Le elezioni cambieranno Hamas?
l'analisi di Gilles Kepel
Testata:
Data: 25/01/2006
Pagina: 1
Autore: Sonia Oranges
Titolo: Hamas importa la democrazia nel cuore dell'Islam radicale

Il RIFORMISTA  di mercoledì 25 gennaio 2006 pubblica un'intervista di Sonia Oranges a Gilles Kepel sulle elezioni palestinesi e sul successo elettorale dei fondamentalisti in Medio Oriente. Semplicistico e fuorviante il titolo "Hamas importa la democrazia nel cuore dell'Islam radicale" Ecco il testo:

Uno spartiacque del processo di democratizzazione in Medioriente. Le elezioni palestinesi sono declinate così da Gilles Kepel, l'islamista francese ospite in questi giorni all'ambasciata francese a Roma per un ciclo di conferenze. Kepel, intellettuale così vicino a Chirac da suggerirgli la strategia sulle questioni islamiche, ribadisce la tesi secondo cui il mondo sta attraversando una fase “postislamista”. Lo diceva prima dell'11 settembre e ha continuato ad affermarlo, aspettando la storia al varco degli eventi che risulteranno da una grande trasformazione cominciata, a suo dire, ben prima dell'attentato alle Torri gemelle e che, oggi, passa anche attraverso le elezioni in Cisgiordania e a Gaza. «Il dato rilevante è che, per la prima volta, Hamas ha deciso di partecipare alle elezioni e, dopo il fallimento morale e politico dell'Anp, ci sono ottime possibilità che, pur non vincendo, conquisti una fetta importante dei seggi - spiega Kepel - Se ciò accadrà, le conseguenze saranno molteplici. Prima di tutto, la causa palestinese diventerà parte integrante della più ampia causa islamica nel Medioriente, mentre finora era stata esclusivo appannaggio del nazionalismo arabo».
Ma l'analisi del sociologo francese va più in là, guardando dall'altra parte del muro, verso Israele, dove pure i risultati elettorali palestinesi produrranno degli effetti: «Sharon puntava a indebolire l'Autorità nazionale palestinese, eliminare Arafat e ad avere come unico interlocutore Abu Mazen. Ma il presidente dell'Anp è risultato a sua volta fiaccato e non più credibile agli occhi del suo elettorato. Un quadro complessivo che ha finito col rafforzare Hamas e che peserà anche sulle elezioni israeliane di marzo». Una Palestina più marcatamente islamica, dunque, renderà di certo più difficile la competizione sia per il partito fungo Kadìma, sia per i laburisti dell'esordiente Amir Peretz, offrendo un'opportunità in più a Netanyahu, come accadde nel '96 quando il Likud vinse sulla scia emotiva e sulla paura provocate dagli attentati suicidi messi a segno dai gruppi jihadisti. Kepel, dunque, non ha nessun dubbio circa l'affermazione di Hamas nell'odierna tornata elettorale: «Fatah probabilmente resterà il partito maggioritario, ma la presenza dei partiti islamici aumenterà di certo il suo peso. E ciò accadrà proprio a causa della terribile reputazione che Fatah ha tra i suoi stessi elettori. La corruzione dei ceti politici, l'insoddisfazione della popolazione, i servizi sociali che non funzionano più, hanno reso possibile l'identificazione di un'alternativa in Hamas che, anche se radicale, oggi è ben presente nella mente dei palestinesi».
Ma per comprendere davvero le ragioni della vittoria del radicalismo islamico, Kepel invita a guardare in maniera più articolata all'intero scacchiere mediorientale. E alla politica degli Stati Uniti: «C'è un cambiamento chiaro nella politica americana in Medioriente. Basti guardare all'Egitto dove, dopo la loro affermazione politica, i Fratelli Musulmani sono diventati interlocutori più o meno diretti degli Stati Uniti e la stessa stampa americana ha guardato con favore ai loro progressi elettorali. Per lo stesso motivo, gli Stati Uniti hanno favorito la realizzazione delle condizioni per la partecipazione sunnita alle elezioni irachene, scoglio fondamentale per la stabilizzazione del paese e per il conseguente ritiro ordinato dei militari da quel territorio. Non dimentichiamo che negli Stati Uniti, in autunno, ci saranno le elezioni di medio termine e che di certo Bush non ha intenzione di perderle». Secondo Kepel, dunque, sarebbe tramontata l'età delle scelte neocon in Medioriente e gli Stati Uniti ora sarebbero più interessati a contribuire alla stabilizzazione dell'intero sistema, con tutti i rischi che ciò comporta: «Hamas è oggi costretto a confrontarsi con la partecipazione democratica, così come è accaduto in Egitto o anche in Turchia. Così com'è accaduto ai comunisti tanti anni fa. La sfida per loro è scegliere se restare uguali a se stessi, continuando a rifiutare le regole della democrazia, oppure se parteciparvi. E, quando scelgono questa opzione, si espongono al rischio del cambiamento, prima di tutto nella coerenza con la loro dottrina islamica». Basti pensare all'ultimo messaggio del numero due di Al Qaeda, Ayman Al Zawahri, rivolto ai Fratelli Musulmani d'Egitto. «Una vera dichiarazione di guerra contro quelli che ormai sono considerati traditori, alleati degli americani nel processo di deislamizzazione del Medioriente - commenta Kepel - E' evidente che anche la sola partecipazione ai processi democratici pone i movimenti islamici come i Fratelli Musulmani prima, e Hamas ora, in una posizione di crisi e di contrapposizione». Li pone al centro di una guerra che si combatte, prima di tutto, nel cuore dell'Islam.

Per scrivere alla redazione del riformista Riformista cliccare sul link sottostante

cipiace@ilriformista.it