Condoleezza Rice accusa Siria e Iran per le violenze islamiste
e intanto si studia l'opzione militare per fermare l'atomica degli ayatollah
Testata: La Stampa
Data: 09/02/2006
Pagina: 6
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: La Rice attacca Siria e Iran Si studia il blitz su Teheran

Da La STAMPA  del 9 febbraio 2006:

«Non ho dubbi sul fatto che Iran e Siria hanno infiammato i sentimenti e tentato di sfruttare tale vicenda a loro vantaggio». E’ il Segretario di Stato, Condoleezza Rice, che punta l’indice su Teheran e Damasco per gli assalti contro le sedi diplomatiche europee a seguito delle proteste per le vignette danesi su Maometto. «Il mondo deve alzare la voce nei loro confronti», incalza la Rice al termine di un incontro con Tzipi Livni, ministro degli Esteri di Israele. Poco prima era stato il presidente americano, George W. Bush, ad usare toni simili nello Studio Ovale con il re giordano Abdallah: «Chiedo ai governi del mondo di fermare la violenza, di essere rispettosi, di proteggere le proprietà e le vite di innocenti diplomatici».
L’affondo della Rice contro Teheran e Damasco cela il timore che sia nascendo in Medio Oriente un asse fondamentalista e ciò coincide con le indiscrezioni sul possibile scenario militare di un attacco all’Iran. Se la tesi finora prevalente è che il blitz sia impossibile perché Teheran ha un centinaio di siti nucleari sottoterra, in mega-bunker e celati in edifici, la teoria del «collo di bottiglia» offre un’alternativa. Eccola: anziché bombardare a tappeto l’intero programma nucleare si possono colpire solo i siti indispensabili allo sviluppo militare, che non sarebbero neanche una decina, concentrati in tre località, Natanz, Isfahan e Teheran. Proprio a questo scenario si riferisce Edward Luttwak, del Centro di Studi Strategici ed Internazionali, scrivendo sul Wall Street Journal, che «l’attacco può essere fatto in una sola notte perché demolendo le installazioni critiche il programma militare sarebbe posticipato di anni e le sanzioni internazionali impedirebbero a Teheran di tornare ad avere le parti distrutte».
Ciò che Luttwak non scrive è che la pianificazione di questa «unica notte» sarebbe già stata abbozzata dai militari prevedendo il ricorso ai bombardieri Stealth B-2 dotati dell’ultima generazione di bombe anti-bunker. Colpendo solo il «collo della bottiglia» gli Usa invierebbero inoltre un messaggio al popolo iraniano, facendo capire che non sono contrari al programma nucleare in sè - che resterebbe in piedi - ma solo ai suoi aspetti militari. Ciò non significa che il piano d’attacco sia pronto, restano molte incognite: dal rischio che Teheran risponda lanciando missili contro Israele ed obiettivi americani in Medio Oriente all’apertura di un fronte di guerra in Libano fino ad una spaccatura del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ancora più profonda dell’Iraq. Senza parlare della possibilità - che alcuni esperti non escludono in linea di principio - che l’Iran disponga già di un mini ordigno atomico da lanciare in un contrattacco.
In assenza di notizie certe sui piani del Pentagono, bastano i gossip dell’Hotel Willard a far percepire che l’atmosfera sull’Iran sta cambiando nonostante la terminologia dell’amministrazione Bush ruoti attorno alla diplomazia. Non a caso il capo dei senatori repubblicani, Bill Frist, ha detto: «Il Congresso ha la volontà politica di usare la forza contro l’Iran se sarà necessario perché non possiamo consentirgli di diventare una nazione nucleare, se la diplomazia e le sanzioni economiche falliranno, l’opzione militare è sul tavolo». E’ lo stesso approccio con cui il Congresso affrontò nel 2002 il caso-Iraq. Altra similitudine con il 2002 è l’orientamento dell’opinione pubblica: se allora la maggioranza percepiva Saddam come una grave minaccia adesso un sondaggio del Pew Center indica che per il 65% dei cittadini il nucleare iraniano è una «significativa minaccia». Ancora più sintomatico è che il 27% ha indicato nell’Iran la «maggiore minaccia alla sicurezza nazionale» mentre Cina, Iraq e Nord Corea preoccupano molto meno.

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