Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945) 30/01/2006
Autore: Giorgia Greco

Giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945)
Edizioni: Mondadori

Si legge come una raccolta di trame romanzesche e invece è solo uno degli otto volumi dell’Enciclopedia dei Giusti fra le nazioni, un’opera compilata dallo Yad Vashem, l’Istituto per la memoria della Shoah. Esce in anteprima dalla Mondatori e rende omaggio ai tanti piccoli Giorgio Perlasca che negli anni bui tra la caduta del fascismo e la liberazione si prodigarono per salvare migliaia di ebrei perseguitati.Erano tutti persone comuni. Vivevano nel Nord d’Italia, dall’8 settembre in balia dei nazifascisti: Piemonte, Lombardia, Marche, Veneto, Liguria, Emilia-Romagna, Lazio, Toscana. Giovani, vecchi, bambini, spose trentenni con prole a carico, liceali in erba: gente di ogni ceto, medici, osti, parroci, operai, suore, macellai, e di ogni fede, valdesi, cattolici praticanti e pure atei, fascisti e antifascisti, liberali e socialisti. Ma tutti accomunati dalla stessa abnegazione, nobile e indefettibile, e tutti pronti a dare un tetto, un letto, una tessera annonaria agli ebrei, senza nulla in cambio, pur sapendo di essere fuori legge e correre rischi mortali.C’è Teresa Giovannucci, per esempio, moglie del fornaio di Riano Flaminio Pietro Antonimi. Abitavano accanto ad una base militare tedesca e dopo l’8 settembre si mettono a dormire per terra, per lasciare la loro camera da letto al rabbino Marco Vivanti e a sua moglie, da cui Teresa era stata 16 anni a servizio, e ospitarne l’intera famiglia, figlie, genero, nipote, fratello del genero e cuginetta. C’è il direttore di una casa di cura psichiatrica a San Maurizio Canadese, Carlo Angela, padre di Piero, autore di Quark, che fa passare per malati di mente Donato Bachi, già direttore dell’antifascista Tempi Nuovi, il colonnello Lattes, il capitano Finzi e Renzo Segre. Alla fine, grazie all’intervento di un ex leader fascista ricoverato anche lui a Villa Turina Amione, viene salvato in extremis dalla condanna a morte decretata dai tedeschi per rappresaglia.C’è Luigi Grasso, un salumiere di Fossano padre di nove figli. Con la moglie nasconde per 18 mesi nove membri della famiglia torinese di Italo Foa nella sua casetta di Loreto fra boschi oltre la Stura. C’è Gennaro Campolmi, caporeparto al calzificio Passigli, militante fiorentino di Giustizia e libertà fermato a Ville Triste, che per un anno e mezzo assicura nascondigli alla moglie di Leone Passigli, Graziella Vita, e ai due figli.Come loro sono centinaia gli ignoti eroi protagonisti di queste storie tragiche con un respiro biblico ed esemplari come il fato in un apologo morale. Ogni racconto è affidato alla scarna motivazione che ha portato a riconoscerli tutti come “giusti fra le nazioni”, definizione che il Talmud riserva a qualsiasi non ebreo che abbia dimostrato un comportamento positivo verso gli ebrei, e a ricordarne il nome in una lapide ai piedi degli alberi piantati nel memoriale dello Yad Vashem a Gerusalemme.Ogni caso è frutto di una scrupolosa istruttoria durata anni, per riscattare le testimonianze dal silenzio e per fare luce su salvati e salvatori, accertando la verità dei fatti. Alla fine del 2005, i Giusti italiani riconosciuti sono circa 400, senza contare i fascicoli ancora in esame, come ricorda l’ambasciatore Nathan Ben Horin, che è diventato l’animatore della commissione di Yad Vashem, dopo aver sperimentato di persona, fuggito nel ’43 da un campo di internamento a Limoges, la protezione dalla persecuzione tedesca offerta nella zona di occupazione italiana nel Sud della Francia.E fu anche merito di questi 400 eroi modesti e sino ad oggi sconosciuti se dei 32.300 ebrei in trappola nel territorio della Repubblica sociale italiana controllato dai nazisti 23.500 rimasero indenni, mentre ne furono arrestati circa 8 mila (di cui secondo le statistiche di Liliana Picciotto, 7.800 deportati, ai quali si aggiungono 322 morti prima della deportazione e 500 arrestati ma non deportati).Più che le cifre, però, è l’eroismo dimesso e involontario delle persone a fare una piccola pietra miliare di questo libro promosso dall’ambasciatore in Israele, Sandro de Bernardin, con la regia del Direttore dell’Istituto di cultura italiana a Tel Aviv, Simonetta Della Seta, e pubblicato grazie al contributo della presidenza del Consiglio con messaggio del capo dello Stato e una prefazione del ministro degli Esteri Gianfranco Fini. Non per cancellare le responsabilità del fascismo, ma per ricordare quanto si poteva fare, e quanto si è fatto, per obbedire alla legge superiore dell’umana dignità.“Niente di strano, era la cosa più normale del mondo” ricorda la madre superiora delle Suore di Nostra Signora di Namur, Maria Antoniazzi, che ospitò in convento una famiglia di quattro berlinesi, madre, padre, nuora e nipotino, scampati a Roma sotto falso nome. “Niente di più di quello che avrebbe fatto chiunque altro. In quei momenti non si pensava al pericolo: la gente aveva bisogno di aiuto, era l’unica cosa importante. Inoltre noi, come gente di fede, potevamo permetterci di rischiare più di altri”.

Marina Valensise
Panorama