Come Israele gestisce le risorse idriche: parte 3 21/09/2023
Analisi di David Elber
Autore: David Elber
Come Israele gestisce le risorse idriche: parte 3
Analisi di David Elber

Ecco i link alle parti 1 e 2:
https://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=91465

ISRAELE SUPERPOTENZA PER LA DESALINIZZAZIONE | Commercialista Milano

Dopo Aver visto, negli articoli precedenti, come lo Stato di Israele gestisce le proprie risorse idriche e come esse siano disciplinate nel trattato di pace con la Giordania, vedremo, in questa terza parte, come tali risorse sono disciplinate negli accordi di Oslo tra Israele e l’Autorità Palestinese.

Accordi di Oslo II, settembre 1995
Per consultare il testo completo degli accordi, si consiglia il seguente link:
https://www.jewishvirtuallibrary.org/interim-agreement-on-the-west-bank-and-the-gaza-strip-oslo-ii
Come per il trattato di pace con la Giordania, Israele ha disciplinato nel testo degli accordi tutte le disposizioni in materia di sfruttamento e distribuzione dell’acqua con l’Autorità Palestinese. Specificatamente, nell’appendice I, all’art. 40, le parti hanno concordato in modo estremamente dettagliato l’utilizzo delle risorse, i compiti delle parti nella gestione del sistema idrico e lo stabilirsi di una commissione congiunta per la verifica del fabbisogno della popolazione. Tra i compiti di parte israeliana, vi è quello di fornire la maggior parte dell’acqua per la popolazione palestinese. Inizialmente, fu stabilito che le autorità israeliane dovessero fornire una quantità pari a 28.6 mcm/anno di acqua fresca per la popolazione palestinese amministrata dall’AP. Ma già nel corso degli anni appena successivi alla stipula dell’accordo, la commissione congiunta ha aumentato enormemente questa quantità d’acqua per migliorare la situazione idrica dei palestinesi. Così già nei primi anni 2000, la quantità erogata da Israele è passata da 28.6 mcm/anno (concordata negli accordi di Oslo) a 47 mcm/anno fino a raggiungere i 52 mcm/anno. Quindi il doppio di quella prevista dagli accordi (fonte: rapporto annuale del capo dipartimento delle infrastrutture civili colonnello Amnon Cohen). Va anche sottolineato che è la società statale israeliana Mekorot che trasporta oltre l’80% dell’acqua nei territori palestinesi. Allora come si spiega l’accusa, rivolta ad Israele da parte di ONG e degli stessi palestinesi, di “rubare” l’acqua e l’emergenza idrica cronica nei territori amministrati dai palestinesi, se l’acqua erogata da Israele, è doppia di quella stabilita dagli accordi stessi? Basta entrare nel dettaglio della situazione dei territori palestinesi e di come sono amministrati.

Le competenze palestinesi, sancite dagli accordi di Oslo e nello specifico come stabiliti dal comma 8 che si riporta in originale:

Palestinian Responsibility:
An additional well in the Nablus area – 2.1 mcm/year.
Additional supply to the Hebron, Bethlehem and Ramallah areas from the Eastern Aquifer or other agreed sources in the West Bank – 17 mcm/year.
A new pipeline to convey the 5 mcm/year from the existing Israeli water system to the Gaza Strip. In the future, this quantity will come from desalination in Israel.
The connecting pipeline from the Salfit take-off point to Salfit
The connection of the additional well in the Jenin area to the consumers.
The remainder of the estimated quantity of the Palestinian needs mentioned in paragraph 6 above, over the quantities mentioned in this paragraph (41.4 – 51.4 mcm/year), shall be developed by the Palestinians from the Eastern Aquifer and other agreed sources in the West Bank. The Palestinians will have the right to utilize this amount for their needs (domestic and agricultural).

