Gerusalemme: israeliani e palestinesi disputano sulla sovranità, non sui diritti
il trucco lessicale di Mirella Nebbia per fare di Israele un paese oppressore
Testata: Europa
Data: 24/01/2006
Pagina: 2
Autore: Mirella Nebbia
Titolo: Senza trucchi, Al Fatah arranca. La riforma elettorale lancia Hamas

Per Mirella Nebbia, cui Europa del 24 gennaio 2006 affida un'analisi sulle elezioni palestinesi la differenza di posizione sullo statuto di Gerusalemme è riconducibile a uno scontro tra la rivendicazione israeliana della sovranità sulla città e la rivendicazione da parte dei palestinesi di diritti politici individuali. Non è ovviamente così: da una parte e dall'altra la rivendicazione e sulla sovranità, con la differenza che in Israele vi sono garanzie di rispetto dei diritti (anche i palestinesi di Gerusalemme Est ,del resto, votano)  assenti nell'Anp.Distorcere i termini del problema è però funzionale alla volontà di mostrare Israele come un paese oppressore. Ecco il testo: 

La Palestina va alle urne domani con un nuovo sistema elettorale ratificato dal parlamento il 18 giugno scorso, dopo un iter piuttosto laborioso, che definisce in 132 seggi il numero dei deputati palestinesi e un sistema proporzionale per un terzo dell’assemblea. Il sistema misto combina il maggioritario (distretti) e il proporzionale (liste). La Palestina, con i suoi 26mila chilometri quadrati (poco più di una regione come la Lombardia o la Toscana) è divisa in sedici distretti elettorali (undici in Cisgiordania e cinque nella Striscia di Gaza). Ad ogni distretto viene assegnato un numero di seggi in parlamento in relazione alla popolazione (ad esempio a Gerusalemme sei, a Gaza otto, a Nablus sei, mentre nei centri con minore densità come Jericho o Tubas soltanto uno). In base alla legge, ogni lista elettorale include un minimo di sette e un massimo di 66 candidati. Ogni lista deve includere una donna nei primi tre nomi, almeno una donna nei successivi quattro e almeno una donna per ciascuno dei cinque nomi che seguono. Le precedenti elezioni, tenutesi dieci anni fa, a ridosso degli accordi di Oslo, servirono per dare una legittimazione al potere di Arafat.
Il sistema elettorale maggioritario fu disegnato a tavolino per assicurare una netta vittoria al suo movimento, al Fatah, che conquistò 57 seggi sugli 88 allora previsti.
Fu soprattutto per questo che le elezioni del 1996 furono boicottate da tutti i gruppi di opposizione, tra cui Hamas e la Jihad islamica. La novità di quest’anno è proprio la partecipazione di Hamas, che nelle ultime amministrative ha strappato ad Al Fatah numerose città, tra le quali Nablus. Abu Mazen avrebbe voluto un proporzionale al cento per cento per contenere l’avanzata del movimento integralista islamico che, contando invece sull’elezione diretta del vincitore del seggio, potrebbe vedere crescere notevolmente il numero dei suoi rappresentanti.
Fatta la legge, però, non è detto che sia fatto il voto per i palestinesi: sebbene la libertà di movimento sia un diritto fondamentale garantito dalla legge, infatti le autorità israeliane l’hanno spesso violato. La restrizione israeliana di movimento costituisce una grave violazione dell’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Le autorità israeliane hanno costruito più di 600 blocchi stradali nella Cisgiordania. Questo impedisce il libero spostamento dei palestinesi nel poter raggiungere i centri di registrazione e di voto. Gerusalemme è poi un caso a sé: il distretto elettorale è diviso in due zone, Gerusalemme Est e la periferia. Gerusalemme Est è stata annessa dalle forze di occupazione israeliane nel 1967 ed è l’area dietro i checkpoint imposti alla municipalità di Gerusalemme dalle autorità israeliane.
Circa 250.000 palestinesi posseggono la carta d’identità israeliana (che consente loro di poter andare a lavorare anche a Gerusalemme Ovest) e risiedono a Gerusalemme Est. Ogni preparativo elettorale deve essere concordato con gli israeliani. C’è poi l’area al di fuori della zona annessa, la periferia, in cui ci sono 27 zone residenziali palestinesi. Israele considera però questi quartieri facenti parte della Cisigiordania e come tali soggetti alle disposizioni elettorali di quest’area.

H A M A S
«Negoziare con Israele non è tabù»
Alla vigilia del voto palestinese, Hamas ammorbidisce i toni e ventila la possibilità di futuri negoziati con Israele attraverso terzi: «I negoziati sono un mezzo. Se Israele ha qualcosa da offrire dal punto di vista della fine degli attacchi, del ritiro, del rilascio dei prigionieri... allora mille mezzi potranno essere individuati», ha dichiarato il leader di Hamas Mahmoud al- Zahar, riferisce Haaretz. E quale esempio, al-Zahar cita i contatti avuti dal gruppo militante libanese Hezbollah con Israele, per il tramite di mediatori tedeschi, per il rilascio dei libanesi rinchiusi nelle carceri israeliane. «Il negoziato non è un tabù», ha dichiarato Zahar. «Ma il reato politico si compie nel momento in cui sediamo qui con gli israeliani e poi usciamo con un gran sorriso per dire al popolo palestinese che vi sono progressi, quando, in realtà, non ve ne sono».
  Come già emerso al tempo delle politiche del gennaio 1996 e alle presidenziali di un anno fa, la questione per i palestinesi di Gerusalemme resta la stessa: vogliono il pieno diritto di votare per ribadire che la città (almeno nei quartieri che erano giordani sino alla guerra del 1967) resta la loro capitale irrinunciabile. Gli israeliani fanno invece del loro meglio per limitare quel diritto e dimostrare così che Gerusalemme unita è ormai la legittima capitale dello stato ebraico. Il ministro della difesa israeliano ha annunciato che alle elezioni politiche previste per mercoledì prossimo i palestinesi residenti nelle parti di Gerusalemme Est annesse da Israele dopo la Guerra dei sei giorni (e comprese nel muro fatto erigere da Ariel Sharon negli ultimi due anni) potranno votare negli uffici postali (50).
Nelle due tornate elettorali precedenti, sui circa 100.000 palestinesi con diritto di voto nei quartieri annessi da Israele (ma totalmente sono circa 250.000 su seicentomila abitanti), solo 1250 andarono a votare negli uffici postali. Qualcuno si recò nei quartieri arabi esterni alla municipalità israeliana, ma tantissimi se ne restarono a casa per paura di essere schedati e che venisse loro negato il diritto di lavorare nelle zone ebraiche. Per questo motivo risulta importante e in alcuni casi determinante che lo svolgimento delle operazioni di voto e lo spoglio delle schede, sia a Gerusalemme sia nei Territori, vengano monitorati dagli osservatori internazionali: 240 saranno accreditati dall’Ue e almeno altrettanti (una cinquantina soltanto gli italiani) indipendenti, facenti parte di Ong, istituzioni della società civile, organizzazioni internazionali, sindacati. Nel complesos oltre 900 osservatori vigileranno sulla correttezza del voto. Tra di loro ci saranno anche l’ex presidente degli Stati Uniti, Jimmy Carter, e l’ex segretario di Stato Usa, Madeleine Albright. «Questo è un numero enorme di osservatori se consideriamo le dimensione della Palestina e il numero dei votanti – commenta Ammaer Dweik, capo della Commissione elettorale palestinese – dimostra come il mondo intero abbia interesse per queste elezioni per la loro importanza e per le conseguenze che avranno». *Osservatrice internazionale Action for Peace
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