Le condizioni per il dialogo secondo Israele e secondo Hamas
un'evidente asimmetria
Testata:
Data: 30/01/2006
Pagina: 9
Autore: Umberto de Giovannangeli
Titolo: Il capolista di Hamas "Europa e Usa ci mettano alla prova" - Olmert: tre condizioni per trattare

Intervista, eccessivamente concilinate, di Umberto De Giovannangeli a Ismail Haniyeh, capolista di Hamas alle elezioni politiche palestinesi. dispiace che da aparte del giornalista sia mancata la volontà di contestare all'interlocutore il terrorismo e la vontà di distruggere Israele. Tuttavia, l'intervista è interessante per le condizioni che Haniyeh pone per una tregua di lunga durata con Israele: fine delle eliminazioni mirate, fine della costruzione della barriera difensiva, scarcerazione dei terroristi detenuti. In altri termini Hamas è disposta ad evitare, per un certo periodo di tempo, di colpire Israele (preparandosi nel frattempo, è facile capirlo, a farlo con più forza ), se questa è disposta a sospendere ogni iniziativa di difesa, esponendosi completamente agli attacchi futuri.

Ecco il testo:  

«IL NOSTRO obiettivo è quello di unire e non di dividere il popolo palestinese. Abbiamo un obiettivo comune: costruire uno Stato indipendente su tutti i territori occupati da Israele nel 1967. Su questo obiettivo è possibile realizzare un governo di unione nazionale.
A questo stiamo lavorando». A parlare è Ismail Haniyeh, 50 anni, capolista di Hamas nelle elezioni politiche, uno dei leader del movimento islamico uscito trionfatore dalle urne. «Hamas intende dialogare con Stati Uniti ed Europa - avverte Haniyeh - ma sia chiaro: non siamo disposti a subire ricatti internazionali». Per quanto concerne il rapporto con il presidente dell'Anp Abu Mazen, Haniyeh si dimostra conciliante: «Un incontro - dice - è previsto a breve». Resta la questione cruciale: il riconoscimento di Israele e l'abbandono della pratica terroristica. Haniyeh ribatte prontamente: «È Israele ad aver espropriato la nostra terra, ad averci cacciato nel 1948 dai nostri villaggi. Oggi è possibile, a determinate condizioni, negoziare una tregua di lunga durata».
Dopo i giorni del trionfo, le difficoltà a formare un governo.
«Non è un problema di numeri. Con il voto il popolo palestinese ha dato a Hamas la maggioranza assoluta nel nuovo Parlamento. Se stiamo cercando di realizzare un governo aperto ad altre forze non è per debolezza o perché vogliamo nasconderci. La ragione è un'altra e in essa risiede la forza di Hamas: lavorare dal basso per costruire l'unità dei palestinesi. Lo abbiamo fatto nella resistenza all'occupazione israeliana, intendiamo agire allo stesso modo nelle istituzioni».
C'è chi sostiene che la vostra disponibilità in realtà nasconde la consapevolezza di un isolamento internazionale a cui andrebbe incontro un governo targato Hamas.
«Dialogare con Hamas non è una concessione che ci viene fatta ma è un atto di responsabilità nel momento in cui il mondo intero si è reso conto che Hamas rappresenta una parte significativa, oggi maggioritaria, della società palestinese. Per quanto ci riguarda, siamo disposti da subito ad avviare un confronto con tutti, ma sulla base del rispetto del voto espresso dal popolo palestinese. Non subiremo alcun ricatto, questo è certo né accetteremo l'uso degli aiuti internazionali come arma di ricatto. Ciò che chiediamo è giustizia, ciò che vogliamo è vivere come essere umani. All'Europa e agli Stati Uniti diciamo: Hamas non è vostro nemico, metteteci alla prova…».
Forza di governo che mantiene una propria milizia armata. Non è una contraddizione in termini?
«No, non lo è. Perché Hamas non ha mai nascosto di voler perseguire la via politica senza per questo rinunciare al diritto alla resistenza armata contro chi occupa la Palestina e ne opprime il popolo. In futuro non escludo la possibilità di inquadrare i nostri miliziani nell'esercito palestinese da creare ex novo. Anche di questo siamo pronti a discutere con il presidente Abu Mazen».
E con Israele, siete disposti a negoziare e se sì su che basi?
«È possibile negoziare una hudna (tregua) di lunga durata a patto che Israele ponga fine agli assassinii di militanti e dirigenti dell'Intifada, cessi la costruzione del muro dell'apartheid in Cisgiordania e liberi i prigionieri palestinesi detenuti nelle sue carceri. Israele sa bene che Hamas è in grado di rispettare e far rispettare i patti. È avvenuto anche nei mesi in cui avevamo raggiunto un accordo (per una tregua unilaterale, ndr.) con il presidente Abu Mazen. Hamas non è contro la pace, è contro la capitolazione».
La base di Fatah è scesa nelle strade per contestare l'attuale dirigenza e per esprimere la propria contrarietà ad un governo assieme a Hamas. Non temete che possa innescarsi una dinamica che porti alla guerra civile?
«Questo è ciò che spera Israele e i tanti nemici della causa palestinese. Ma noi non cadremo nella trappola. Hamas non alzerà le armi contro altri fratelli palestinesi».
Molti hanno votato Hamas per protesta contro la corruzione dilagante nell'Anp. Cosa intendete fare ora che siete forza di governo?
«Rispettare gli impegni presi. I corrotti sono nemici del popolo palestinese. E come tali verranno perseguiti».

