Ora Israele parla troppo con Abu Mazen
é la tesi di Paola Caridi
Testata:
Data: 19/05/2006
Pagina: 7
Autore: Paola Caridi
Titolo: Tutti pazzi per Abu Mazen (grazie a Hamas)
Dopo l'"unilateralismo" , colpevole di aver tolto forza politica ad Abu Mazen, il nuovo errore di Israele ( e della comunità internazionale) sarebbe ora il tentativo di dialogare con Abu Mazen, che lo renderebbe impopolare tra i palestinesi , dopo la vittoria "democratica" ( ma in quali elezioni democratiche partecipa un aprtito armato?) di Hamas.
E' la tesi di Paola Caridi .  In ogni caso, Israele é sempre la causa dei propri guai. Se non tratta con Abu Mazen rafforza Hamas, se tratta, idem. Mai che venga in mente che Israele prova a fare il possibile in una situazione resa difficilissima dallo sfascio e dall'oltranzismo della classe dirigente palestinese.
Dal RIFORMISTA di venerdì 19 maggio:
 

Gerusalemme. Tutti lo vogliono, in Occidente. Tutti lo cercano. E tutti vorrebbero che fosse l'unico interlocutore per conto dei palestinesi. Mahmoud Abbas sembra vivere il suo momento di gloria. Raggiungendo il punto più alto nei consensi fuori da Cisgiordania e Gaza. L'Unione europea lo appoggia, non solo ospitandolo a Strasburgo, come ha fatto martedì scorso, per ascoltare le sue richieste davanti al parlamento riunito in seduta plenaria. Gli Stati Uniti, poi, non fanno mistero del sostegno pieno ad Abu Mazen, che si concretizza soprattutto negli unici pagamenti che arrivano alle forze di sicurezza palestinesi, quelle a Forza 17, la guardia presidenziale. E infine anche Israele sottolinea le aperture verso il presidente Abbas, che forse incontrerà domenica prossima il ministro degli esteri Tzipi Livni nel Sinai, in occasione del Forum Economico Mondiale. Un'apertura, a dire il vero, parziale, che ricorda le timide aperture verso Abu Mazen mostrate da Israele sin dalla morte di Yasser Arafat: siamo pronti a parlarci, dice oggi in sostanza il premier Ehud Olmert in partenza per una importante visita negli Stati Uniti per parlare con George W. Bush. Ma solo quando Abbas lotterà veramente contro il terrorismo. Che ora proviene, secondo quanto riportato da alcuni giornali israeliani, dai ranghi stessi dell'Autorità Nazionale Palestinese.
Tutti lo vogliono, Abu Mazen. O meglio, nessuno vuole Hamas. Ma è questa conventio ad excludendum a diminuire il ruolo di Mahmoud Abbas. E soprattutto a creargli i problemi più seri dentro la società palestinese. Il fatto che Abbas sia sostenuto così tanto dall'Occidente, dopo che i palestinesi hanno democraticamente investito Hamas del potere esecutivo dentro l'Anp, rende Abbas meno forte. Lo rende - nell'immaginario di molti palestinesi, con l'ovvia eccezione dei corpi di sicurezza legati a Fatah e all'ufficio di presidenza - prono ai voleri di una comunità internazionale che non vuole invece riconoscere il governo legittimamente eletto. Se non dopo l'accettazione, da parte di Hamas, delle condizioni poste dal Quartetto.
Abbas cerca ogni giorno di far convivere dentro il suo ruolo e la sua figura questa ambivalenza. La forza all'estero, come indicano anche i ritratti entusiastici comparsi su alcuni grandi giornali americani ed europei. Ultimo, quello sul Wall Street Journal, che parla addirittura di una «rinascita» di Abu Mazen. La debolezza all'interno dei labili confini della Palestina. Ed è proprio questa ambivalenza a rendere sempre più preoccupante il quadro politico e di sicurezza dentro la Striscia di Gaza. Dove Fatah sembra voler spingere su di un acceleratore pericoloso, quello del confronto militare, non più politico, con Hamas.
I segnali delle scorse settimane vanno tutti in questa direzione. Prima il tentativo di mantenere la gestione della sicurezza nelle mani di Fatah, sia attraverso incarichi a uomini legati soprattutto a Mohammed Dahlan, com'è stato il caso del suo braccio destro a Gaza, Rashid Abu Shbak, a capo della sicurezza preventiva. Sia attraverso lo stop alla creazione di un corpo di sicurezza alle dirette dipendenze del ministro degli interni Said Siyam. Dunque di Hamas. Poi i recenti scontri armati tra uomini di Fatah e Hamas, i rapimenti, gli agguati. E infine, il confronto militare che va in onda a Gaza dall'altro ieri. Da quando il governo di Ismail Haniyeh ha deciso di implementare la presenza sul terreno del corpo di sicurezza osteggiato da Abbas. E da quando, di conseguenza, Abbas ha risposto facendo dispiegare in forza i poliziotti palestinesi per tutta Gaza. Come non si vedeva dal disimpegno israeliano dell'agosto 2005. Il confronto a distanza tra un Abbas molto appoggiato all'estero e un Haniyeh in cerca di un riconoscimento politico nella comunità internazionale è, insomma, arrivato a un punto delicato. Che rischia di sfociare non tanto nelle dimissioni del governo Hamas per impossibilità di lavorare perché isolata dal mondo occidentale e senza soldi. Quanto piuttosto in una guerra civile dal prezzo altissimo. Ma che, dicono le indiscrezioni che ormai quotidianamente raggiungono il pubblico in una forma o nell'altra, solletica ancora qualche stratega come la via più semplice (non certo la più indolore) per far uscire Hamas dai centri di potere. Tempo: tre mesi. Entro l'estate.
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