Come si evince dal testo, tra le competenze palestinesi si trovano: l’apertura di nuovi pozzi, la costruzione di reti di acquedotti tra le aree popolate, la connessione di acquedotti con la rete israeliana, la salvaguardia e la valorizzazione delle falde acquifere presenti nel territorio amministrato. Oltre a ciò gli accordi prevedono la manutenzione della rete idrica e l’abbattimento dell’inquinamento delle falde acquifere a causa della scarsità della rete fognaria nelle città palestinesi. Cosa è stato fatto in questi 30 anni? Praticamente nulla. Oltre a tutto questo, nel 2007 l’Autorità palestinese ha avuto in uso – da parte del governo israeliano – un terreno, sulla costa mediterranea di Israele vicino alla città di Hadera, per costruirvi un impianto di desalinizzazione dell’acqua, il quale, se in funzione, potrebbe fornire 100 milioni di metri cubi di acqua potabile all’anno. Cosa ha fatto l’Autorità Palestinese? Nulla il progetto ad oggi è rimasto sulla carta.
In base ai dati raccolti si può affermare che l’emergenza idrica tra i palestinesi non è data dall’acqua “rubata” da Israele – che fornisce il doppio dell’acqua pattuita negli accordi di Oslo – ma dalla totale assenza di investimenti palestinesi per la costruzione di impianti di desalinizzazione, di infrastrutture, di manutenzione dalla rete idrica (recenti indagini di tecnici hanno stabilito che le perdite d’acqua nella rete idrica palestinese è pari al 70% del totale erogato) e di costruzione di depuratori fognari. Oltre a ciò, ci sono da aggiungere i numerosissimi casi di allacci abusivi alla rete idrica e la endemica morosità nel pagamento delle bollette dell’acqua. Perché allora si da la colpa ad Israele? Semplice, perché così la dirigenza palestinese ha un duplice risultato: da un lato scarica le proprie responsabilità e inefficienze agli occhi della propria popolazione verso Israele e dall’altro ottiene nuovi aiuti internazionali che vengono fatti sparire dai “cleptocrati” dell’AP.
Vale la pena, a questo proposito, fare un solo esempio di come l’informazione viene creata e diffusa in tutto il mondo su questo argomento. Circa una decina di anni fa la World Bank pubblicò un rapporto, molto superficiale, che non analizzava le cause del disastro idrico nei “territori”, ma affermava che gli ebrei potevano disporre di molta più acqua degli arabi, citando unicamente “fonti” palestinesi. La BBC lo riprese, ed essendo, appunto, “prestigiosa”, la notizia finì sui nostri media come se fosse una verità incontrovertibile. E’ anche da sottolineare che insieme alla Cisgiordania, il rapporto della World Bank inseriva anche la striscia di Gaza nel suo rapporto, dove, non essendoci nessun israeliano da numerosi anni come possono disporre di maggior quantità d’acqua? Tale esempio permette di comprendere con quale accuratezza la banca mondiale stili i suoi rapporti. Ma ecco come si è creato il mito dell’acqua “rubata”.

Di questo mito si è poi fatto portavoce anche Martin Shultz in qualità di presidente del Parlamento europeo. Per Shultz, il quale si recò in Israele nel 2014 a chiederne ragione, Israele applicava nei confronti dei palestinesi una vera e propria “apartheid dell’acqua”. Le autorità israeliane gli fecero notare come stavano (e stanno) effettivamente le cose: le erogazioni medie di acqua disponibile sono alla pari: cioè 160 metri cubi pro capite per consumo annuo per ogni israeliano e altrettanti metri cubi per ogni palestinese. La differenza sta nel suo utilizzo: le tecniche di trattamento e di riciclaggio delle acque reflue fruttano una maggiorazione di circa 800 milioni di metri cubi in Israele (otre alle altre tecniche descritte nella parte prima ad iniziare agli impianti di desalinizzazione). I palestinesi, invece, disperdono circa il 95% dei 56 milioni di metri cubi d’acqua destinati al consumo soprattutto in agricoltura, cioè i palestinesi sovrairrigano i loro campi perché adottano metodi di coltivazione ancora molto arretrati. Inoltre, essi non hanno mai considerato la possibilità di mettere mano alla ricostruzione della fatiscente rete idrica, la quale causa notevoli perdite d’acqua disponibile (circa il 70%), nonostante i molti fondi internazionali pervenuti all’Autorità Palestinese per interventi infrastrutturali sul territorio, come evidenziato in precedenza. Infine venne spiegato a Schultz che in Cisgiordania è operativo un solo impianto di depurazione per tutta la popolazione. Questo è anche la causa del perché ogni anno 17 milioni di metri cubi di liquami palestinesi finiscono in territorio israeliano. Tocca poi da Israele farsi carico di trattare anche la quota palestinese dei liquami, per evitare il rischio di inquinamento delle falde.
Ma nonostante tutto quanto descritto sia a disposizione delle autorità e dei media mondiali il mito resta inscalfibile: Israele “ruba” l’acqua dei palestinesi.

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