Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/02/2024, a pag.6, con il titolo "Meloni alla foiba di Basovizza: qui per chiedere perdono dei silenzi", cronaca di Monica Guerzoni.
TRIESTE Un pozzo minerario diventato una immensa fossa comune, che da quasi ottant’anni contiene 250 metri cubi di resti umani. Alla foiba di Basovizza, dove i partigiani jugoslavi del dittatore comunista Tito gettarono migliaia di innocenti massacrati o ancora vivi, Giorgia Meloni arriva con i jeans e le sneakers ai piedi. Il passo quasi militare scandisce «l’impegno solenne» a trasmettere la memoria di una immane tragedia, «in barba a chi avrebbe voluto nasconderla per sempre». Mai prima di lei un capo del governo italiano era salito sulle alture di Trieste nel Giorno del Ricordo e la leader della destra lo sottolinea: «È un atto dovuto, non ci era mai venuto nessun presidente del Consiglio».
Il vento gonfia gli stendardi e i gonfaloni degli alpini, degli arditi, dei combattenti e reduci, la premier tira fuori un foglietto e scandisce i suoi appunti. Racconta di essere venuta a Basovizza diverse volte anche da giovane, condanna l’oblio durato «imperdonabili decenni», si concede un passaggio personale: «Torno qui con qualche ruga in più e responsabilità che mai avevo immaginato». Applausi. Cita Mazzini e racconta tre «storie di famiglia» in cui sta chiuso il dramma degli esuli e degli infoibati. Una per tutte: Adele Carboni, 39 anni, impiegata, che per sommo disprezzo dei suoi carnefici si gettò nel buco nero della terra triestina gridando «viva l’Italia».
Ed è qui che Giorgia Meloni invoca «ancora una volta perdono a nome delle istituzioni di questa Repubblica per il silenzio colpevole, che per decenni ha avvolto le vicende del nostro confine orientale». Nel ventennale dalla legge che istituisce il Giorno del Ricordo, la premier rende omaggio a tutti gli istriani, i giuliani, i dalmati che rinunciarono a ogni bene per conservare l’identità italiana, «l’unica cosa che i comunisti titini non potevano togliere loro».
E le polemiche? Gli scontri decennali tra destra e sinistra sulle colpe del fascismo e quelle del comunismo? La premier cerca il registro alto e si tiene alla larga, diversamente dall’eterno sindaco Roberto Di Piazza che poco prima aveva accusato «negazionisti e conniventi», che a suo dire «si sono sporcati le mani del sangue di innocenti». Risuonano, tra i pini e i gonfaloni, gli echi del duello parlamentare tra Rampelli e Cuperlo sulla revoca della medaglia al merito concessa nel 1969 al maresciallo Tito, con il vicepresidente della Camera di FdI che si è scagliato contro l’ex presidente del Pd, travisandone il messaggio: «Difende Tito, un dittatore comunista». Chiedono a Meloni cosa ne pensi e la premier glissa: «Sono d’accordo sulla revoca, ma la questione è parlamentare».
L’ultimo atto è alla stazione centrale di Trieste, dove sbuffa l’antico convoglio che le Fs hanno messo a disposizione di Palazzo Chigi. Salvini non ne sapeva nulla e si è arrabbiato parecchio e infatti non ci sarà nella foto con Abodi, Sangiuliano, Valditara, Ciriani e Tajani, il quale dal palco condanna le foibe come «una delle pagine più buie della storia del nostro Paese».
Sulle carrozze è scritto «Il treno del ricordo-L’esodo giuliano dalmata» e la foto in bianco e nero è quella celeberrima della bambina con la valigia, su cui era scritto «esule giuliana». Le carrozze con le storie del dolore e del coraggio partiranno oggi e approderanno il 27 febbraio a Taranto, con l’obiettivo dichiarato dalla premier di «ricucire, non di riaprire ferite». Ma la pacificazione non è ancora compiuta. Colpiscono i silenzi del M5S, l’imbarazzo di parte della sinistra, rotto dalla capogruppo pd Chiara Braga che sprona a riconoscere gli orrori del passato, «senza riscrivere la Storia». A Roma in un presidio di Rifondazione comunista è spuntato uno striscione «Giorno della menzogna», a Firenze è stata danneggiata una targa in memoria dei martiri dell’Istria e della Venezia Giulia.
Sulla banchina della stazione di Trieste c’è la deputata pd Debora Serracchiani, i giornalisti le chiedono se è vero che a 50 metri dal Treno del Ricordo vivano accampati trecento profughi siriani, con le opposizioni che accusano il Comune amministrato dalla destra di non fare abbastanza per accoglierli. «Purtroppo è vero — risponde la ex presidente della Regione —. Là sopravvivono molti uomini, donne e bambini che non riescono ad avere un’accoglienza dignitosa».
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