u.d.g. , in una cronaca informa anche delle condizioni poste da Israele per dialogare con Hamas: la rinuncia al terrorismo, il riconoscimento del diritto all'esistenza di Israele, il rispetto degli accordi già presi dall'Anp. condizioni ovvie e accettate dalla comunità internazionale, come sottolineato dal premier israeliano Olmert. L'aspettativa legittima è dunque che, coerentemente, la comunità internazionale sostenga la posizione di Israele. Ecco il testo:  

«ABBIAMO CHIARITO che senza la rinuncia al terrorismo, il diritto di Israele di vivere in pace e sicurezza , il rispetto di tutti gli accordi presi dall'Autorità nazionale
palestinese, inclusa naturalmente anche la revoca della carta costituzionale di Hamas, noi non avremo alcun contatto con i palestinesi». È la risposta di Ehud Olmert al trionfo elettorale di Hamas. Le condizioni non negoziabili per non seppellire definitivamente le residue speranze di dialogo. «Questi principi - puntualizza il premier ad interim nella riunione domenicale del governo - sono accettati dalla comunità internazionale e su questa questione io non intendo a scendere a compromessi». Concetti che Olmert ribadirà in serata nell'incontro a Gerusalemme con il cancelliere tedesco Angela Merkel. Ma l'attenzione internazionale resta puntata sui Territori e sugli sviluppi del trionfo di Hamas (74 seggi contro i 45 di Fatah) alle politiche del 25 gennaio. La rivolta della base del Fatah penetra alla Muqata, il quartier generale dell'Anp a Ramallah, dove in serata il presidente Abu Mazen ha riunito il Comitato centrale di Al Fatah. «La direzione di Fatah ha deciso che il movimento non entrerà nel governo», anticipa uno dei nuovi deputati del Fatah, Abdallah Abdallah dopo aver incontrato Abu Mazen. «Coloro che hanno riportato la vittoria devono assumersi le proprie responsabilità nei confronti del nostro popolo su tutte le questioni, politiche, economiche, di sicurezza nazionale», incalza Saeb Erekat, il capo dei negoziatori dell'Anp riconfermato in Parlamento. Pressato dalla base in rivolta, Abu Mazen - che ha deciso di rinviare l'annunciato incontro a Gaza con i leader di Hamas Mahmud al-Zahar e Ismail Haniyeh - passa al contrattacco ordinando la pubblicazione di una lista di decine di noti esponenti del Fatah che sono stati radiati dal partito perché colpevoli di aver partecipato come candidati indipendenti alle ultime elezioni. Fra i radiati figurano nomi di primo piano del Consiglio rivoluzionario di Al-Fatah. Nei giorni scorsi miliziani del Fatah hanno dato vita a manifestazioni violente pere costringere Abu Mazen a sciogliere il Comitato centrale di Al-Fatah e ad espellere i responsabili del fallimento elettorale. In parallelo il presidente palestinese deve affrontare una prima crisi, molto difficile, anche con Hamas. A mettere il dito nella piaga è stato il comandante delle forze di sicurezza, generale Ala Husni. Forse impensierito dalle dichiarazioni rilasciate l'altro ieri a Damasco dal leader politico di Hamas Khaled Meshaal (circa l'opportunità di dar vita a un esercito nazionale palestinese, in cui confluiscano i miliziani delle varie fazioni) Husni ha precisato che i suoi uomini restano inderogabilmente sottoposti al comando supremo del Presidente, e non del futuro primo ministro. Appena poche ore dopo è giunta la replica di Mushir al-Masri, un portavoce di Hamas. Il generale Husni è solo un funzionario pubblico, ha tenuto a precisare. I rapporti futuri al vertice dell'Anp e il controllo dei servizi di sicurezza (60mila uomini) dovranno essere concordate a livello politico. Hamas, aggiunge il portavoce, può assicurare fin da ora che non ci saranno «epurazioni» di carattere politico in una struttura largamente identificata con Al-Fatah (anche se quasi un terzo degli agenti sembrano aver votato per Hamas). Al tempo stesso è proprio Hamas ad attaccare l'attuale ministro degli Interni Nasser Yussef, un generale della riserva. Secondo Hamas, due giorni fa Yussef avrebbe dato ordine di iniziare una pulizia sistematica degli archivi della sicurezza palestinese e in particolare di distruggere tutti i rapporti relativi alle attività dei dirigenti di Hamas negli ultimi dieci anni. A rendere ancor più incandescente la situazione ci pensano i siti internet legati a Hamas che ieri hanno rilanciato la notizia che nelle caserme dell'Anp c'è un via vai di camion e che fucili e munizioni sembrano aver preso la strada per i magazzini del Fatah.

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