è un pericolo per sé e per l’Occidente. La linea è mostrare il rischio all’intero consesso internazionale; ma d’altra parte vuole anche che sia chiaro che Israele non si tirerà indietro, non può accettare la minaccia di morte iraniana. Se poi gli Usa vorranno essere protagonisti della vicenda, essendo il Paese più a rischio, chiederà di essere avvisato in tempo per disporre le difese.
Olmert si è preparato meticolosamente all’incontro prospettandosi che non è piacevole per Bush essere ancora e ancora messo di fronte al problema dei problemi, quello del Medio Oriente. Regione già cambiata dal tempo di Sharon, in cui la dimensione jihadista avanza, Al Qaeda sbarca in Israele, l’Iraq è incontrollato. Per Bush - che vorrebbe vedere il suo compito di democratizzatore facilitato e non ingarbugliato dalle soluzioni offerte da Israele - si tratta di capire cosa gli porta di fatto Olmert, se considera la possibilità di parlare con Abu Mazen reale, come vede lo sgombero, se esso include anche l’esercito o solo i settler, quale sarà lo stato di Gerusalemme, che tipo di legittimazione si aspetta dagli Usa Olmert. Questi a sua volta si aspetta un viatico incoraggiante e vuole essere certo che, finché lui non sarà pronto, gli Stati Uniti non si lascino affascinare dalla proposta di Abu Mazen di saltare a colloqui definitivi, e che restino ancorati invece alla Road Map che chiede lo smantellamento delle strutture terroriste.
In generale i due leader sanno che hanno a che fare con una situazione di difficoltà senza precedenti, in cui, a causa dell’integralismo islamico, dell’incredibile negatività di Hamas, del faro di luce nera costituito dall’Iran, si è persa anche quella vaga speranza di pace che caratterizzava gli anni fino al 2000. La miseria dell’Autonomia palestinese ha creato una situazione in cui i Paesi occidentali non sanno a che valore rifarsi, se a quello della carità o al dovere dell’autodifesa contro il terrorismo; i palestinesi, sia Hamas che Abu Mazen, cercano, ciascuno per sé, di aprire varchi politici in questo dilemma. Nella Sala Ovale si misurera ancora una volta l’ampiezza di questo fatale interrogativo.

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