Se la liberazione dei terroristi diventa un "diritto"
un linguaggio molto inappropriato
Testata: Metro
Data: 30/01/2006
Pagina: 28
Autore: Mattia Nicoletti
Titolo: Munich: la morte e la paura
A pag. 28 di Metro di venerdi Mattia Nicoletti firma un articolo dal titolo: "Munich: la morte e la paura"
 
MONACO, 5 settembre 1972. Un gruppo di terroristi palestinesi entra nel villaggio olimpico e uccide due atleti israeliani prendendone nove in ostaggio. Moriranno anche loro.
"Munich" di Steven Spielberg racconta cosa è accaduto nei giorni seguenti a quel settembre rosso sangue, delle azioni intraprese dal Mossad, i servizi segreti israeliani, dei dubbi che attraversano la mente del protagonista, Avner (un convincente Eri Bana), non convinto che uccidere sia la giusta replica a un irragionevole massacro.
 
Il terrorismo per Spielberg
 
Il regista statunitense torna a parlare di terrorismo e lo fa mettendo in parallelo il 1972 con i giorni nostri nello stesso modo in cui aveva utilizzato il futuro della "Guerra dei mondi" per parlare degli effetti dirompenti su un'umanità sola ed egoista in preda alla paura. Terrorismo non solo nella sua messa in atto, ma nell'etica dei metodi che la presunta giustizia ha nel risolvere il problema.
 
Questa frase non è chiara e sembrebbe implicare che la lotta al terrorismo non sia giusta
 
Gli uomini del Mossad uccidono sapendo che non sarà una soluzione, i terroristi palestinesi seguono la regola dell'"ogni mezzo necessario" per rivendicare i propri diritti.
 
La scarcerazione di pericolosi criminali che non esitano ad uccidere il maggior numero possibile di civili è diventato un diritto?
 
 
Spielberg domanda, non risponde. Ora come allora non c'è via d'uscita, e le considerazione che la spettacolare forza visiva e intimista di "Munich" stimola, sono un segno dei tempi. Mentre è una novità accorgersi che dopo qualche anno di torpore Hollywood sta producendo film capaci di fare riflettere.
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