Per gli ebrei iraniani tutto va bene
ne siamo davvero sicuri?
Testata: Europa
Data: 25/01/2006
Pagina: 2
Autore: SIAVUSH RANDJBAR-DAEMI
Titolo: Pregare in sinagoga nel regno del truce Mahmoud Ahmadinejad

Europa del 25 gennaio 2005 pubblica un articolo di SIAVUSH RANDJBAR-DAEMI sulla comunità ebraica in Iran. il quadro è davvero un po' troppo idilliaco e dimantica, per esempio, la recente persecuzione di ebrei iraniani accusati falsamente di essere spie di Israele, lo status di sottomissione attribuita ai dhimmi, condizione nella quale Khomeini volle relegare gli ebrei iraniani.

Ecco il testo:

  Le recenti affermazioni del neo presidente iraniano, Mahmoud Ahmadinejad, sull’Olocausto e lo stato d’Israele hanno diretto i riflettori sui rapporti tra le due potenze cardine del Medio Oriente. Iran ed Israele sono ai ferri corti sin dalla vittoria della Rivoluzione del 1979, che spazzò via il regime monarchico amico dello stato ebraico e instaurò un ordinamento teocratico assai vicino all’Olp e forte sostenitore della causa palestinese in generale. L’Iran fu coinvolto in prima persona nella guerra civile libanese degli anni Ottanta, e l'esercito israeliano ha combattuto per anni una decisa resistenza delle milizie sciite di Hezbollah –il più fedele alleato di Teheran nel Medio Oriente – durante la sua occupazione del Libano meridionale, evacuato dalle forze di Tel Aviv nel 2000. La centrale Piazza Palestina a Teheran contiene a tutt’oggi una serie di murali e sculture dai forti toni antisionisti, mentre non è raro sentire l’intonazione di canti anti israeliani nelle preghiere del venerdì organizzate all’università della capitale iraniana. Israele, dal lato suo, accusa frequentemente l’Iran di connivenza in attività terroristiche di vario tipo, accuse che Teheran respinge sdegnatamente al mittente. Sebbene l’antisionismo sia stato da lungo tempo un elemento principale del sistema teocratico iraniano, ma anche di altri soggetti politici, come il disciolto partito comunista Tudeh e i nazionalisti religiosi ora al bando, l’antisemitismo non è invece presente in maniera preponderante nei pensieri dei massimi ideologi della Repubblica islamica. Il che è probabilmente dovuto alla millenaria tolleranza del popolo persiano nei confronti di quello ebraico. I primi insediamenti ebraici in Persia risalgono al lontano 722 avanti Cristo, in seguito agli spostamenti provocati dalla Prima Diaspora. Nonostante la liberazione degli ebrei dalla cattività babilonese ad opera del sovrano persiano Ciro nel 537 a.C., la presenza giudaica in Persia non ebbe da allora interruzione. L’immigrazione verso lo stato d’Israele registrò un’impennata dopo la cacciata dello Shoah nel 1979, ma non più di metà della popolazione ebraica iraniana (stimata in 80 mila unità prima della Rivoluzione) si avvalse della possibilità di emigrare. In uno dei suoi sermoni più celebri del periodo post-rivoluzionario, l’ayatollah Khomeini ordinò ai suoi sostenitori di rivolgere la «massima protezione» ai propri concittadini ebrei, affermando che si doveva mantenere una «netta distinzione tra il regime sionista ed un popolo del Libro come quello ebraico». L’anziano leader faceva riferimento direttamente al Corano, che assegna un ruolo di riguardo a ebraismo e cristianesimo, i cui profeti sono venerati pure dall’Islam. Il nuovo ordinamento repubblicano assegnava inoltre – fatto del tutto inedito nella regione – uno scranno parlamentare a un esponente della comunità ebraica, che sotto il nuovo corso ha cominciato così un’esistenza travagliata ma priva di quelle persecuzioni di massa che hanno ridotto a poche decine di unità le popolazioni giudaiche dei paesi limitrofi. A tutt’oggi, vi sono ben quattordici sinagoghe attive nella sola Teheran e una dozzina nelle altre grandi città, in special modo Hamedan, Esfahan e Shiraz. Agli ebrei sono però allo stesso tempo precluse molte carriere statali e della pubblica amministrazione. L'integrazione di molti ebrei nel tessuto sociale iraniano, e per contrasto la difficoltà talvolta d’inseirmento nei nuovi paesi di adozione, ha portato alla luce clamorosi casi di ebrei iraniani che sono tornati nel loro paese d'origine dopo decenni di esilio. Il Jerusalem Post ha riportato, un paio di mesi fa, la storia di un gruppo di ebrei trapiantati in Israele che hanno ripreso – tramite Istanbul – il passaporto iraniano e fanno la spola, non senza rischi, tra i due paesi. Altri ancora, sempre secondo il Post, hanno fatto ritorno definitivo in Iran. La comunità ebraica iraniana è tuttora quella più numerosa in Medio Oriente al di fuori di Israele, che peraltro annovera diversi alti dirigenti politici di origini iraniane. L’attuale presidente israeliano, Moshe Katzav, è nativo della stessa città del suo ex omologo iraniano, Mohammad Khatami, Yazd. Katzav ha sostenuto che i due capi di stato si sono stretti la mano ed hanno discusso con tono amichevole ai margini dei funerali di Giovanni Paolo II. Khatami invece ha ripetutamente respinto la veridicità di tale affermazione. Uno dei più rinomati falchi dell’establishment israeliana è Shaul Mofaz, ministro della difesa è anch’egli originario dell’Iran. A dispetto delle apparenze, quindi, il legame tra Iran e Israele è molto più profondo di quello che intercorre tra lo stato ebraico e molti dei suoi vicini. I due paesi antagonisti sono ironicamente accomunati da una tensione simile nei confronti di un mondo arabo che per diversi motivi ha per lunghi periodi osteggiato ambedue le nazioni. Ed è forse questo fatto che spingerà i due paesi, in un futuro non troppo anteriore, a rivedere le proprie posizioni e attuare una variazione che sarebbe in linea con il lungo filo storico che lega i due antichi popoli.

Non è certo il popolo iraniano il problema,quanto piuttosto il regime, il cui fanatismo antisionista è contrario anche alla tradizione e agli interessi politici dell'Iran

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