Steven Spielberg spiega il suo fiilm "Munich"
e la sua identificazione con la causa di Israele
Testata: Corriere della Sera
Data: 24/01/2006
Pagina: 15
Autore: Lars-Olav Beier - Erich Follath
Titolo: Spielberg: darei la vita per lo Stato ebraico

Il Corriere della Sera del 24 gennaio 2006 pubblica l'importante intervista del settimanale tedesco Der Spiegel a Steven Spielberg. Da leggere, in attesa dell'uscita nelle sale italiane del discusso film "Munich":

Il 27 gennaio esce in Italia «Munich», il film sui fatti delle Olimpiadi di Monaco 1972 diretto da Steven Spielberg che ha suscitato aspre polemiche in tutto il mondo. Steven Spielberg, ricorda le ore dell'attentato delle Olimpiadi del 1972? «Quando giunse la notizia stavo seguendo la diretta da Monaco, nelle ore successive non potei staccarmi dal televisore. Credo di aver sentito allora per la prima volta le parole "terrorista" e "terrorismo"». Negli anni successivi, l'idea di un film ispirato ai fatti di Monaco l'ha spesso affascinata, ma per lungo tempo non si è avvicinato al tema. Perché? «Ho aspettato tanti anni, perché mi sembrava una problematica troppo complessa da affrontare. Ho parlato di questo progetto con il maggior numero possibile di persone, nella speranza che mi aiutassero a fare chiarezza sull'argomento. Ho a lungo discusso anche con i miei genitori e con il rabbino. Oggi sono immensamente felice di aver avuto il coraggio di girare questo film. Sono un ebreo-americano e mi rendo conto di quanto sia difficile parlare del conflitto israelo-palestinese». Raramente un regista è stato bersagliato dalle critiche quanto lei per «Munich». La accusano di essere un ottuso pacifista e un traditore della causa israeliana. «Fortunatamente, a pensarla in questo modo sono in pochi. Mi rattrista vedere quanto siano dogmatici alcuni fondamentalisti della nostra destra qui in America. Ma in tanti hanno fatto proprio lo spirito del film». La principale accusa mossa a «Munich» è di natura ideologica: i critici le rinfacciano di aver posto sullo stesso piano israeliani e assassini palestinesi. «Accuse insensate. Naturalmente uccidere degli esseri umani è un crimine. Ma indagare le motivazioni dell'assassino, mostrare che anche lui è un individuo, con una storia e una famiglia, non significa giustificarne le azioni. Tentare di comprendere ciò che sta dietro un crimine non equivale ad accettarlo. Comprendere non significa perdonare». I suoi avversari dicono che lei «umanizza» il terrore. «E dovrei forse disumanizzare i terroristi? Non sono esseri umani? Ho semplicemente tentato di non demonizzare gli assassini. Allo stesso modo, anche allora ogni controffensiva israeliana mirava a suscitare paura e terrore nel nemico. Credo che nessuno degli agenti coinvolti in quelle azioni provasse piacere a uccidere, che al momento di piazzare una bomba sotto il letto dell'obiettivo, nessuno ne pregustasse la morte. All'inizio erano tutti convinti di avere il diritto di agire così — e non poterono mai assumere una posizione che non avesse conseguenze anche per la loro anima. Crede che tutta l'Operazione «Ira di Dio» ordinata da Golda Meir sia stata un errore? «Il primo ministro israeliano doveva reagire alla provocazione di Monaco: degli ebrei venivano uccisi in Germania, durante i Giochi olimpici. Non poteva consentire che un atto di tale portata storica, l'azione di rottura del gruppo terrorista del settembre nero, passasse impunito. Per Israele, Monaco rappresentò un trauma nazionale. In linea di principio ritengo anch'io che allora il primo ministro abbia agito bene». In «Munich», fa dire a Golda Meir che in circostanze estreme «ogni civiltà deve scendere a compromessi con i propri valori fondamentali». Una frase centrale del film. «È così». Una lunga inquadratura delle Torri Gemelle traccia un parallelo tra il 5 settembre 1972 e l'11 settembre 2001. «Non c'è alcun collegamento tra il terrore palestinese di allora e il terrore qaedista di oggi. Il conflitto israelo-palestinese e il jihadismo non hanno nulla in comune». Lei ha aspramente criticato l'amministrazione Bush. «Sono critico sulla guerra in Iraq, sulla limitazione delle libertà civili, per la semplice ragione che amo il mio Paese». Come definirebbe la sua posizione nei confronti di Israele? «Da quando ho iniziato ad avere opinioni politiche e ho sviluppato posizioni morali, sono sempre stato uno strenuo difensore di Israele. Come ebreo sono perfettamente consapevole di quanto sia per tutti noi fondamentale l'esistenza dello Stato di Israele. E proprio perché sono orgoglioso di essere ebreo, sono preoccupato di fronte all'antisemitismo e all'antisionismo diffusi nel mondo. Nel mio film pongo degli interrogativi sulla guerra al terrore scatenata dall'America e sulle risposte di Israele alle violenze dei palestinesi. Se fosse necessario, sarei pronto a dare la vita per gli Stati Uniti, esattamente come per Israele».

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