Il doppio gioco di Hamas: non rinuncerà al terrorismo
intervista ad Hanan Ashrawi
Testata:
Data: 25/01/2006
Pagina: 11
Autore: Umberto De Giovannangeli
Titolo: Gli integralisti fanno il doppio gioco

Intervista di Umberto de Giovannangeli ad Hanan Ashrawi, sull'UNITA'  di mercoledi 25 gennaio 2005:

Hanan all'attacco. Stanca ma soddisfatta per una campagna elettorale «condotta con la gente, tra la gente», Hanan Ashrawi, già ministra dell'Anp, ex portavoce della Lega Araba, paladina dei diritti civili nei Territori e animatrice assieme all'ex ministro delle Finanze Salam Fayad della lista progressista «La Terza via», non è tenera con Hamas: «Temo - dice - il suo doppio gioco», ne è disposta a fare sconti alla vecchia nomenklatura dell'Anp: «La corruzione di cui ha dato ampia prova - sottolinea - ha finito per rafforzare Hamas e fiaccare ogni istanza di rinnovamento».
Che vinca o meno le elezioni, Hamas è una forza che non può più essere ignorata. Che cosa ne pensa?
«Vedo in Hamas un forte pericolo, almeno fin quando questo movimento non cambierà la sua ideologia e il suo modo di operare. Io sono assolutamente contraria agli attentati terroristici per conseguire risultati politici e considero l'"Intifada dei kamikaze" una sciagura per la causa palestinese. Se vorranno entrare dopo le elezioni in un governo, che capiscano che dovranno fare delle fortissime rinunce».
Ma se si riferisce a «rinunce» come quella di dialogare con Israele, Hamas, anche nel più aperto dei suoi pronunciamenti, pone condizioni che appaiono difficilmente realizzabili.
«È proprio questo che non capiscono. Come vorrebbero governare il Paese? Se vorranno costruire una scuola, avranno bisogno di ferro, cemento e mattoni. Se vorranno permettere lo sviluppo dell'import/export servono dei passaggi di frontiere, dei controlli doganali. E con chi vorrebbero regolare queste questioni, a chi dovranno chiedere permessi e con chi saranno costretti a concludere accordi per fare tutto questo, se non con Israele? Far vivere il popolo palestinese in un "vuoto", non è possibile, a meno che non vogliano portarlo alla rovina. Se vogliono contribuire a governare, prego, che si diano da fare. Altrimenti, si mettano da parte e non disturbino o peggio, arrechino danni».
Quindi, quale sarà, a suo avviso, il loro ruolo dopo le elezioni?
«Come ho detto, potranno essere dentro o fuori, a seconda della loro scelta, ma comportandosi di conseguenza, per il bene del popolo. Quello che mi mette più paura, è la possibilità che facciano un doppio gioco. Entrino nel governo, mostrando una certa misura di istituzionalizzazione e moderazione, e nello stesso tempo attivino un braccio armato - sulla carta distaccato da loro - che continui la politica degli attentati. Ciò è abbastanza realistico, perché se da una parte Hamas vuole moltissimo salire al potere, troppo forte è in loro la convinzione che la lotta armata non deve finire e che l'uso del terrorismo è più efficace della diplomazia».
Perché «Terza via» si oppone all'attuale governo palestinese?
«Il motivo principale che ci ha spinto a creare "La Terza via" è la profonda corruzione di tutto l'apparato burocratico e politico. Parte dal basso, laddove il semplice cittadino è spesso costretto a pagare impiegati e funzionari per servizi che gli spettano gratuitamente. Abbiamo poi raccolto incartamenti che accusano decine di personaggi nelle cariche più alte della politica, dell'amministrazione, della sicurezza nazionale e perfino della procura giudiziaria. Purtroppo, quando la corruzione opera a questi livelli, i corrotti si proteggono uno con l'altro, ed è difficilissimo procedere contro di loro, ma noi di certo non ci arrendiamo».
Quindi il suo partito è nato solo per combattere la corruzione del governo?
«Assolutamente no. Abbiamo una piattaforma che tocca tutti gli aspetti della vita civile, della politica, dell'educazione, della amministrazione e, ovviamente, anche del processo di pace con gli Israeliani, lo status di Gerusalemme e il diritto al ritorno. Per esempio, nello sconforto di vedere l'immobilismo del governo, abbiamo presentato tre mesi fa ad Abu Ala un piano di lavoro particolareggiato che proponeva una Riforma nazionale che partendo dalla lotta alla corruzione, toccava tutti i punti della vita civile e dei diritti civili con l'intento di migliorarli. Non ne è uscito niente. Sconsolati, ci siamo rivolti ad Abu Mazen che dopo essersi entusiasmato, è entrato in azione e ha congelato il tutto. In periodo di elezioni - ha detto - non è possibile portare avanti una riforma del genere. E intanto il popolo, nella sua impotenza, continua a patire»

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